L'alterazione del decoro architettonico: profili problematici

Franco Petrolati
13 Ottobre 2017

Il decoro architettonico dell'edificio - o del complesso di edifici in supercondominio - costituisce un valore-limite conformativo del contenuto della proprietà delle parti comuni e di ciascuna unità immobiliare; ai fini dell'accertamento dell'effettiva alterazione del pregio estetico del fabbricato assumono rilievo dirimente le indagini relative al deprezzamento del valore commerciale delle unità immobiliari, al grado di visibilità della nuova opera ed alle pregresse modificazioni subite dall'edificio.
Il quadro normativo

Il decoro architettonico dell'edificio in regime di condominio opera come limite del contenuto originario del diritto di proprietà in relazione sia alle parti comuni sia alle singole unità immobiliari: un limite di natura conformativa che deriva ex lege dalla situazione di condominio ex artt.1117 e 1117bis c.c.

Se prima della legge di riforma n. 220/12 il riferimento espresso a tale limite era rinvenibile solo all'art.1120, comma 2(ora 4), c.c., in tema di c.d. innovazioni vietate alle parti comuni, a partire dal 18 giugno 2013 i rinvii a tale valore-limite si sono moltiplicati: così in tema di mutamento della destinazione d'uso dei beni comuni (art.1117-ter, comma 5, c.c.), modificazione delle parti comuni per gli impianti di accesso ai flussi informativi o alle fonti rinnovabili di energia (art. 1122-bis, commi 1 e 3, c.c.), opere interne alle unità immobiliari in proprietà o uso individuale (art.1122, comma 1, c.c.); tra i beni qualificabili ex lege in situazione di condominio ex art. 1117, n. 1), c.c. sono, inoltre, espressamente menzionate «le facciate», al pari del suolo, delle fondazioni, dei pilastri, delle travi portanti e delle altre parti «necessarie all'uso comune».

Nella giurisprudenza, del resto, maturata prima della entrata in vigore della legge di riforma, si era già riconosciuto che il limite costituito dal pregio estetico dell'edificio si imponeva non solo alle innovazioni apportabili ai beni comuni in forza dell'espresso divieto ex art.1120, comma 2 (ora 4) c.c. ma anche con riguardo alle mere modificazioni dei beni comuni ex art. 1102 c.c. (Cass. civ., sez. II, 22 agosto 2012 n. 14607, riguardante porte e finestre sulla facciata;Cass. civ., sez. II, 31 luglio 2013, n. 18350 , in relazione alla sostituzione della canna fumaria) oltre che alle trasformazioni interne alle unità immobiliari, le quali non possono pregiudicare le utilità ritraibili dalla cosa comune, ex art.1122 c.c., anche se di ordine «estetico» (Cass. civ., sez. II, 17 aprile 2001, n. 5612; Cass. civ., sez. II, 27 aprile 1989, n. 1947).

E', invero, agevolmente deducibile dal rispetto della «destinazione» che connota ogni parte comune ex art.1117 c.c., in ragione del vincolo obiettivo di servizio a ciascuna unità immobiliare, anche il limite peculiare della conservazione del decoro architettonico, quale bene immateriale risultante dalla conformazione complessiva dell'edificio ed incidente, ad un tempo, sul valore commerciale di ciascuna porzione di esso.

I reiterati richiami al rispetto del decoro architettonico, ora rinvenibili dopo la legge di riforma, hanno pertanto reso esplicito, sul piano dispositivo, un limite conformativo già rinvenibile nell'assetto normativo enucleabile in via di interpretazione sistematica.

Si tratta di un valore-limite che nelle citate disposizioni di cui agli artt. 1117-ter, comma 5, 1120, comma 4, 1122, comma 1 e 1122-bis, commi 1 e 3,c.c., è costantemente richiamato unitamente a quelli della stabilità e della sicurezza dell'edificio, in tal senso configurandosi una clausola generale ex lege di salvaguardia del nucleo essenziale della situazione del condominio negli edifici.

Profilo patrimoniale

Il decoro architettonico merita di essere tutelato, nei rapporti tra i privati, solo in quanto qualifica il contenuto della proprietà ed influisce, quindi, sul valore commerciale delle singole unità immobiliari inserite nell'edificio: l'alterazione è, quindi, configurabile solo laddove sia perpetrato un danno non meramente estetico ma di effettivo carattere patrimoniale.

Nella giurisprudenza si è, tuttavia, chiarito che nell'ipotesi di mutamento di rilevante impatto sull'assetto originario dell'edificio il pregiudizio estetico deve ritenersi insito in quello economico, con conseguente esonero della parte di una specifica rappresentazione - e del giudice di una distinta motivazione - di entrambi i profili (Cass. civ., sez. II, 31 marzo 2006, n. 7625; Cass. civ., sez. II, 22 gennaio 2004, n. 1025; Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 2003, n. 16098; Cass. civ., sez. II, 24 marzo 2004, n. 5899).

A fronte, invece, di opere di minor impatto sulla fisionomia dell'edificio la giurisprudenza concede alla parte interessata alla conservazione di tale modificazione la possibilità - ed il relativo onere - di provare che l'opera apporti a sua volta utilità, a vantaggio di tutti i condòmini, suscettibili di compensare il modesto pregiudizio inferto all'assetto originario dell'edificio. Tale meccanismo compensativo può essere, quindi, idoneo a giustificare l'installazione di nuovi impianti volti ad accrescere la qualità dei servizi resi alle singole unità abitative, elevandone lo standard di godimento: di qui, a titolo esemplificativo, l'accertamento della liceità del nuovo l'ascensore (Cass. civ., sez. II, 25 ottobre 2012, n. 18334) e la legittimità della deliberazione sulla destinazione a parcheggio di una porzione del giardino, Cass. civ., sez. VI/II, 12 luglio 2011, n. 15319 ).

Più in generale, può osservarsi che la tutela del pregio estetico dell'edificio non implica necessariamente la conservazione della conformazione materiale del fabbricato, in quanto il decoro architettonico è una qualità che non coincide con tale conformazione ma ne è piuttosto la «risultante immateriale»: può così accadere che modificazioni della facciata, pur visibili dall'esterno, in realtà non pregiudichino la qualità estetica del prospetto nella sua essenziale armonia.

E', poi, da considerare che, ai fini dell'integrazione dell'alterazione del decoro architettonico, il pregiudizio economico non è un requisito ulteriore rispetto a quello propriamente estetico, venendo piuttosto in questione due profili non scindibili di un medesimo valore, i quali simul stabunt, simul cadent. Posto, quindi, che non esiste un autentico danno «estetico» - nei rapporti tra i privati - che non sia anche un pregiudizio patrimoniale, è agevole dedurre, come utile discrimine sul piano operativo, che la mancanza di un deprezzamento del valore delle singole unità immobiliari è sicuro indice della mancanza del pregiudizio al decoro architettonico.

Il decoro architettonico nel tempo

Ogni edificio subisce una sua propria vicenda, in relazione all'evolversi delle esigenze funzionali delle unità immobiliari e degli impianti tecnologici, con conseguenti modificazioni alla conformazione originaria, talvolta rilevanti anche dal punto di vista estetico.

Si tratta, quindi, di stabilire se l'alterazione del decoro architettonico sia da accertate con riferimento alla condizione «attuale» dell'edificio, al momento cioè in cui si inserisce la nuova opera, oppure a quella “originaria”, così come progettata e realizzata dal costruttore.

Al riguardo la giurisprudenza non ha fornito un indirizzo univoco. Talune pronunce tendono a privilegiare una nozione dinamica del pregio estetico del fabbricato, nel senso quindi di escludere l'illecito allorché il decoro originario sia stato già compromesso da precedenti interventi modificativi che hanno inciso sull'assetto nativo dell'edificio (Cass. civ., sez. II, 10 dicembre 2014, n. 26055; Cass. civ., sez. II, 26 febbraio 2009, n. 4679; Cass. civ., sez. II, 17 ottobre 2007, n. 21835; Cass. civ., sez. II, 27 ottobre 2003, n. 16098). Altre, invece, argomentano che ciascun condomino conserva, ai sensi dell'art. 1120 c.c., il diritto al ripristino delle caratteristiche originarie del fabbricato, a prescindere dalle decisioni assunte dalle mutevoli maggioranze assembleari, mentre il riguardo al solo stato attuale dell'edificio, con le modificazioni in fatto già apportate medio tempore, finirebbe per legittimare qualsiasi progressiva involuzione dei connotati estetici del fabbricato (Cass. civ., sez. II, 19 giugno 2009, n. 14455; Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 2007, n. 851; Cass. civ., sez. II, 22 agosto 2003, n. 12343).

Ad una corretta soluzione della questione può pervenirsi considerando, in primo luogo, che il decoro architettonico rientra tra i valori che non possono essere incisi in forza di una delibera assembleare, neppure con la maggioranza qualificata prevista per le innovazioni (art.1120, comma 4, c.c.), sicché la mera inerzia del condominio nella repressione di pregressi interventi degradanti non implica di per sé la maturazione di una situazione irreversibile per l'assetto dell'edificio; ciascun condomino conserva, infatti, il diritto al ripristino della condizione originaria a tutela della rispettiva proprietà, comune ed esclusiva, configurandosi la relativa azione come imprescrittibile ex art. 948 c.c., salva la maturazione dell'usucapione del contrapposto diritto al mantenimento della situazione lesiva (Cass. civ., sez. II, 7 giugno 2000, n. 7727).

Tuttavia, il diritto alla riduzione in pristino non potrebbe essere esercitato da un condomino, invocando il pregio estetico «originario» dell'edificio, solo in reazione a una modificazione più recente, senza, nel contempo, agire anche per le altre anteriori trasformazioni che abbiano già infranto le armonie di linee vigenti all'epoca dell'erezione del fabbricato.

Qualora, pertanto, la sanzione civile sia richiesta solo con riguardo ad una più recente innovazione, è da ritenere che la sussistenza dell'alterazione del decoro architettonico sia accertabile solo con riferimento alla conformazione dell'edificio esistente al tempo della costruzione dell'opera in contestazione: ciò in conformità alla funzione assolta, nel fatto illecito, dalla sanzione della reintegrazione in forma specifica, che non è certamente volta a ripristinare condizioni che non erano più esistenti già al tempo del compimento della condotta contra ius.

Visibilità

Talvolta, la giurisprudenza ha accertato la sussistenza dell'alterazione del pregio estetico dell'edificio sulla base di considerazioni meramente oggettive, inerenti alla conformazione ed all'incidenza delle nuove opere, argomentandosi che «nessuna influenza(…)può essere riconosciuta alla maggiore o minore visibilità di esse o alla loro non visibilità in relazione ai diversi punti di osservazione rispetto all'edificio condominiale, trattandosi di tutela accordata in sé e per sé a prescindere da situazioni contingenti» (così Cass. civ., sez. II, 16 gennaio 2007, n. 851).

Secondo l'orientamento prevalente, tuttavia, il decoro architettonico attiene a tutto ciò che nell'edificio è «visibile e apprezzabile dall'esterno», posto che esso si riferisce alle linee essenziali del fabbricato, cioè alla sua particolare struttura e fisionomia, che contribuisce a dare a esso una sua specifica identità (Cass. civ., sez. II, 7 settembre 2016, n. 17695; Cass. civ., sez. II, 29 aprile 2005, n. 8883; Cass. civ., sez. II, 30 agosto 2004, n. 17398).

In effetti, è da riconoscere che l'armonia di linee e di strutture che connota l'edificio non rileva se non nella misura in cui sia apprezzabile dall'esterno e, quindi, in concreto fruibile attraverso la percezione.

Nel contempo, però, deve considerarsi che il punto di vista «esterno» non è solo quello collocabile al di fuori dell'edificio (ad esempio, sulla adiacente via pubblica) ma anche quello esistente nei diversi punti di veduta interni (da finestre, balconi, vani scala ecc.) attraverso i quali è percepibile la fisionomia del fabbricato.

Occorre, quindi, riconoscere che non tutti i punti di osservazione sono equivalenti. L'impatto verso la via pubblica o sul cortile di accesso è, in tal senso, senz'altro preminente rispetto a quello verso una chiostrina interclusa o rispetto alla veduta circoscritta a talune unità immobiliari, sicché si giustifica, per esempio, un maggior rigore nella salvaguardia di una facciata principale rispetto alle porzioni interne dello stabile. Tale distinzione riflette, del resto, il contenuto patrimoniale proprio del decoro architettonico, che è maggiore o minore a seconda dell'inerenza ai prospetti principali o secondari dell'edificio.

Il rilievo da assegnare al criterio della visibilità non può, comunque, essere utilizzato come strumento di elusione della tutela del decoro architettonico. Non può, cioè, ammettersi che uno schermo, più o meno posticcio, idoneo a nascondere la nuova opera (ad esempio, una tenda, un canneto od un reticolato), possa escludere l'alterazione del decoro dell'edificio. Al riguardo deve, infatti, precisarsi che il decoro architettonico è comunque qualità inerente alla struttura costruttiva e, come tale, prescinde da quegli elementi accessori aventi carattere provvisorio, non radicati nella costruzione e relativi all'uso contingente dell'unità immobiliare.

Supercondominio estetico

La situazione di supercondominio, come noto, si costituisce ex lege in virtù della condivisione, da parte di una pluralità di edifici, di taluni beni, impianti o servizi obiettivamente destinati all'uso da parte di ciascuna unità immobiliare (ad esempio, il viale di accesso, il riscaldamento, l'autorimessa ecc.) : si profila, quindi, un vincolo di necessaria accessorietà, tra i beni condivisi e quelli in proprietà esclusiva, del tutto analogo a quello previsto dall'art.1117 c.c., con conseguente applicazione del regime proprio del condominio, secondo quanto già affermato in giurisprudenza e, dopo la legge di riforma ex l. n. 220/12, espressamente disposto dall'art.1117bis c.c..

Tra i beni in situazione di supercondominio deve comprendersi anche l'eventuale uniformità di stile ed armonia di linee che connoti la fisionomia complessiva della pluralità di edifici, pur strutturalmente autonomi, ove contestualmente progettati per coesistere nell'ambito di un medesimo disegno edilizio.

Tale fisionomia estetica supercondominiale è ovviamente eventuale e da accertare in concreto: tuttavia, laddove sussiste, non è necessariamente limitata a quei beni che sono condivisi tra gli edifici - l'area di parcheggio, il cortile ecc. - ma ben può estendersi a tutte le altre porzioni comunque incidenti sulle linee, i colori ed i volumi che caratterizzano unitariamente l'intero complesso di edifici.

In conclusione

Il decoro architettonico del supercondominio, pur afferendo ad una pluralità di fabbricati, non deve, tuttavia, confondersi con le prescrizioni inerenti al tessuto urbano così come disciplinato nella pianificazione territoriale, le cui previsioni attengono al diritto pubblico ed agli interessi generali inerenti all'urbanistica ed all'ambiente: esso rientra, piuttosto, nel contenuto della proprietà immobiliare e, come tale, è da tutelare nei rapporti tra i privati (in tal senso, in ordine all'estraneità del decoro architettonico alla materia urbanistica, Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 2010, n. 1286; Cass. civ., sez. II, 25 gennaio 1999, n. 668).

Nell'esercizio dell'autonomi negoziale, i partecipanti al supercondominio possono, inoltre, adottare una disciplina integrativa di quella legale in ordine al rispetto del profilo estetico dei singoli edifici: la giurisprudenza ha, in effetti, già riconosciuto che nell'ambito del regolamento contrattuale supercondominiale sono legittimi gli eventuali divieti di apportare modifiche strutturali, funzionali ed estetiche a ciascuna unità immobiliare, in tal senso costituendosi servitù reciproche suscettibili di imporsi anche ai successivi aventi causa ai fini della conservazione della facies originaria dei fabbricati (Cass. civ., sez. II, 13 giugno 2013, n. 14898).

Guida all'approfondimento

Celeste, Le parti comuni ed esclusive, Milano, 2016;

Petrolati, Permangono le ambiguità sui connotati del decoro architettonico, in Immobili & diritto, 2008, fasc. 6, 114;

Cirla, La facciata dell'edificio, Immob. & proprietà, 2006, 345;

Petrolati - Rinzivillo, Il decoro architettonico: l'estetica dell'edificio condominiale, il diritto di antenna, la scena urbana, Milano, 2004;

Celeste, Le facciate degli edifici tra esigenze di pubblicità, problemi di sicurezza e rispetto del decoro, in Riv. giur. edil., 2003, II, 167;

Salis, Nozione di decoro architettonico e limiti al dovere di rispettarlo, in Riv. giur. edil.,1973, I, 704.

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