Esclusione e licenziamento del socio lavoratore, il parere delle Sezioni Unite

05 Dicembre 2017

In tema di tutela del socio lavoratore di cooperativa, in caso d'impugnazione, da parte del socio, del recesso della cooperativa, la tutela risarcitoria non è inibita dall'omessa impugnazione della contestuale delibera di esclusione fondata sulle medesime ragioni, afferenti al rapporto di lavoro, mentre resta esclusa la tutela restitutoria.
Massima

In tema di tutela del socio lavoratore di cooperativa, in caso d'impugnazione, da parte del socio, del recesso della cooperativa, la tutela risarcitoria non è inibita dall'omessa impugnazione della contestuale delibera di esclusione fondata sulle medesime ragioni, afferenti al rapporto di lavoro, mentre resta esclusa la tutela restitutoria.

Il caso

Una cooperativa esclude da socio e, al contempo, licenzia per giusta causa un proprio socio lavoratore.

Quest'ultimo agisce in giudizio impugnando il licenziamento ma non la deliberazione di esclusione.

Il Tribunale respinge l'eccezione di decadenza proposta dalla cooperativa per omessa impugnazione della deliberazione di esclusione e, ritenuto illegittimo il licenziamento, accorda al socio lavoratore la tutela obbligatoria prevista dall'art. 8 L. n.604/1966.

La Corte di Appello respinge l'appello della cooperativa, finanche elevando l'indennità risarcitoria sino all'importo massimo di legge in accoglimento dell'appello incidentale del socio lavoratore.

La cooperativa ricorre avanti la Corte di Cassazione la cui Sezione Lavoro, ravvisata la sussistenza di contrasti anche nella giurisprudenza di legittimità sulle questioni della ricostruzione dei meccanismi estintivi del rapporto e delle tutele applicabili ai soci lavoratori di cooperativa, promuove l'assegnazione del ricorso alle Sezioni Unite Civili.

La questione

Le Sezioni Unite Civili affrontano il nodo delle tutele, processuali e sostanziali, previste dalla legge per il socio lavoratore di cooperativa illegittimamente escluso e licenziato.

Le soluzioni giuridiche

L'argomento richiede alcune più generali premesse.

Nelle cooperative di produzione e lavoro le prestazioni lavorative dei soci vengono rese sulla base del rapporto mutualistico che li lega alla società.

Si suole in proposito parlare di “doppio rapporto” tra socio e cooperativa: rapporto associativo, a cui si affianca quello lavorativo.

La situazione è descritta dall'art. 1 comma 3 della legge speciale sul lavoro cooperativo, L. n. 142/2001: "Il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro.

Le modifiche apportate alla norma dalla L. n. 30/2009 hanno soppresso l'aggettivo "distinto" che, in base all'originario testo del comma, accompagnava la qualificazione "ulteriore" riferita al rapporto di lavoro.

Nell'interpretazione della novella, ormai accantonate le teorie che configuravano il lavoro del socio di cooperativa come mero adempimento del contratto di società (cc.dd. teorie monistiche o “dell'accessorietà”), risulta oggi consolidato in dottrina e giurisprudenza il principio secondo il quale alla pluralità dei rapporti contrattuali consegue la pluralità delle tutele (v. Cass. sez. lav., n. 14741/2011).

Sotto tale profilo, assumono particolare rilievo le seguenti disposizioni della stessa L. n. 142/2001:

  • art. 5 comma 2: “Il rapporto di lavoro si estingue con il recesso o l'esclusione del socio deliberati nel rispetto delle previsioni statutarie e in conformità con gli artt. 2526 e 2527 (oggi, con gli artt. 2532 e 2533 c.c). Le controversie tra socio e cooperativa relative alla prestazione mutualistica sono di competenza del tribunale ordinario;
  • art. 2, prima parte: “Ai soci lavoratori di cooperativa con rapporto di lavoro subordinato si applica la L. 20 maggio 1970, n.300, con esclusione dall'articolo 18 ogni volta che venga a cessare, col rapporto di lavoro, anche quello associativo”.

Come si vede, la vicenda estintiva del doppio rapporto tra socio lavoratore e cooperativa risulta caratterizzata dall'automatismo a senso unic che lega il licenziamento all'esclusione del socio (non è prevista infatti l'ipotesi contraria), facendosi quindi dipendere l'atto risolutorio del contratto di lavoro dall'estinzione, ipso facto, del rapporto associativo.

Nel tempo si è posta pertanto la questione, variamente risolta nella stessa interpretazione giurisprudenziale e, per tale motivo, rimessa appunto alla decisone delle SS.UU., se in base all'attuale citata disciplina il rapporto lavorativo, nella fase estintiva, sia regolato dalle norme sue proprie o, invece, da quelle del rapporto associativo; ed, ancora, se la legittimità del recesso da quest'ultimo costituisca l'unico parametro di riferimento per il vaglio giudiziale.

Altro contrasto emerso nell'applicazione delle disposizioni in tema di cooperative di produzione e lavoro è quello relativo all'individuazione delle tutele in favore del socio lavoratore nel caso di illegittima sua esclusione o licenziamento. Tutele tra le quali, a mente del citato art. 2 L. n. 142/2001, paiono doversi escludere quelle di cui all'art. 18 St. Lav., quantomeno nell'evenienza di contestuale recesso datoriale attuato con riferimento ad entrambi i rapporti.

Va inoltre sottolineato che alla precedente questione è connessa quella, afferente l'individuazione delle tutele applicabili in caso di illegittimità dell'atto o degli atti espulsivi, del rilievo o meno delle ragioni sostanziali che hanno condotto alla cessazione dei rapporti.

Infine, si consideri che le questioni delineate debbono tutte confrontarsi con la decadenza prevista dal comma 3° del citato art. 2533 c.c.: contro la deliberazione di esclusione il socio può proporre infatti opposizione al tribunale nel termine di sessanta giorni dalla comunicazione.

La sentenza in commento, con pregevole sintesi espositiva, esamina i diversi orientamenti giurisprudenziali affiorati sul tema dell'estinzione del doppio rapporto del socio lavoratore, giustamente riconducendo ciascuno di essi a distinte “impostazioni di fondo” ovverosia ad una “divergenza di principi” derivante “dal differente peso che si assegna alla specialità che il rapporto cooperativo esprime rispetto allo schema della subordinazione”.

Partendo dai principi, pertanto, la Corte riconosce essere oramai superata ed insufficiente a contrastare il fenomeno della cooperativa spuria o fraudolenta l'impostazione tradizionale secondo la quale le prestazioni del socio di società cooperativa di produzione e lavoro integrano adempimento del contratto sociale e non sono riconducibili ad un rapporto di lavoro, subordinato o di altro tipo.

Il riferimento è alla c.d. teoria monistica, principalmente espressa nella sentenza a Sezioni Unite della Corte del 28 dicembre 1989, n. 5813 ed in seguito avallata anche dalla Corte Costituzionale con la pronuncia 12 febbraio 1996, n. 30. In epoca più recente e successiva all'entrata in vigore della L. n. 142/2001, tale teoria è stata ripresa dalla stessa Consulta con le ordinanze n. 460/2006 e n. 95/2014.

Dopo la L. n. 142/2001, si osserva nella sentenza commentata in aderenza all'opinione generalmente condivisa, i due rapporti, associativo e di lavoro, coesistono e la loro combinazione assume la veste di collegamento negoziale necessario.

Tale collegamento, nella fase estintiva dei rapporti, assume carattere unidirezionale stante la citata regola di cui all'art. 5 comma 2 L. n. 142/2001, la quale peraltro è espressione di quella generale in materia societaria fissata per l'esclusione del socio di cooperativa dall'art. 2533 ultimo comma c.c. (“qualora l'atto costitutivo non preveda diversamente, lo scioglimento del rapporto sociale determina anche la risoluzione dei rapporti mutualistici pendenti”).

Perentoria sul punto l'enunciazione di principio delle SS.UU.: “La cessazione del rapporto associativo […] trascina con sé ineluttabilmente quella del rapporto di lavoro. Sicché il socio, se può non essere lavoratore, qualora perda la qualità di socio non più essere lavoratore”.

Svolte tali considerazioni di carattere generale, la Corte passa quindi alla sconfessione dell'orientamento giurisprudenziale (espresso da Cass. sez. lav., 23 gennaio 2015, n. 1259; 11 agosto 2014, n. 17868; 6 agosto 2012, n. 14143; 4 giugno 2015, n. 11548) secondo il quale, qualora l'esclusione di un socio lavoratore si fondi esclusivamente sul suo licenziamento, tanto più se di carattere disciplinare, non si avrebbe l'automatica caducazione del rapporto alla cessazione del rapporto associativo, ipotesi configurata appunto dal citato art. 5 comma 2 della L. n.142/2001. Pertanto, in caso di declaratoria di illegittimità del licenziamento stesso, l'esclusione del socio risulterebbe illegittima così riaprendosi la strada per l'applicazione le tutele di cui all'art. 18 L. n. 300/1970.

“Quest'impostazione determina il capovolgimento della relazione di dipendenza prefigurata dal legislatore tra l'estinzione del rapporto associativo e quella del rapporto di lavoro”, chiosano criticamente le SS.UU.

In altre parole, recependo l'approccio ermeneutico comunemente proposto in dottrina, la giurisprudenza, nella più autorevole delle sedi, chiarisce la portata degli enunciati normativi della cui applicazione trattasi: l'art. 2 l'art. 5, comma 2, della L. n. 142/2001 attribuiscono rilevanza alcuna alle ragioni sostanziali alla base dell'esclusione del socio nonché alla successione cronologica fra questa ed il licenziamento; ma, al contrario, dette disposizioni di legge concentrano i loro precetti unicamente sulle modalità estrinseche dell'esclusione ovvero, come scritto nella sentenza commentata, sulla “caratteristica morfologica dell'unidirezionalità del collegamento fra i rapporti” .

Ne discende che l'omessa impugnazione della delibera di esclusione ne garantisce l'efficacia e, quindi, l'estinzione del rapporto di lavoro del socio lavoratore.

Osserva in proposito il Supremo Collegio:“L'effetto estintivo, tuttavia, di per sé non esclude l'illegittimità del licenziamento[…]. Anzi: proprio perché la delibera di esclusione, essendo [e rimanendo] efficace, produce l'effetto estintivo del rapporto di lavoro […], viene a determinarsi un danno. Ed al danno si può porre rimedio con la tutela risarcitoria […]; è la – sola – tutela restitutoria ad essere preclusa”, secondo quanto previsto dall'art. 2 L. n. 142/2001.

In altri termini, le SS.UU. confermano l'inapplicabilità in siffatta ipotesi dell'art. 18 St. Lav., precisando opportunamente che “il proprium dell'art. 18 […] del quale è esclusa l'applicazione, almeno all'epoca in cui la norma è stata confezionata, consisteva giustappunto nella tutela reale”.

La tutela spettante sarà allora quella - obbligatoria e risarcitoria - prevista dall'art. 8 L. n. 604/1966, “sempre dovuta qualora il rapporto non si ripristini”, puntualizza la Corte (già sul punto nella giurisprudenza di merito: Trib. Milano, 19 aprile 2005; Trib. Genova, 12 novembre 2002; App. Torino, 25 maggio 2010, n. 338).

Le SS.UU., nel dare in subiecta materia sostanza all'autonomia della tutela risarcitoria (derivante dal licenziamento illegittimo) rispetto a quella restitutoria (conseguente all'invalidazione dell'esclusione da socio), paragonano poi la fattispecie in questione a quanto previsto nel diverso ambito della tutela risarcitoria degli interessi legittimi, laddove la domanda di risarcimento del danno che si assume causato da un provvedimento amministrativo prescinde dall'instaurazione di un previo giudizio demolitorio (la Corte richiama al riguardo la più recente giurisprudenza civilistica in tema di c.d. pregiudiziale amministrativa).

L'esaminata pronuncia, per altro verso, si premura di criticare anche l'orientamento di legittimità di segno opposto rispetto a quello più sopra menzionato.

Invero, in alcune sue recenti sentenze (tra le quali, Cass. sez. lav., n. 9916/2016; n. 2802/2015 e n. 14741/2011) la stessa Corte aveva sostenuto che, al cospetto di condotte che ledano al contempo il rapporto associativo e quello di lavoro, la deliberazione della cooperativa di esclusione del socio rende ultroneo un distinto atto di licenziamento.

Logico corollario di tale valutazione, il fatto che, appunto nei casi di esclusione e licenziamento, il socio deve necessariamente opporsi alla delibera di esclusione. Se non lo fa, risulta inammissibile l'azione giudiziale volta a contestare la legittimità del solo licenziamento (Cass. sez. lav., 26 febbraio 2016, n. 3836; Cass. sez. lav., 1° aprile 2016, n. 6373 e Cass. sez. lav., 5 dicembre 2016, n. 24795).

Di diverso avviso le Sezioni Unite Civili, le quali, richiamando altro filone giurisprudenziale prodottosi all'interno della Sezione Lavoro (Cass. civ., sez. VI, ord. 29 luglio 2016, n. 15798; ordd. 6 ottobre 2015, nn. 19977-19976-19975-19974; ord. 21 novembre 2014, n. 24917), le SS.UU. precisano: “Alla duplicità di rapporti può corrispondere la duplicità degli atti estintivi […], in tal caso, il concorso dell'impugnativa della delibera di esclusione e del provvedimento di licenziamento configura un'ipotesi di connessione di cause”.

Viene in sostanza ribadito il principio della pluralità ed autonomia delle tutele: quella societaria e quella giuslavoristica.

Da notare che la giurisprudenza da ultima richiamata a conforto dalle SS.UU. concerne il tema, in verità distinto da quelli nell'occasione sottoposti all'esame diretto della Corte, dell'individuazione del giudice competente a conoscere le controversie del socio lavoratore (art. 5, comma 2, seconda parte, L. n. 142/2001).

Il più recente approdo della Corte di Cassazione su tale argomento ritiene che detta competenza vada attribuita al giudice del lavoro, in forza della speciale regola sulla connessione tra cause stabilita all'art. 40, terzo comma, c.p.c.

L'avallo, sia pure in sede di obiter dictum, che questo indirizzo ora riceve dalle Sezioni Unite pare prefigurare il definitivo superamento dei dubbi interpretativi, con relative oscillazioni giurisprudenziali, da tempo rinvenibili anche con rifermento a tale questione processuale.

Osservazioni

Dopo tante incertezze applicative emerse nella giurisprudenza, le Sezioni Unite Civili, con il loro pronunciamento, sembrano fissare alcuni punti fermi nel dibattito concernente l'esegesi della legge speciale sul socio lavoratore di cooperativa, L. n. 142/2001, perlomeno per quanto riguarda la disciplina, sostanziale e processuale, delle controversie sull'esclusione del socio ed il conseguente suo licenziamento.

Ci pare opportuno che questi concetti vengano evidenziati:

  • quanto alla portata ed agli effetti della deliberazione di esclusione del socio lavoratore, se ne riconosce, pur nella reciproca autonomia, la preminenza sul licenziamento e si afferma l'efficacia estintiva, senza riserve, della delibera stessa sul rapporto di lavoro (non è invece riconosciuta una più generale prevalenza del rapporto associativo su quello di lavoro, considerando la Corte “le esigenze di tutela e garanzia […] del socio lavoratore, il quale pur sempre, nonostante partecipi alla realizzazione dello scopo mutualistico, permane l'anello debole della combinazione sintetizzata nel lavoro cooperativo”);
  • quanto alle conseguenze della decadenza per mancata impugnazione giudiziale, entro sessanta giorni della sua comunicazione, dell'esclusione da socio, si afferma che tale decadenza esclude la tutela restitutoria (per entrambi i rapporti) non inibendosi però la tutela risarcitoria del lavoratore, esercitabile ai sensi dell'art. 8 L. n. 604/1966 (tutela obbligatoria);
  • viene, per contro, ore rotundo dichiarata l'inapplicabilità della tutela reale ex art. 18 L. n. 300/1970, al ricorrere dei presupposti estrinseci fissati dall'art. 2 L. n. 142/2001;
  • si avalla l'orientamento di legittimità che dichiara la competenza del giudice del lavoro, e non del giudice ordinario, sulle controversie del socio lavoratore, ritenute controversie individuali di lavoro di cui all'art. 409 c.p.c.