La copia informatica della sentenza cartacea priva di firma digitale del Cancelliere equivale all'originale

Redazione scientifica
15 Novembre 2017

L'art. 16-bis d.l. n. 179/2012, ai sensi del quale la copia informatica contenuta nel fascicolo telematico equivale all'originale ancorché priva della sottoscrizione del Cancelliere, deve considerarsi applicabile anche agli atti formatisi prima dell'entrata in vigore del PCT.

Il caso. Il controricorrente ha presentato eccezione di inammissibilità del ricorso in quanto il termine di 60 giorni previsto per la proposizione del ricorso per Cassazione, decorrente dalla data in cui la sentenza impugnata era stata comunicata via PEC in forma integrale dalla Cancelleria al difensore del ricorrente, era ormai scaduto alla data della notifica del ricorso stesso.

Parte ricorrente, pur non negando che la comunicazione della sentenza fosse avvenuta in forma integrale, ne ha contestato l'idoneità a far decorrere il termine breve per l'impugnazione poiché il Cancelliere non aveva apposto, all'atto dell'inserimento nel fascicolo informatico, la firma digitale sulla copia digitalizzata dell'originale cartaceo del provvedimento.

Equivale all'originale la copia informatica priva di firma digitale del Cancelliere. Secondo la Suprema Corte, la tesi del ricorrente è priva di ogni fondamento giuridico.

Deve considerarsi applicabile anche agli atti formatisi prima dell'entrata in vigore del PCT (e, quindi, anche nel caso di specie), l'art. 16-bis, comma 9-bis, d.l. n. 179/2012, convertito in l. n. 221/2012, nel testo vigente ratione temporis, in base al quale la copia informatica contenuta nel fascicolo informatico equivale all'originale ancorché priva della sottoscrizione del Cancelliere. Infatti, non solo tale disposizione non prevede alcuna espressa limitazione a carattere temporale, ponendo al contrario l'accento sul contenuto del fascicolo informatico , ma non avrebbe neanche alcun senso riferirla ai soli atti per i quali il PCT risulta obbligatorio (a decorrere dal 30 giugno 2014) in quanto «si tratterebbe all'evidenza di atti nativi digitali».

Per la Cassazione, proprio l'ampiezza della normativa in esame attesta la volontà del legislatore di estendere il suo ambito di applicazione oltre l'area della obbligatorietà e della facoltatività del deposito telematico, disponendone l'applicazione a tutti gli atti digitalizzati in conformità al PCT (e quindi proprio alle copie telematiche presenti nei fascicoli informatici).

Per questi motivi, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

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