Il potere di agire di ciascun condomino di fronte al nodo della soggettività del condominio

Franco Petrolati
18 Dicembre 2017

La partecipazione al giudizio del condominio, rappresentato dall'amministratore, implica che sia “parte” in causa anche ciascun condòmino, con conseguente potere di ogni condòmino di impugnare in proprio la sentenza resa all'esito del grado? La questione alle Sezioni Unite.
Massima

É meritevole di essere rimessa alle Sezioni Unite della Cassazione la questione di massima relativa alla persistente legittimazione di ciascun condòmino ad impugnare la sentenza resa all'esito di un giudizio cui ha partecipato solo il condominio, in persona dell'amministratore, e nonostante l'acquiescenza dallo stesso prestata.

Il caso

Un condominio, in persona del rispettivo amministratore, agisce in giudizio per ottenere la condanna di una condòmina (“X”) alla eliminazione delle opere asseritamente compiute in violazione del regolamento condominiale e della servitù di passaggio, in favore dei beni comuni, esercitata attraverso una scala esterna al fabbricato; all'esito dei due gradi di merito la domanda è solo parzialmente accolta in quanto viene respinta quella relativa al ripristino della preesistente scala esterna. La sentenza della corte di appello è impugnata per cassazione dalla condòmina “X” relativamente ai capi in cui è rimasta, a sua volta, soccombente; il condominio resiste con controricorso, senza proporre ricorso in via incidentale, che è, invece, esperito da altra partecipante (“Y”) al medesimo condominio avverso i capi della sentenza che hanno respinto la domanda di riduzione in pristino della scala esterna ed hanno compensato le spese processuali del gravame. La Corte di cassazione, rilevato che si tratta di un ricorso incidentale tardivo, proposto avverso i capi sui quali è rimasto soccombente il condominio, ritiene meritevole di essere sottoposta alle Sezioni Unite la questione della legittimazione all'impugnazione in via incidentale della condòmina “Y”.

La questione

La partecipazione al giudizio del condominio, rappresentato dall'amministratore ai sensi dell'art. 1131 c.c., implica che sia “parte” in causa anche ciascun condòmino - con conseguente potere di ogni condòmino di impugnare in proprio la sentenza resa all'esito del grado – oppure il condominio è da ritenersi soggetto autonomo dai componenti della collettività condominiale, i quali sono, quindi, assimilabili ai “terzi” in ordine alla legittimazione all'impugnazione?

Le soluzioni giuridiche

Secondo il tradizionale e più risalente orientamento nei giudizi ai quali partecipi – o abbia partecipato – il condominio, unitariamente inteso così come rappresentato dall'amministratore ex art. 1131 c.c., è da considerarsi “parte” anche ciascun condòmino, non essendo configurabile il condominio come soggetto distinto dai singoli condòmini.

I corollari di tale orientamento sono che in tali giudizi: ogni condòmino può intervenire in proprio senza incontrare le preclusioni che si frappongono ordinariamente all'intervento del “terzo”, in quanto non è da ritenersi un soggetto originariamente estraneo al giudizio; è, tuttavia, in ragione della veste di “parte”, incapace a testimoniare ai sensi dell'art. 246 c.p.c.; è, altresì, opponibile ad ogni condòmino il giudicato od il titolo esecutivo maturato nei riguardi del condominio. A quest'ultimo riguardo però è da tener conto che l'art. 63, comma 2, disp. att. c.c., così come riformulato dalla legge di riforma (l. n. 220/2012) in vigore dal 18 giugno 2013, prevede che i creditori del condominio «non possono agire» nei riguardi dei singoli condòmini «in regola con i pagamenti, se non dopo l'escussione degli altri», senza espressamente chiarire, peraltro, se tale preclusione operi solo nel procedimento esecutivo od anche nel giudizio di cognizione.

Ulteriore corollario di tale orientamento – rilevante proprio ai fini della definizione della questione in esame - è che ciascun condòmino conserva la legittimazione ad impugnare, in via ordinaria, la sentenza resa all'esito di un giudizio in cui abbia pur assunto la veste formale di “parte” solo il condominio in persona dell'amministratore; resta, invece, coerentemente preclusa l'opposizione di terzo ai sensi dell'art. 404, comma 1, c.p.c. in quanto il singolo condòmino non può, secondo questo indirizzo giurisprudenziale, ritenersi “terzo” rispetto al condominio.

Un “limitato distinguo” è, tuttavia, riscontrato in talune pronunce che hanno negato a ciascun condòmino il potere di impugnare in proprio la sentenza resa nelle controversie su deliberazioni dell'assemblea che perseguano esclusivamente finalità di gestione di un servizio comune, in quanto non idonee ad incidere, se non in via mediata, sull'interesse esclusivo di uno o più partecipanti.

L'orientamento tradizionale, così come ricordato nei suoi essenziali corollari, deve ora confrontarsi con l'autorevole recente arresto delle Sezioni Unite (n. 19663/2014) che ha riconosciuto la titolarità al solo condominio – e non ai singoli condòmini – del diritto all'indennizzo per l'irragionevole durata del processo in cui sia stato “parte”, appunto, solo il condominio in persona dell'amministratore e non, in proprio, i relativi condòmini: ciò in forza dell'assunto che il condominio, anche a seguito della riforma del 2012, si pone come soggetto autonomo dai singoli partecipanti e, quindi, la presenza in giudizio dell'uno non implica quella degli altri, salvo che non intervengano personalmente.

Dovrebbe, pertanto, conseguire da tale soggettivazione del condominio che il singolo condòmino non possa liberamente intervenire o spiegare impugnazione nei giudizi ove abbia preso parte solo l'amministratore in rappresentanza della collettività condominiale (se non nei limiti in cui sia da ammettere l'intervento o l'impugnazione di un “terzo”).

La stessa Corte rimettente, tuttavia, prospetta una ipotesi di composizione del contrasto di orientamenti: la peculiare legittimazione ad agire del singolo condòmino persisterebbe solo nei giudizi nei quali sia in questione la proprietà spettante in via esclusiva o pro quota a ciascun partecipante e sarebbe, invece, preclusa nelle controversie attinenti alla gestione od alla custodia dei beni comuni nell'interesse della compagine condominiale.

Viene, infine, evidenziato un eventuale ulteriore specifico impedimento in ritoall'ammissibilità dell'impugnazione incidentale del singolo condòmino ove, come nel caso di specie, il condominio, in persona dell'amministratore, si sia già costituito in giudizio prestando acquiescenza ai capi di sentenza sui quali era pur rimasto soccombente: ciò perché tale pregressa costituzione sarebbe idonea a consumare il diritto di impugnazione in via incidentale in ragione dell'unicità del primo atto difensivo (arg. ex art. 366 c.p.c.).

Osservazioni

La legge di riforma del condominio, anche se non ha infranto l'assetto pluralistico della situazione di comunione nei suoi connotati reali, ha, tuttavia, nel contempo offerto ulteriori specifici indici di soggettività del condominio: l'amministratore può, infatti, essere revocato qualora operi in modo da «generare possibilità di confusione tra il patrimonio del condominio e il patrimonio personale dell'amministratore o di altri condòmini» (art. 1129, comma 12, n. 4, c.c.); deve, altresì, fornire «ogni dato inerente alla situazione patrimoniale del condominio, ai fondi disponibili ed alle eventuali riserve» (art. 1130-bis c.c.); tra tali fondi rientra, in particolare, anche quello speciale previsto dall'art. 1135, comma 1 n. 4, c.c. in caso di lavori di manutenzione straordinaria o di innovazioni; l'art. 2659, comma 1, n. 1, c.c. individua distintamente il condominio tra le tra le “parti” da indicare nella nota di trascrizione di un atto nei registri immobiliari.

É, invece, manifestazione dell'assetto pluralistico della struttura reale il nuovo art. 1117-quater c.c., laddove si prevede la specifica legittimazione dei singoli condòmini, oltre che dell'amministratore, a fronteggiare le attività pregiudizievoli per la destinazione dei beni comuni anche attraverso una diffida stragiudiziale rivolta direttamente all'autore dell'illecito.

Di qui la proposta ricostruttiva - formulata da chi ora annota - volta a scindere il persistente assetto pluralista della situazione reale di base – quale delineato ancora nei suoi termini essenziali nell'art. 1117 c.c. – dall'assetto funzionale relativo alla gestione del condominio, la quale si svolge autonomamente rispetto ai singoli partecipanti in vista della realizzazione di un interesse obiettivo inerente alla complessiva funzionalità dell'edificio.

A partire da una situazione di contitolarità nella proprietà si può, quindi, delineare un autonomo soggetto sul piano funzionale, dotato di pur limitate capacità di agire e di autonomia patrimoniale, in tal senso riconoscendosi come congrua proprio l'invalsa formula dell'ente di gestione, in quanto idonea ad esprimere, ad un tempo, l'esistenza di un centro di imputazione distinto dai singoli comproprietari anche se circoscritto alla dimensione gestionale della comproprietà.

Si è, altresì, sottolineato che il rilievo sempre crescente degli interessi pubblici, anche di rango sovranazionale, nella modulazione in senso conformativo della proprietà degli edifici urbani – in tema, ad esempio, di eliminazione delle barriere architettoniche, telecomunicazioni o di uso razionale dell'energia - finisce per assegnare ai profili gestionali dei condomìni un ruolo progressivamente maggiore, con conseguente accrescimento dello “spessore” del condominio come soggetto funzionale in vista della elevazione dello standard qualitativo dell'abitazione e della conformazione a modelli più avanzati di sostenibilità ambientale.

In tal senso è ipotizzabile una valorizzazione di quell'orientamento nomofilattico (il limitato distinguocitato nell'ordinanza in esame), già da tempo riscontrato ma non univoco, che ha riconosciuto ai profili gestionali delle parti comuni dei fabbricati un ambito esclusivo di legittimazione del condominio, attraverso le sue articolazioni organizzative (assemblea ed amministratore), in sostituzione dei singoli condòmini: ciò in coerenza con il rilievo assunto dalla cornice di ordine pubblico gravante sulla tradizionale proprietà urbana ed implicante una accentuazione dei profili gestionali integrali dell'edificio, unitariamente inteso, rispetto a quelli inerenti alle tradizionali proprietà solitarie.

Guida all'approfondimento
  • Celeste, La soggettività del condominio e la legittimazione ad agire dei singoli condòmini, Giustiziacivile.com., 10.12.2015, in nota critica a Cass. civ., sez. II, 6 agosto 2015 n. 16562;
  • Celeste, Le parti comuni ed esclusive, Milano, 2016, 2 ss.. La proposta ricostruttiva del condominio come soggetto funzionale è, in particolare, rinvenibile in Petrolati, Il condominio come soggetto funzionale, Arc. loc. cond., 2014,151;
  • Celeste, Il diritto all'equa riparazione spetta al condominio: nuovi indici di soggettività dell'ente di gestione dopo la riforma, Giustiziacivile.com., 13.1.2005, in nota all'arresto di Cass. civ., sez. un., 18 settembre 2014, n. 19663;
  • Lazzaro – Di Marzio – Petrolati, Codice del Condominio, Milano, 2017, 7 ss..

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