Responsabilità per parti comuni in custodia

Paolo Nasini
14 Settembre 2017

In caso di condominio negli edifici, i condomini, quali custodi, ai sensi dell'art 2051 c.c., rispondono, in solido, dei danni cagionati dalle parti comuni, individuate ai sensi degli artt. 1117 e 1117-bis c.c., nei confronti di terzi (tra i quali vanno considerati gli stessi condomini danneggiati e i conduttori delle proprietà esclusive in condominio), salvo che dimostrino che il danno è stato determinato da caso fortuito, ovvero da un fatto esterno imprevisto, imprevedibile ed inevitabile.
Inquadramento

Qualora un soggetto subisca un danno in conseguenza di un sinistro provocato da un bene comune condominiale, trova applicazione l'art 2051 c.c., ai sensi del quale ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.

Occorre individuare i presupposti a fronte dei quali la collettività dei condomini, ossia il condominio, deve ritenersi responsabile per i danni cagionati a condomini o a terzi dalle cose comuni.

Nell'ambito del condominio vi sono numerosi beni comuni, esemplificativamente elencati dall'art. 1117 c.c. (ad esempio, tetto, fondamenta, muri maestri, impianti fognari, impianto di riscaldamento, ecc.).

Tali beni sono tutti potenzialmente dannosi per gli stessi condomini o per i terzi: da qui nasce il problema di capire quale sia o quali siano i soggetti responsabili, tenuti cioè a risarcire i danni cagionati dai beni comuni medesimi (si pensi al caso classico di infiltrazioni provenienti dal lastrico solare di copertura dell'appartamento sottostante o alla caduta accidentale di calcinacci dalla facciata, alla rottura di tubazioni condominiali).

Natura della responsabilità

Fino ad un recente passato (più o meno l'inizio degli anni '90), la giurisprudenza e la dottrina minoritaria ritenevano che quella ex art. 2051 c.c. fosse una responsabilità «per colpa presunta» (per il principio nullum crimen sine culpa per cui non si può affermare la responsabilità di qualcuno se non si prova che quanto accaduto sia avvenuto, almeno, per sua negligenza, imprudenza, imperizia): si diceva, quindi, che il custode era gravato da un obbligo di vigilanza sulla cosa in custodia e che in caso di danno sarebbe stato chiamato a rispondere della negligente sorveglianza. Parlare di responsabilità per colpa presunta significa, in termini concreti, che, per andare esente da responsabilità, il custode dovrebbe provare di aver agito con la diligenza, perizia e prudenza richiesti dal caso concreto e in caso positivo non potrebbero in alcun modo essergli imputati il fatto dannoso e le conseguenze di questo.

La giurisprudenza, però, a partire dai primi anni novanta si è assestata, pressoché all'unanimità, nel senso di ritenere che si tratti di una responsabilità c.d. oggettiva nel senso che il fondamento della responsabilità del custode non va, cioè, ricercato nella violazione di un suo obbligo, ma esclusivamente nella relazione di fatto e di diritto intercorrente tra la cosa e il custode. Questo perché, essendo il custode colui il quale ha la possibilità di controllare materialmente e giuridicamente i rischi che possono derivare dalla cosa, egli, per ciò solo, risponde dei danni da essa derivanti. Non assumendo in tal caso rilevanza il comportamento del custode, quest'ultimo non può addurre come prova liberatoria l'assenza di colpa, ma ha l'onere di provare il «caso fortuito» e cioè, che il fatto dannoso si è verificato a causa di un evento imprevedibile ed eccezionale.

La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia (art. 2051 c.c.), quindi, ha carattere oggettivo e funzione della norma è quella di imputare la responsabilità a chi si trova nelle condizioni di controllare i rischi inerenti alla cosa, dovendo pertanto considerarsi custode chi di fatto ne controlla le modalità d'uso e di conservazione, e non necessariamente il proprietario o chi si trova con essa in relazione diretta (Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2005, n. 5326).

Ciò significa che per il configurarsi della fattispecie di cui all'art. 2051 c.c. è sufficiente la sussistenza del nesso causale tra la cosa in custodia ed il danno arrecato, mentre non rileva la condotta del custode e l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, in quanto la nozione di custodia non presuppone, né implica, uno specifico obbligo di custodia analogo a quello previsto per il depositario, dovendosi considerare che la funzione di detta norma è quella di imputare la responsabilità a chi di fatto si trova nella condizione di controllare i rischi della cosa.

In evidenza

Il fondamento della responsabilità del custode non va ricercato nella violazione di un suo obbligo, ma esclusivamente nella relazione di fatto e di diritto intercorrente tra la cosa e il custode.

Nozione di cosa in custodia

In primo luogo, è bene ricordare che nel definire il concetto di «cosa» la giurisprudenza ha chiarito che non è necessario che il bene mobile o immobile sia intrinsecamente pericoloso (come, ad esempio, una bombola piena di gas), ma che la cosa, anche se inerte o, comunque, di per sé non pericolosa, abbia svolto un ruolo attivo, anche in presenza di particolari circostanze esterne, e non semplicemente passivo nella produzione del danno. In tal senso, la cosa in custodia non deve essere una semplice occasione di danno.

In altre parole, la responsabilità ex art. 2051 c.c. sussiste non solo per i danni che la cosa è suscettibile per sua natura di produrre, ma anche per quelli che dipendono dall'insorgere, nella cosa stessa, di un agente dannoso.

Occorre, pertanto, che la cosa, pur in presenza di altre concause, abbia comunque fornito un apporto necessario ed attivo nella causazione dell'evento e non abbia costituito la mera occasione per la produzione del danno o non sia stata un mero strumento, o, ancora, non abbia meramente agevolato la produzione dell'evento dannoso.

Nel caso, ad esempio, della caduta di neve dal tetto condominiale, la giurisprudenza da sempre ritiene che vi sia il nesso di causa tra la cosa e il danno perché a causa del tetto la neve si accumula e, quindi, esso determina il cadere di blocchi di neve che in mancanza del tetto non si sarebbero formati.

In concreto, c'è differenza tra il caso in cui un passante inciampi in un gradino privo di difetti o insidie e quello nel quale la caduta è provocata da un gradino rotto o un gradino sul quale è presente della segatura bagnata (ad esempio, in conseguenza dell'esecuzione di lavori da parte del condominio ancorché appaltati a terzi).

Con riferimento al condominio possono costituire fonte di responsabilità non solo quelle cose di per sé pericolose come l'impianto di riscaldamento ed in particolare la caldaia, ma anche beni assolutamente inerti come le scale, i marciapiedi che, qualora intervenga un elemento esterno o interno particolare, possono assumere un ruolo attivo nella produzione dell'evento dannoso (una buca nel marciapiede condominiale, la sporcizia sul piano dei gradini delle scale).

Nozione di custodia e soggetti legittimati attivi e passivi

Il rapporto di custodia è quello intercorrente tra la cosa e il custode: la giurisprudenza e la dottrina in modo univoco hanno definito e definiscono costantemente la custodia come quella situazione di disponibilità di fatto e di diritto che consente al custode di poter escludere chiunque dal controllo e dall'utilizzo della cosa, assumendo egli solamente i rischi derivanti dalla cosa.

Con riferimento al contesto condominiale, si può rilevare come vi possono essere astrattamente tre situazioni di custodia diversificate: quella che lega il condominio ai beni comuni; la custodia del condomino sui suoi beni di proprietà esclusiva; la particolare posizione dell'inquilino-conduttore di immobile in locazione all'interno dell'edificio condominiale, che come vedremo deve ritenersi custode dei beni a sua disposizione. Infine, si è posto il problema della configurabilità di una posizione di custodia dei beni comuni in capo all'amministratore di condominio.

Iniziando dal Condominio, inteso, ovviamente, come l'insieme dei condomini, esso è certamente custode dei beni «comuni» esemplificativamente indicati dall'art. 1117 c.c. (ad esempio, tetto, fondamenta, muri maestri, suolo, impianti comuni).

Tra i beni comuni, dei quali il condominio è custode, rientrano gli impianti ed i servizi comuni. Al riguardo, l'art. 1117, comma3, c.c. prevede che le opere, le installazioni, i manufatti di qualunque genere che servono all'uso e al godimento comune, come gli ascensori, i pozzi, le cisterne, gli acquedotti e inoltre le fognature e i canali di scarico, gli impianti per l'acqua, per il gas, per l'energia elettrica, per il riscaldamento e simili, fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini.

In ordine a tali beni, pertanto, qualora si verifichi un danno a terzi, il condominio ne risponde ai sensi dell'art 2051 c.c.

Si consideri, poi, che la nozione di condominio, a seguito della riforma introdotta dalla l. 11 dicembre 2012, n. 220, sulla scorta degli insegnamenti dottrinari e giurisprudenziali che hanno inteso ampliare la stessa (si pensi al concetto di condominio «orizzontale»), è stata arricchita, rispetto alla tipica concezione «verticale» dell'istituto, in quanto ai sensi del nuovo art. 1117-bis c.c. le disposizioni di cui al capo II in materia di Condominio si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'art. 1117 c.c.

In ogni caso, i soggetti che risultano certamente custodi, secondo la definizione più sopra ricordata, nell'ambito del condominio, attesa la mancanza di personalità e vera e propria soggettività giuridica in capo all' «ente condominiale», sono i singoli condomini, i quali risponderanno ai sensi del combinato disposto degli artt. 2051 e 2055 c.c., come si dirà più avanti.

Più discussa e discutibile, invece, è la configurabilità della responsabilità in oggetto a carico dell'amministratore di condominio, laddove, fermi restando gli obblighi e le conseguenti responsabilità nei confronti dei condomini in caso di non corretto adempimento ai propri doveri di protezione, vigilanza e sorveglianza, la giurisprudenza più recente sembra negare il riconoscimento di una posizione di custodia dei beni comuni in capo allo stesso.

Ulteriore questione interpretativa è quella relativa alla declinazione del concetto di custodia nei casi previsti dall'art. 1123, comma 2, c.c., laddove il danno sia stato cagionato da cose destinate a servire i condomini in misura diversa e nei casi previsti dall'art. 1123, comma 3, c.c., in caso di un edificio avente più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato: in entrambe le fattispecie, infatti, viene da chiedersi se la custodia debba essere riconosciuta solo con riguardo ai condomini o gruppi di condomini che dalle cose ritraggono utilità e sono, quindi, obbligati a manutenerle.

Ebbene, a questo riguardo, se sotto il profilo della legittimazione processuale, nei casi di operatività dell'art. 1131 c.c., per la presenza dell'amministratore di condominio, il condominio, quale espressione di sintesi della collettività condominiale, non fraziona la propria legittimazione, non potendo essere chiamato in giudizio il c.d. condominio parziale (laddove via sia in particolare un amministratore specifico dello stesso), per quanto concerne la custodia, invece, occorre distinguere la previsione del secondo comma da quella del terzo comma dell'art. 1123 c.c.

Nel primo caso, infatti, ancorché la partecipazione alle spese sia maggiore con riferimento ad alcuni dei condomini, la custodia rimane in capo all'intera collettività condominiale, in quanto su tutti grava comunque l'obbligo di provvedere alla manutenzione e, quindi, a disporre anche giuridicamente dei beni comuni.

Diversamente, nel caso del comma 3, viene prevista una specifica scissione degli obblighi: le spese relative alla manutenzione di una parte dell'edificio sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità i quali soli, quindi, devono essere considerati custodi.

Tra i soggetti legittimati ad agire nei confronti del condominio per i danni patiti a causa di beni condominiali devono ricomprendersi anche i singoli condomini (ex plurimis, v. Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 1987, n. 1500).

Legittimato attivamente, secondo la giurisprudenza è anche il conduttore dell'immobile sito in condominio (Cass. civ., sez. III, 5 dicembre 1981, n.6467).

In evidenza

La custodia è quella situazione di disponibilità di fatto e di diritto che consente al custode di poter escludere chiunque dal controllo e dall'utilizzo della cosa, assumendo egli solamente i rischi derivanti dalla cosa stessa.

Prova liberatoria e caso fortuito

Come abbiamo visto, l'art 2051 c.c. prevede un'ipotesi di responsabilità oggettiva e il custode può andarne esente solo se prova il caso fortuito.

La giurisprudenza definisce caso fortuito ogni fatto estraneo alla sfera del custode, dotato di impulso causale autonomo che sia imprevedibile ed inevitabile da parte del custode, comprensivo, altresì delle ipotesi del fatto del terzo e del comportamento colposo del danneggiato, restando a carico del custode l'ipotesi della causa ignota.

In particolare, la giurisprudenza accoglie una nozione oggettiva di fortuito per cui il fatto sopravvenuto libera il custode se ed in quanto interrompe il nesso causale tra la cosa e il danno.

Il concetto di imprevedibilità e di inevitabilità del fattore esterno rileva, quindi, solo sul piano del rapporto di causalità e non della condotta del custode e, pertanto, va considerato oggettivamente al fine di mettere in relazione tra loro gli accadimenti sulla base del calcolo delle probabilità: in altre parole, non rileva in alcun modo stabilire se il custode abbia potuto o meno prevedere l'infortunio occorso, ma è necessario valutare se, verosimilmente, in quelle circostanze di tempo e di luogo l'evento sia da mettere in relazione alla custodia e in che misura.

Nel concetto di caso fortuito, quindi, vi rientra sia il fatto naturale, sia la causa di forza maggiore, sia il fatto del terzo e dello stesso danneggiato.

Anche il fatto del terzo deve essere autonomo, imprevedibile ed inevitabile non dovendosi ritenere assolta la prova liberatoria quando il terzo è stato favorito dalle condizioni in cui il custode manteneva la cosa.

Ugualmente nel caso della colpa del danneggiato: in tal caso, però, se il comportamento del danneggiato è stato favorito dalle condizioni della cosa, allora il danneggiato sarà comunque manlevato da parte della responsabilità.

Con riferimento all'onere della prova, la Cassazione ha più volte ribadito che la fattispecie di cui all'art. 2051 c.c. determina un'inversione dell'onus probandi in ordine al nesso causale, incombendo sull'attore la prova del nesso eziologico tra la cosa e l'evento lesivo nonché la prova del danno subito, mentre grava sul convenuto la prova del caso fortuito (v., tra le tante, Cass. civ., sez. III, 10 marzo 2005, n. 5326).

Calato nella prospettiva condominiale il problema della rilevanza del caso fortuito ci porta ad affrontare la questione dei danni cagionati a terzi da beni condominiali e dovuti a vizi di costruzione dell'edificio.

Si pensi ad esempio al caso che nel corso di un processo emergano evidenti carenze progettuali e costruttive in ordine alla impermeabilizzazione delle pareti di un edificio condominiale: in un caso analogo la Cassazione ha affermato, confermando, in tal modo, un indirizzo consolidato, che il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno, e risponde in base all'art. 2051 c.c. dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini, ancorché i danni siano imputabili a vizi edificatori dello stabile, comportanti la concorrente responsabilità del costruttore - venditore, ai sensi dell'art. 1669 c.c., non potendosi equiparare i difetti originari dell'immobile al caso fortuito, che costituisce l'unica causa di esonero del custode dalla responsabilità ex art. 2051 c.c.; qualora la situazione dannosa sia potenzialmente produttiva di ulteriori danni, il condominio può essere obbligato anche a rimuovere le cause del danno stesso, ex art. 1172 c.c. (Cass. civ., sez. III, 20 agosto 2003, n. 12211).

Ugualmente, con riferimento ad un caso di danno derivante dal cattivo funzionamento della rete fognaria condominiale, verificatosi per un vizio intrinseco della cosa, addebitabile unicamente alla società costruttrice la Cassazione ha affermato la responsabilità del condominio perché il vizio di costruzione della cosa in custodia, anche se ascrivibile al terzo costruttore, non esclude la responsabilità del custode nei confronti del terzo danneggiato, non costituendo caso fortuito, che interrompe il nesso eziologico, salva l'azione di rivalsa del danneggiante-custode nei confronti dello stesso costruttore (Cass. civ., sez. III, 30 ottobre 2008, n. 26051).

Al di fuori del problema dei vizi di costruzione, un tipico caso di sussistenza del caso fortuito per fatto di terzo in ambito condominiale è dato dal c.d. uso improprio della cosa comune.

Sul punto, la Suprema Corte ha avuto modo di sottolineare che il dovere del custode di segnalare il pericolo connesso all'uso della cosa si arresta di fronte ad un'ipotesi di utilizzazione impropria - da parte del terzo o del danneggiato - la cui pericolosità sia talmente evidente ed immediatamente apprezzabile da chiunque, tale da renderla del tutto imprevedibile, sicché siffatta impropria utilizzazione esclude il nesso di causalità per gli effetti di cui all'art. 2051 c.c. (Cass. civ., sez. III, 10 ottobre 2008, n. 25029: trattavasi di fattispecie nella quale il danno nell'immobile di un condomino si era verificato a causa dell'occlusione della colonna delle acque luride per immissione anomala di un assorbente igienico proveniente dalla proprietà esclusiva di un altro condomino).

Il custode, quindi, ha l'onere di provare una causa che avendo i requisiti dell'autonomia, dell'eccezionalità, dell'imprevedibilità, dell'inevitabilità integri il caso fortuito. E' principio consolidato che nel caso in cui il danneggiante non dimostri l'esistenza di questa diversa causa egli risponde dei danni: in altre parole, rimane a suo carico la causa c.d. ignota.

Occorre, però, distinguere la causa ignota dal fatto del terzo rimasto ignoto. Nel primo caso, la responsabilità rimane a carico del custode in quanto il fatto ignoto non è idoneo ad eliminare il dubbio in ordine allo svolgimento eziologico dell'accadimento (Cass. civ., sez. III,2 febbraio 2006, n. 2284)

Se, invece, è certo che l'evento dannoso si è verificato per fatto del terzo rimasto ignoto, in questo caso, essendo interrotto il nesso causale tra la cosa e l'evento dannoso, il custode non risponde del danno (Cass. civ., sez. III, 15 febbraio 1982, n. 365).

L'individuazione precisa del terzo non costituisce, cioè, un elemento essenziale per la prova dell'interruzione del nesso eziologico.

Per «uso improprio o anomalo della cosa», la giurisprudenza ritiene un uso diverso rispetto a quella che era la sua normale destinazione (Cass. civ., sez. III, 15 ottobre 2004, n. 20334; Cass. civ., sez. III, 10 agosto 2004, n. 15429; Cass. civ., sez. III, 6 ottobre 2000, n. 13337). Pertanto, il dovere del custode di segnalare il pericolo connesso all'uso della cosa si arresta di fronte ad un'ipotesi di utilizzazione impropria la cui pericolosità sia talmente evidente ed immediatamente apprezzabile da chiunque, tale da renderla del tutto imprevedibile, sicché siffatta impropria utilizzazione esclude il nesso di causalità per gli effetti di cui all'art. 2051 c.c. (Cass.civ., sez. III, 21 ottobre 2005, n. 20359; Cass. civ. sez. III, 6 ottobre 2000, n. 13337).

In evidenza

Caso fortuito è ogni fatto estraneo alla sfera del custode, dotato di impulso causale autonomo che sia imprevedibile ed inevitabile da parte del custode, comprensivo, altresì delle ipotesi del fatto del terzo e del comportamento colposo del danneggiato, restando a carico del custode l'ipotesi della causa ignota.

La solidarietà tra i condomini nei confronti del danneggiato

A seguito della pronuncia delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione n. 9148/2008 (che ha affermato la natura parziaria delle obbligazioni assunte dai condomini nei confronti dei terzi creditori), poi sostanzialmente confermata dai successivi arresti giurisprudenziali, sino alla riforma approntata dalla l. n. 220/2012, in dottrina e giurisprudenza ci si è interrogati se il regime di parziarietà sia applicabile anche alle obbligazioni di fonte extracontrattuale. Tale quesito, peraltro, vale anche con riguardo all'ambito di applicazione dell'art. 63 disp. att. c.c. novellato.

La Suprema Corte, a questo proposito, ha avuto modo di precisare, peraltro, proprio con riferimento alle ipotesi di responsabilità da cose in custodia in condominio, che il risarcimento soggiace alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055, comma 1, c.c., norma che opera un rafforzamento del credito, evitando al creditore di dover agire coattivamente contro tutti i debitori pro quota (Cass. civ., sez. III, 29 gennaio 2015, n. 1674).

Conseguentemente, il creditore dovrebbe poter agire nei confronti non solo della collettività condominiale rappresentata dall'amministratore (laddove lo stesso sia stato nominato) ai sensi dell'art. 1131 c.c., ma anche solo del singolo condomino.

In senso contrario, però, la Suprema Corte ha precisato che in materia di condominio di edifici, la legittimazione passiva nel giudizio avente ad oggetto il risarcimento dei danni derivanti dal cedimento di strutture condominiali spetta al condominio, in persona dell'amministratore quale rappresentante di tutti i condomini obbligati - e non già al singolo condomino che può essere chiamato in giudizio a titolo personale soltanto ove frapponga impedimenti all'esecuzione dei lavori di manutenzione o ripristino, ovvero allorché i danni derivino da difetto di conservazione o di manutenzione a lui imputabili in via esclusiva -, poiché la responsabilità delineata dall'art. 2053 c.c. si fonda sulla proprietà del bene, la cui rovina è cagione del danno, e va imputata a chi abbia la possibilità di ovviare ad un vizio di costruzione o di provvedere alla manutenzione del bene, ossia - per le strutture condominiali - al condominio. (Cass. civ., sez. III, 25 agosto 2014, n. 18168).

La pronuncia in questione finisce, però, per, sostanzialmente, interpretare l'art. 1131 c.c. in modo limitativo per il soggetto agente, laddove la norma in esame è volta ad agevolare l'attore, consentendogli di non dover individuare e, quindi, citare in giudizio i singoli condomini; inoltre, occorre considerare come la previsione dell'art. 1131 c.c. possa trovare applicazione solo nel caso, appunto, in cui l'amministratore sia stato nominato, in caso contrario dovendosi ritenere possibile per il danneggiato, ai sensi dell'art. 2055 c.c., chiamare in giudizio anche il solo singolo condomino.

In ogni caso, va detto che sotto il profilo delle possibilità, per il terzo danneggiato, di trovare effettiva soddisfazione economica, stante la solidarietà ex art. 2055 c.c., nessun tipo di problema sussiste con riferimento alla possibilità di agire esecutivamente o in via cautelare con riguardo al c.d. conto corrente condominiale.

Casistica

CASISTICA

Furto in condominio

Nella ipotesi di furto in appartamento condominiale, commesso con accesso dalle impalcature installate in occasione della ristrutturazione dell'edificio, è configurabile la responsabilità dell'imprenditore ex art. 2043 c.c., per omessa ordinaria diligenza nella adozione delle cautele atte ad impedire l'uso anomalo dei ponteggi, nonché la responsabilità del condominio, ex art. 2051 c.c., per l'omessa vigilanza e custodia, cui è obbligato quale soggetto che ha disposto il mantenimento della struttura (Cass. civ., sez. II, 19 dicembre 2014, n. 26900).

Fossa settica

In tema di condominio, la fossa settica posta nel sottosuolo dell'edificio, nella quale confluiscono i liquami provenienti dagli scarichi dei sovrastanti appartamenti, rientra tra le parti comuni, in forza della presunzione di condominialità di cui all'art. 1117, n. 1), c.c., salvo che il contrario non risulti da un titolo, con la conseguenza che i singoli condomini che utilizzano l'impianto devono contribuire alle relative spese di utilizzazione e manutenzione, e sono tenuti, ai sensi dell'art. 2051 c.c., al risarcimento dei danni da esso eventualmente causati agli altri condomini o a terzi (Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2014, n. 22179).

Responsabilità del mero utilizzatore della cosa

In tema di danni da cose in custodia, ai fini della configurabilità della responsabilità ex art. 2051 c.c. è sufficiente la sussistenza del rapporto di custodia con la cosa che ha dato luogo all'evento lesivo, rapporto che postula l'effettivo potere sulla cosa, e cioè la disponibilità giuridica e materiale della stessa, che comporti il potere dovere di intervento su di essa, e che compete al proprietario o anche al possessore o detentore. La disponibilità che della cosa ha l'utilizzatore non comporta, invece, necessariamente il trasferimento in capo a questi della custodia, da escludere in tutti i casi in cui, per specifico accordo delle parti, o per la natura del rapporto, ovvero per la situazione fattuale determinatasi, chi ha l'effettivo potere di ingerenza, gestione ed intervento sulla cosa, nel conferire all'utilizzatore il potere di utilizzazione della stessa, ne abbia conservato la custodia (nella specie, si è annullata la decisione della corte territoriale che aveva affermato la responsabilità per i danni subiti dal terzo proprietario di un immobile sottostante un giardino, in capo al condominio che ne godeva in forza di un titolo negoziale, quest'ultimo ponendo a carico del condomino la sola manutenzione ordinaria dello spazio verde e lasciando la manutenzione straordinaria al proprietario costruttore) (Cass. civ., sez. III, 17 giugno 2013, n. 15096).

Guida all'approfondimento

Nasini P., La responsabilità da cose in custodia e gli obblighi di locatore e conduttore, in Immob. & diritto, 2007, fasc. 7, 55;

Salvati, La responsabilità da cose in custodia, Milano, 2012;

Franzoni, L'illecito, Milano, 2010.

Greco - Pasanisi - Ronchi, Il danno da cose in custodia, Milano, 2004.

Sommario