Equa riparazione: nessun indennizzo per i danni bagatellari

Redazione scientifica
11 Gennaio 2018

Dall'ambito di tutela della legge Pinto, restano escluse sia le violazioni minime del termine di durata ragionevole, sia quelle di maggior estensione temporale, ma riferibili a giudizi presupposti di carattere bagatellare, in cui esigua è la posta in gioco e trascurabili i rischi sostanziali e processuali connessi.

Il caso. La Corte d'appello di Perugia respingeva l'istanza con cui l'appellante chiedeva l'equa riparazione per la durata non ragionevole di una analoga controversia svoltasi innanzi alla Corte d'appello di Roma.

Contro tale decisione ha proposto ricorso per cassazione il soccombente, sostenendo che i giudici del gravame erroneamente avevano affermato che la violazione minima del previsto termine di durata ragionevole e l'esiguità della posta in gioco escludevano la sussistenza del “pregiudizio significativo” previsto dal Protocollo 14 modificativo della Cedu.

Equa riparazione. Infatti, ricorda il Collegio, «ai sensi dell'art. 12 del Protocollo 14 alla Cedu, la soglia minima di gravità, al di sotto della quale il danno non è indennizzabile, va apprezzata nel duplice profilo della violazione e delle conseguenze, sicchè dall'ambito di tutela della legge 24 marzo 2001, n. 89, restano escluse sia le violazioni minime del termine di durata ragionevole, di per sé non significative, sia quelle di maggior estensione temporale, ma riferibili a giudizi presupposti di carattere bagatellare, in cui esigua è la posta in gioco e trascurabili i rischi sostanziali e processuali connessi» (cfr. Cass. civ., sez. II, 14 gennaio 2014, n. 633).

Danni bagatellari. Per i Giudici di legittimità, dunque, la Corte d'appello, attraverso valutazioni di merito fondate su entrambi i criteri di apprezzamento – violazione e conseguenze – , ha correttamente applicato il principio sopra richiamato. Infatti, nel caso in esame, la controversia concerneva il diritto all'indennizzo di 375,00 euro e lo scostamento temporale aveva superato la tolleranza di sei mesi di soli due mesi.

Per tali ragioni, la Suprema Corte ha rigettato il ricorso e condannato il ricorrente al pagamento delle spese di lite.

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