Quando è rimborsabile il versamento del socio in conto futuro aumento di capitale

30 Novembre 2017

L'apporto di danaro a favore di una s.r.l. finalizzato alla sottoscrizione di un futuro aumento del capitale sociale (generalmente qualificato come “versamento in conto futuro aumento di capitale”), fa sorgere nei confronti del finanziatore – indipendentemente dalla sua qualifica di socio o terzo - un credito verso la società. Di conseguenza...
Massima

L'apporto di danaro a favore di una s.r.l. finalizzato alla sottoscrizione di un futuro aumento del capitale sociale (generalmente qualificato come “versamento in conto futuro aumento di capitale”), fa sorgere nei confronti del finanziatore – indipendentemente dalla sua qualifica di socio o terzo - un credito verso la società. Di conseguenza, qualora successivamente non venga deliberato l'aumento di capitale prospettato, la somma versata dovrà essere restituita – applicandosi i principi generali dell'indebito oggettivo di cui all'art. 2033 c.c. - dalla società al finanziatore, essendo venuta meno la causa giustificatrice del versamento.

Il caso

La sentenza in commento costituisce l'esito (di primo grado) di un procedimento ingiuntivo promosso da una persona fisica, non socia, nei confronti di una s.r.l. per ottenere il rimborso di una somma, bonificata alla società nell'ottobre del 2011, con causale “finanziamento per prossimo aumento di capitale”. In assenza di una successiva delibera di aumento di capitale - che pure era stata prospettata dalla società, secondo la ricorrente, proprio al fine di consentirle l'ingresso nella compagine sociale - e in mancanza del rimborso della somma, successivamente richiesta, da ultimo con raccomandata del maggio 2013 (ove peraltro la ricorrente dichiarava di non voler partecipare ad eventuali futuri aumenti di capitale), il Tribunale ha acconsentito a emettere un decreto ingiuntivo.

La s.r.l. ha così introdotto il giudizio di merito in opposizione, senza tuttavia dimostrare, a detta del Collegio, né l'assenza di prova del credito (il bonifico infatti era stato effettivamente “eseguito”, come risultante dalle dichiarazioni confessorie contenute nell'atto di citazione in opposizione), né l'assenza originaria della causa del finanziamento, messa invece in luce dalla ricorrente e risultante “in modo chiarissimo dalla contabile bancaria”, nonché “mai stata contestata per lunghissimo tempo dalla società ricevente la somma”.

Il Collegio, nel confermare il decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale, si è pronunciato statuendo un obbligo restitutorio in capo alla società, precisando in particolare che lo status soggettivo del finanziatore (terzo anziché socio) non muta il regime del versamento, ove sia ravvisabile dalle circostanze di fatto un'esatta qualificazione, e che, in adesione all'orientamento interpretativo estensivo dell'art. 2033 c.c., anche in assenza di causa (in ogni caso ravvisata nel caso in esame), sarebbe sorto un obbligo restitutorio in capo alla s.r.l..

Le questioni

La sentenza in commento si inserisce nel dibattito, di significativa importanza anche pratica, concernente la classificazione dei diversi tipi di versamenti che i soci – o, in certi casi, anche i terzi, come dimostra il caso di specie - apportano alla società e il relativo regime applicabile. Infatti, tra un estremo (il conferimento del socio in denaro in sottoscrizione di un aumento di capitale) e l'altro (il prestito di un terzo, foriero di interessi, con successivo obbligo di restituzione) esiste un terreno di confine non sempre di facile lettura, che la sentenza in esame aiuta a comprendere.

La dottrina si è molto interrogata sul regime giuridico da attribuire ai contributi spontaneamente versati dai soci alla società per dotarla di mezzi propri ma da non computare a capitale (cfr., tra gli altri, M. Maugeri, Finanziamenti «anomali» dei soci e tutela del patrimonio nelle società di capitali, Milano, 2005; G. Tantini, I versamenti dei soci alla società, in Trattato Colombo-Portale, 1, Torino, 2004).

Si tende generalmente a classificare, sulla base di una ricostruzione in fatto, tali apporti come (i) “finanziamenti”, (ii) “versamenti in conto capitale o a fondo perduto” e (iii) “versamenti in conto futuro aumento di capitale” (cfr. Cass. Civ. 19 marzo 1996, n. 2314, in Riv. dir. comm. 1996, II, 329, citata nella sentenza in commento). I primi fanno sorgere un vero e proprio obbligo di restituzione da parte della società e, come tali, sono appostati nel “Quadro D” del passivo dello stato patrimoniale, tra i debiti. I secondi trattasi, al contrario, di apporti non comportanti obbligo di restituzione, non legati a una specifica e prospettica operazione sul capitale, idonei a irrobustire il patrimonio netto della società e dotarla di mezzi propri (seppur con una disciplina meno rigida di quella del capitale sociale). Come tali, non sono appostati a debito ma a riserva e restano definitivamente acquisiti dalla società.

La sentenza in esame si occupa dei versamenti del terzo tipo che appartengono alla categoria più sfumata. Si tratta, in sostanza, di versamenti corrispondenti a “veri e propri acconti su versamenti che saranno dovuti” (M. Spolidoro, Riserve Targate in Società, banche e crisi d'impresa, Liber amicorum P. Abbadessa, Vol. II, Torino, 2014) in ragione dell'intenzione di sottoscrivere un determinato aumento di capitale, ancora non deliberato ma pur sempre individuato con un certo grado di chiarezza. In altri termini, appaiono come apporti risolutivamente condizionati alla mancata, successiva, deliberazione di aumento del capitale nominale della società.

Essendo acconti su un debito futuro, che sorge solo al momento della deliberazione sull'aumento di capitale, ne consegue che la più corretta registrazione patrimoniale sia tra i debiti. Non sono infatti attribuzioni finalizzate a mettere durevolmente a disposizione dell'attività della società mezzi economici, ma meri anticipi sulla sottoscrizione di un futuro aumento di capitale, da impiegare per liberare il debito del finanziatore da sottoscrizione dell'aumento, mediante sua rinuncia. Inoltre, tali crediti – che pure sono condizionati e inesigibili sino all'aumento del capitale sociale, purché avvenga nel termine convenuto o entro ragionevole termine da fissarsi a opera del giudice (cfr. Cass. Civ. 14 aprile 2006, n. 8876) – vivono di vita propria rispetto alla (eventuale) quota del finanziatore. Possono infatti essere ceduti separatamente, oppure rimanere in capo al socio alienante (Cass. Civ. 29 luglio 2015, n. 16049).

La ragione giustificatrice dell'apporto – da cui ne discende il regime applicabile - è rinvenibile dagli elementi di fatto. In primis, a detta del Collegio milanese giudicante, la causale della contabile bancaria del versamento effettuato, che di per sé può essere decisiva nell'opera di qualificazione. In aggiunta (cfr. Cass. Civ. 29 luglio 2015, n. 16049), l'interprete dovrà tenere conto della modalità di registrazione del versamento nelle scritture contabili della società (aspetto tuttavia non decisivo) e, soprattutto, analizzare la volontà negoziale delle parti,il modo in cui concretamente è stato attuato il rapporto, le finalità pratiche cui è diretto l'apporto e gli interessi che vi sono sottesi.

Osservazioni

Il Collegio, inoltre, stante la fattispecie in esame, si è chiesto se i principi sopra enunciati e fatti propri dalla sentenza siano applicabili anche nel caso in cui l'apporto sia effettuato non da un socio ma da un terzo. Al riguardo, la risposta è positiva (“questa provenienza soggettiva non muta il regime del versamento”), non giustificandosi una difformità di trattamento tra soci e terzi. Entrambi, infatti, possono effettuare un versamento per sottoscrivere un aumento di capitale consentendo il diritto societario – pur garantendo il diritto di opzione per i soci – sia ai primi di aumentare la propria quota, sia ai secondi di entrare nella compagine sociale, ove i soci rinuncino all'opzione o riservino a terzi l'aumento del capitale.

Non sfugge inoltre al lettore della sentenza un'ulteriore aspetto, di natura più civilistica che societaria, che merita alcune osservazioni. Si tratta dell'applicazione da parte del Tribunale dei principi di cui all'art. 2033 c.c. in adesione al filone maggioritario della Cassazione (cfr. Cass. Civ. 4 aprile 2014 n. 7897), che interpreta estensivamente l'art. 2033 c.c., ritenendo l'indebito un istituto a valenza generale, applicabile in tutte le ipotesi di trasferimenti patrimoniali non sorretti da una giusta causa. Con la conseguenza che sussiste il requisito del "pagamento non dovuto" di cui all'art. 2033 c.c. sia nel caso di mancanza originaria del titolo, sia nel caso di mancanza sopravvenuta del titolo, sia nel caso di pagamento eccedente la misura imposta dal titolo.

Stando così le cose, il Collegio - precisazione non priva di significato – nel finale della sentenza ribadisce (per così dire, obiter dictum) che anche nel caso in cui l'attribuzione patrimoniale del terzo fosse stata priva di causa sin dall'origine - e dunque non fosse stato possibile ravvisare un collegamento causale tra l'attribuzione patrimoniale e il prospettato futuro aumento del capitale - si perverrebbe alla stessa conclusione. Il diritto di ripetere un "pagamento non dovuto", infatti, sorge indifferentemente dalle vicende che riguardano la causa giustificatrice e, come detto, anche indipendentemente dalla presenza ab origine di tale titolo.

Conclusioni

Nelle società a ristretta base personale è alquanto diffusa la prassi di effettuare versamenti variamente denominati, spesso in assenza di particolari formalità e di precisa causale. La sentenza in esame appare un'utile guida per chiarire, nuovamente, i principi guida distinguono le tipologie di apporto e il relativo regime applicabile.

Solo nel caso esista un preciso nesso causale tra il versamento e il futuro aumento di capitale (ancor meglio se individuato con una data ultima di delibera) si è avanti a un genuino “versamento in conto futuro aumento di capitale”, con la conseguenza che, ove l'aumento non sia operato, sorge il diritto alla restituzione per il finanziatore, anche se terzo, essendo cessata la causa dell'attribuzione patrimoniale.

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