Assenza ingiustificata dopo la dequalificazione: i limiti dell’eccezione d’inadempimento

La Redazione
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09 Febbraio 2018

A seguito del protrarsi dell'adibizione a mansioni inferiori, nonostante la diffida formale del proprio legale, un lavoratore si assentava dal posto di lavoro e veniva licenziato. La Cassazione, investita della questione, traccia i confini del legittimo rifiuto della prestazione lavorativa quale forma di autotutela ex art. 1460 c.c.

Adibito per circa due mesi a mansioni inferiori rispetto alla qualifica di appartenenza, un lavoratore chiedeva con diffida formale del suo legale la riassegnazione alle mansioni precedentemente svolte e, dal giorno seguente, si assentava dal posto di lavoro. Il datore di lavoro lo licenziava per assenza ingiustificata.

La Corte di Cassazione, investita della questione, ritiene provato il parziale inadempimento datoriale – presupposto fattuale per l'applicabilità dell'invocata eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. – ma, nel valutare la proporzionalità del comportamento del dipendente, richiama l'orientamento secondo cui “il lavoratore non può rendersi totalmente inadempiente alla prestazione sospendendo ogni attività lavorativa, ove il datore di lavoro assolva a tutti gli altri propri obblighi (pagamento della retribuzione, copertura previdenziale e assicurativa, assicurazione del posto di lavoro), potendo - una parte - rendersi totalmente inadempiente e invocare l'art. 1460 c.c. soltanto se è totalmente inadempiente l'altra parte”, considerato altresì che al lavoratore può essere urgentemente accordato dal giudice un provvedimento cautelare che riconduca la prestazione nell'alveo della qualifica di appartenenza.

Pertanto, perché sia legittimamente esercitabile tale forma di autotutela, specifica la Suprema Corte, l'inadempimento datoriale deve, ad esempio, comportare una esposizione a responsabilità penale (Cass. n. 17713/2013) o compromettere i beni personali – vita e salute – del lavoratore (da ultimo Cass. n. 24459/2016).

In conclusione, la Corte di Cassazione ritiene legittimo il rifiuto della prestazione lavorativa solo se proporzionato all'illegittimo comportamento del datore e conforme a buona fede e, decidendo nel merito, rigetta le domande di accertamento della illegittimità del licenziamento e di applicazione della reintegrazione nel posto di lavoro ai sensi dell'art. 18 St.Lav. (nel testo precedente la riforma Fornero).