Procedimento ex lege Pinto: competenza, incompetenza ed evoluzione giurisprudenziale

23 Ottobre 2017

La competenza, ai sensi dell'art. 3, comma 1, l. 24 marzo 2001, n. 89 è attribuita in unico grado di merito, alla Corte d'appello del distretto nel quale è stato deciso il processo presupposto in primo grado, in accordo con il criterio di collegamento della competenza per territorio innovativo, introdotto dalla l. n. 208/2015.
Premessa

L'art. 3, comma 1, l. 24 marzo 2001, n. 89, nella formulazione successiva alla l. n. 208/2015, stabilisce che la competenza è attribuita in unico grado di merito, alla Corte d'appello del distretto nel quale è stato deciso il processo presupposto in primo grado, in accordo con il criterio di collegamento della competenza per territorio innovativo, introdotto dalla medesima l. n. 208/2015.

Viene quindi meno il criterio “tradizionale” dettato dallo stesso art. 3 l. n. 89/2001 sin dall'emanazione della medesima per il quale la domanda di equa riparazione si propone con ricorso al Presidente della Corte d'appello del distretto in cui ha sede il giudice competente ai sensi dell'art. 11 c.p.p. a giudicare nei procedimenti riguardanti i magistrati nel cui distretto è concluso o estinto relativamente ai gradi di merito il procedimento nel cui ambito la violazione si assume verificata.

Su un piano generale, l'art. 3 l. n. 89/2001 individuava un duplice criterio di collegamento della competenza, i.e. sia quella per materia che quella per territorio, attribuendo, invero, la prima alla Corte d'appello (rectius, al Presidente della stessa, essendo oggi il procedimento incardinato mediante ricorso monitorio) e la competenza per territorio avendo riguardo al disposto dell'art. 11 c.p.p..

Evoluzione della giurisprudenza sul previgente criterio di collegamento della competenza

Dalla formulazione dell'art. 3, l. 24 marzo 2001, n. 89 era sorto immediatamente il problema interpretativo avente ad oggetto l'individuazione della Corte d'appello territorialmente competente per l'ipotesi in cui il giudizio presupposto si fosse svolto dinanzi a giudici speciali, atteso che il termine “distretto” è ripartizione tipica della sola giurisdizione ordinaria (Cantone, La competenza territoriale nei giudizi di equa riparazione per irragionevole durata dei processi, in Giust. Civ., 2011, n. 3, 767).

Erano invero emerse posizioni differenziate sulla questione nella giurisprudenza di merito.

Più in particolare, secondo un primo orientamento, l'art. 3, l. 24 marzo 2001, n. 89, nonostante la constatata inapplicabilità dell'art. 11 c.p.p. ai magistrati amministrativi, e la mancata previsione di altri criteri di individuazione della competenza riferibili a questi ultimi, deve essere interpretato nel senso di aver esteso la regola contenuta nel predetto art. 11 c.p.p. a qualsiasi giudice, anche diverso da quello ordinario, avente sede nel distretto in cui il procedimento denunciato come irragionevolmente protrattosi nel tempo sia stato concluso o sia ancora pendente (App. Aquila 5 febbraio 2002, in Giur. Merito, 2002, 1259, con nota di Didone).

Per converso, un'altra parte della giurisprudenza di merito aveva ritenuto inapplicabile il criterio di collegamento posto dall'art. 3 legge cd. Pinto anche nelle ipotesi in cui il giudizio presupposto si fosse svolto dinanzi ai giudici speciali, affermando, ad esempio, che la competenza territoriale per la trattazione dei ricorsi riferentesi a ritardi od omissioni verificatisi nel corso di giudizi amministrativi, non potendosi applicare il disposto dell'art. 11 c.p.p., deve essere individuata con riferimento all'art. 25 c.p.c., c.d. "foro erariale", radicandola in capo al giudice del luogo nel quale ha sede l'ufficio dell'Avvocatura dello Stato, nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le norme ordinarie, ovvero, essendo convenuta l'amministrazione con riguardo al giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione (App. Caltanissetta 21 dicembre 2001, in Corr. Giur., 2002, 1055, con nota di Didone).

La questione interpretativa in esame era stata risolta inizialmente dalla Corte di Cassazione proprio avendo riguardo a quest'ultima tesi. Invero, secondo la Suprema Corte, in tema di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo ai sensi della l. 24 marzo 2001, n. 89, la competenza territoriale per la trattazione dei ricorsi riguardanti ritardi verificatisi nel corso di giudizi svoltisi dinanzi a giudici diversi da quello ordinario deve essere individuata secondo i principi generali con riferimento all'art. 25 c.p.c., il quale, nel disciplinare il foro della Pubblica Amministrazione, prevede, quando essa è convenuta, la competenza del giudice del luogo in cui è sorta o deve eseguirsi l'obbligazione od in cui si trova la cosa mobile od immobile oggetto della domanda, in applicazione quindi dei criteri previsti dagli artt. 20 e 21 c.p.c., sia pure con l'ulteriore specifico riferimento al luogo dove ha sede l'ufficio dell'avvocatura dello Stato. Consegue a tale impostazione, ad esempio, che qualora il procedimento della cui non ragionevole durata si discute penda avanti al Consiglio di Stato, la competenza territoriale spetta alla Corte d'appello di Roma, poiché in Roma si è realizzata la fattispecie considerata dalla l. n. 89/2001 ai fini della richiesta d'indennizzo, quivi essendo sorta l'obbligazione, così come in Roma deve ritenersi eseguibile l'obbligazione medesima ai sensi dell'art. 1182, ultimo comma, c.c., atteso che, riguardando una somma di denaro non determinata, essa è esigibile al domicilio del debitore (Cass. civ., n. 1653/2003).

Tale posizione aveva ricevuto l'avallo della Corte costituzionale la quale aveva dichiarato manifestamente fondata, in riferimento agli artt. 97 e 108 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, comma 1, della cd. « ;legge Pinto ;», nella parte in cui non dispone che, per i giudizi di equa riparazione, la competenza territoriale funzionale della Corte di appello, così come regolata dall'art. 11 c.p.p., si estenda anche ai procedimenti, di cui si lamenta l'irragionevole durata, svolti davanti alla Corte dei conti e alle altre giurisdizioni di cui all'art. 103 Cost., atteso che il principio di buon andamento ed imparzialità dell'amministrazione riguarda gli organi di amministrazione della giustizia unicamente per profili concernenti l'ordinamento degli uffici giudiziari sotto l'aspetto amministrativo, senza potersi estendere alla giurisdizione ed ai provvedimenti che ne costituiscono espressione, nonché considerato che è estremamente remota la connessione tra le evenienze in cui, da un lato, il giudice ordinario conosce di ritardi della Corte dei conti e, dall'altro, la Corte dei conti della stessa sede conosce della responsabilità amministrativa di quei magistrati ordinari o dei loro colleghi o collaboratori, poiché in entrambi i casi, l'avvio del procedimento di responsabilità per il danno erariale non è effetto automatico della condanna dello Stato nel giudizio di equa riparazione (Corte cost. 17 luglio 2007, n. 287, in Resp. civ. prev., 2007, 2538, con nota di Mirate).

Era stata peraltro la stessa Corte di Cassazione a rimeditare, in seguito, l'orientamento già affermato in ordine all'operatività del criterio di collegamento della competenza territoriale stabilito dall'art. 3, l. 24 marzo 2001, n. 89 anche per i giudici speciali.

In particolare, infatti, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione (Cass. civ., Sez. Un., n. 6306 e n. 6307/2010, in Corr. Giur., 2010, 881, con nota di Salvato) hanno affermato il principio per il quale in tema di equa riparazione per violazione del termine di ragionevole durata del processo, ai fini dell'individuazione del giudice territorialmente competente in ordine alla relativa domanda, il criterio di collegamento stabilito dall'art. 11 c.p.p., richiamato dall'art. 3, comma primo, l. n. 89/2001, deve essere applicato con riferimento al luogo nel quale ha sede il giudice di merito, ordinario o speciale, dinanzi al quale ha avuto inizio il giudizio presupposto. Per pervenire a tale soluzione, senz'altro più opportuna anche sotto il profilo pratico, le Sezioni Unite hanno precisato che il termine “distretto” appartiene alla descrizione del criterio di collegamento e vale a delimitare un ambito territoriale in modo identico, quale che sia l'ufficio giudiziario dinanzi al quale il giudizio presupposto è iniziato e l'ordine giudiziario cui appartiene, in quanto ciò che viene in rilievo non è l'ambito territoriale di competenza dell'ufficio giudiziario, ma la sua sede (Cass. civ., n. 24171/2010).

Nella concreta applicazione di tale criterio si è ritenuto, ad esempio, che la competenza sulla domanda diretta ad ottenere l'equa riparazione per l'irragionevole durata di un giudizio davanti ad una sede distaccata del TAR appartiene alla Corte d'appello, individuata ai sensi dell'art. 11 c.p.p., richiamato dall'art. 3, l. 24 marzo 2001 n. 89, ove tale sede coincida con la sede di un distretto di Corte d'appello, a prescindere dai rapporti interni tra giudici speciali, in quanto ciò che viene in rilievo non è l'ambito territoriale di competenza dell'ufficio giudiziario, ma la sua sede (Cass. civ., n. 6887/2012).

La Corte di Cassazione ha chiarito che il predetto principio trova applicazione anche nei giudizi di equa riparazione iniziati prima di tale arresto nomofilattico correttivo, poiché esso non comporta un effetto preclusivo del diritto di azione o di difesa della parte (Cass. civ., n. 9993/2012). In sostanza, non può operare nel caso di specie il principio del cd. overruling in materia processuale, pure affermato dalla giurisprudenza recente in diverse occasioni, in quanto, in forza della generale regola della translatio iudicii la parte non può incorrere in alcuna decadenza in ragione della proposizione della domanda dinanzi al Giudice che si dichiari incompetente atteso che la tempestiva riassunzione del procedimento dinanzi al Giudice competente comporta la salvezza degli effetti processuali e sostanziali correlati alla proposizione originaria della domanda stessa (Cass. civ., n. 6996/1986).

Sotto altro profilo, occorre rilevare che la medesima Corte costituzionale ha evidenziato che costituisce regola di diritto vivente, data dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, il criterio di competenza territoriale della Corte d'appello, stabilito nell'art. 3, comma 1, l. 24 marzo 2001, n. 89 per i giudizi relativi all'equa riparazione dei danni recati dalla durata non ragionevole del processo, vale anche per i processi amministrativi. Il principio del giudice naturale enunciato dall'art. 25 Cost. deve ritenersi osservato quando l'organo giudicante sia stato istituito dalla legge sulla base di criteri generali fissati in anticipo e la regola per la determinazione della competenza sia stabilita in via generale e preventiva, con il solo limite della manifesta irragionevolezza delle scelte compiute. La scelta adottata dalla disposizione in questione non è manifestamente irragionevole (ed è quindi conforme anche al principio di eguaglianza enunciato nell'art. 3 Cost.) dal momento che essa consente la concentrazione davanti ad uno stesso giudice dei giudizi concernenti tutti i processi celebrati in una stessa sede (Corte cost., 10 maggio 2012, n. 117).

Regime dinamico dell'incompetenza

La Corte di Cassazione ha più volte ribadito che la speciale competenza territoriale prevista dall'art. 3, l. 24 marzo 2001, n. 89 ha natura inderogabile ai sensi dell'art. 28 c.p.c..

Pertanto, nell'assetto previgente alla novella di cui alla l. n. 134/2012, sia il difetto di competenza per materia che quello per territorio dovevano ritenersi rilevabili d'ufficio entro la prima udienza in camera di consiglio dinanzi alla Corte d'appello, mentre la parte resistente doveva eccepire a pena di decadenza l'incompetenza del Giudice adito in sede di costituzione tempestiva in giudizio.

La Suprema Corte ha evidenziato, altresì, che in tema di equa riparazione per violazione della ragionevole durata del processo, l'eccezione di incompetenza territoriale dell'adita Corte d'appello - alla quale l'interessato abbia proposto la domanda di indennizzo ai sensi dell'art. 3, l. 24 marzo 2001, n. 89 - non può essere proposta per la prima volta con il ricorso per cassazione. Per assumere rilevanza, difatti, la questione di competenza deve manifestarsi, su rilievo d'ufficio o su eccezione di parte, nel corso del procedimento dinanzi alla Corte d'appello, di talché non è ammissibile impugnare per cassazione il decreto conclusivo prospettando una ragione di incompetenza precedentemente non emersa (Cass. civ., n. 14283/2006).

Nell'assetto attuale, essendo il procedimento articolato secondo una prima fase necessaria, di carattere sostanzialmente monitorio, ed una seconda, eventuale, di opposizione dinanzi alla Corte d'appello in camera di consiglio, ne deriva che l'Amministrazione è tenuta a sollevare, a pena di decadenza, l'eccezione di incompetenza nell'atto di opposizione, mentre la stessa questione sarà rilevabile dal Giudice d'ufficio all'udienza.

Rilievo dell'incompetenza nella fase monitoria

Distinta ma correlata questione è quella afferente la possibilità per il Giudice adito nella fase monitoria con il ricorso di equa riparazione di rilevare d'ufficio la propria incompetenza.

La risposta al quesito posto deve essere senz'altro affermativa, trattandosi di competenza territoriale inderogabile.

É infatti consolidato in dottrina come in giurisprudenza l'orientamento per il quale l'unilateralità della fase monitoria impone che il giudice adìto, anteriormente alla pronuncia sulla domanda d'ingiunzione, verifichi la sussistenza dei cd. presupposti processuali (Andrioli, Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli 1968, 36), ossia giurisdizione, competenza, legittimazione ad agire, rappresentanza tecnica, provvedendo al rigetto della domanda ove riscontri la mancanza anche di uno solo di essi. Invero, poiché i poteri spettanti al giudice nel procedimento d'ingiunzione non si differenziano, in mancanza di norme speciali, da quelli attribuiti allo stesso in sede di cognizione ordinaria, si ritiene che il giudice adito con ricorso monitorio possa rilevare d'ufficio la propria incompetenza, rigettando quindi il ricorso con decreto motivato (art. 640, comma 1, c.p.c.), e ciò sicuramente qualora si tratti di incompetenza per materia, valore e territoriale inderogabile, come nella fattispecie in esame. In sede di merito si è osservato che è rilevabile d'ufficio l'incompetenza territoriale del giudice del lavoro, adìto in sede monitoria, trattandosi di competenza inderogabile, atteso che nel procedimento monitorio il giudice è tenuto d'ufficio alla verifica dei presupposti processuali generali (giurisdizione, competenza, legittimazione ad agire, rappresentanza tecnica) e dei presupposti processuali specifici (natura del credito, prova documentale del diritto) provvedendo al rigetto della domanda, ex art. 640, comma 2, c.p.c., in caso di mancato riscontro anche di uno solo di essi (Trib. Campobasso, 31 ottobre 2001, in Giust. civ., 2002, I, 2947, con nota di Tota).

Non è peraltro superfluo ricordare in questa sede che se era dominante, invece, per l'incompetenza territoriale derogabile la diversa tesi secondo cui il giudice adito con ricorso ex art. 633 c.p.c. non poteva anche rilevare l'incompetenza per territorio derogabile, riservata ad un'eccezione tempestiva della parte convenuta (cfr. Valitutti – De Stefano, Il decreto ingiuntivo e la fase di opposizione, III ed., Padova 2008, 86 ss.), la stessa è stata smentita da un'importante pronuncia interpretativa di rigetto della Corte costituzionale. In particolare, infatti, la Consulta ha ritenuto non fondata, in riferimento agli artt. 24 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell'art. 637 c.p.c., nella parte in cui escluderebbe la rilevabilità d'ufficio dell'incompetenza per territorio oltre i casi dell'art. 28 c.p.c., evidenziando che la lettera dell'art. 637 c.p.c., specie se letta in relazione all'art. 640 c.p.c. che consente la riproposizione, anche davanti al medesimo ufficio giudiziario, della domanda di ingiunzione rigettata, infatti, impone di ritenere, in conformità ai principi costituzionali, che - nello stesso modo in cui, da un lato, il giudice italiano può rilevare il proprio difetto di giurisdizione in caso di contumacia del convenuto straniero e, dall'altro lato, il giudice cautelare adito ante causam senza la preventiva instaurazione del contraddittorio può rilevare d'ufficio la propria incompetenza - il giudice adito col ricorso per l'emissione di decreto ingiuntivo possa rilevare d'ufficio anche l'incompetenza territoriale semplice, nei casi diversi dall'art. 28 c.p.c. (Corte cost., 3 novembre 2005, n. 410).

Guida all'approfondimento
  • De Santis Di Nicola, Durata irragionevole e rimedio effettivo. La riforma della legge Pinto, Napoli 2012;
  • Giordano, L'equa riparazione per irragionevole durata del processo, Milano 2015;
  • Martino, Legge 24 marzo 2001, n. 89, in (-Panzarola), Commentario alle riforme del processo civile dalla semplificazione dei riti al decreto sviluppo, Torino 2013, 503 ss.;
  • Piombo, Equa riparazione per irragionevole durata del processo: appunti sulla disciplina della legge c.d. Pinto dopo le modifiche introdotte dall'art. 55 d.l. 22 giugno 2012 n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012 n. 134, in Foro it., 2013, V, 25.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario