Estensione oggettiva del giudicato con particolare riguardo ai decreti ingiuntivi

Cesare Trapuzzano
06 Marzo 2018

Il principio secondo cui l'autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, ove non sia proposta opposizione, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo in tal modo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda.
Il quadro normativo

La questione affrontata concerne i limiti oggettivi di efficacia esterna del giudicato formatosi su un decreto ingiuntivo, ossia se il decreto ingiuntivo non opposto integri una decisione idonea ad esprimere l'autorità di cosa giudicata sostanziale.

In dottrina, l'orientamento minoritario e più risalente scorgeva nella sopravvenuta definitività del decreto monitorio l'evento generatore di una mera preclusione pro iudicato, funzionalmente limitata a rendere incontrovertibile il solo effetto di condanna contenuto nell'ingiunzione (Redenti, Andrioli). In virtù di una tesi più recente, ma comunque restrittiva, si è ritenuto che la stabilità di effetti conseguita dal decreto ingiuntivo, all'esito della sua mancata opposizione, esige una delimitazione della portata oggettiva di tali effetti, tenendo nella dovuta considerazione la peculiare natura che caratterizza la cognizione esercitata dal giudice investito del ricorso (Balbi, Ronco). In questa prospettiva, si è escluso che l'efficacia vincolante del decreto divenuto esecutivo per decorso dei termini di legge, senza la proposizione dell'opposizione, possa avere una valenza conformativa nei confronti di rapporti giuridici o diritti connessi a quello fatto valere con il ricorso monitorio o, comunque, che tale efficacia possa travalicare i contorni dell'accertamento compiuto sul singolo diritto sostanziale, per investire l'intero rapporto giuridico che ha generato la specifica pretesa concretamente avanzata ai sensi dell'art. 633 c.p.c. (Comoglio-Ferri-Taruffo, Montesano). E ciò perché l'estensione extraprocessuale degli effetti della decisione ad elementi ulteriori rispetto al diritto fatto valere con la domanda presupporrebbe che su tali elementi si sia verificata una contestazione endoprocessuale coltivata dalle parti e risolta dal giudice. Viceversa, una simile propagazione di effetti non potrebbe discendere da provvedimenti, come appunto il decreto ingiuntivo, emessi a conclusione di procedimenti strutturati in modo da escludere in partenza qualsiasi forma di contraddittorio, anche solo formale, su aspetti della controversia diversi dalla specifica pretesa di condanna fatta valere dal ricorrente. Cosicché, premesso che la stabilità del decreto ingiuntivo non opposto non sarebbe equiparabile a quella di un'ordinaria sentenza di condanna passata in giudicato formale ex art. 324 c.p.c., in ogni caso, gli effetti prodotti dal provvedimento monitorio divenuto definitivo godrebbero di uno spazio di incidenza più circoscritto di quello entro il quale può, in linea di principio, diffondersi il vincolo preclusivo conseguente a statuizioni rese a cognizione piena, limitandosi tali effetti a garantire l'intangibilità del diritto soggettivo alla condanna riconosciuto nel decreto. In base ad una ricostruzione più estensiva, invece, il vincolo derivante dal decreto ingiuntivo divenuto definitivo determina effetti esattamente equivalenti a quelli che l'art. 2909 c.c. ricollega alla sentenza di condanna passata in cosa giudicata e, pertanto, dà luogo ad un vincolo di accertamento capace di estendersi al rapporto giuridico complesso nonché, implicitamente, ad ogni altro elemento, la cui supposta inesistenza nel caso concreto priverebbe il provvedimento monitorio del necessario fondamento logico (Sciacchitano, Garbagnati, Luiso, Mandrioli, Satta). In questa dimensione, per un verso, la stabilità del decreto ingiuntivo non opposto sarebbe paragonabile a quella conseguita dalla sentenza passata in giudicato formale e, per altro verso, il provvedimento monitorio definitivo produrrebbe effetti di giudicato sostanziale dotati di un'ampiezza oggettiva equivalente a quella espressa dall'accertamento irrevocabile sul merito proveniente da un giudizio a cognizione piena. E ciò perché anche nel procedimento monitorio è assicurato il contraddittorio, seppure esso sia differito, sicché il decreto ingiuntivo diviene irrevocabile solo in quanto l'ingiunto non abbia provocato il contraddittorio attraverso l'opposizione, facendo valere i fatti impeditivi, estintivi o modificativi della pretesa avente ad oggetto lo specifico bene della vita chiesto ed ottenuto dal ricorrente ovvero contestando il rapporto giuridico dal quale discende il singolo diritto soggettivo concretamente fatto valere nonché le questioni costituenti la premessa necessaria o i presupposti logico-giuridici del decreto.

In giurisprudenza, in base ad un primo indirizzo, il provvedimento giurisdizionale passato in giudicato, qualunque forma abbia, non può dirsi vincolante in altri giudizi aventi ad oggetto le medesime questioni di fatto o di diritto, se da esso non sia dato ricavare le ragioni della decisione ed i princìpi di diritto che ne costituiscono il fondamento; sicché, quando il giudicato si sia formato per effetto della mancata opposizione a un decreto ingiuntivo recante condanna al pagamento di un credito con carattere di periodicità, il debitore non può più contestare il proprio obbligo relativamente al periodo indicato nel ricorso monitorio, ma - in mancanza di esplicita motivazione sulle questioni di diritto nel provvedimento monitorio - non gli sarebbe inibito contestarlo per le periodicità successive (Cass. civ., sez. lav., 25 novembre 2010, n. 23918; Cass. civ., sez. lav., 20 marzo 2014, n. 6543). A tale indirizzo si contrappone l'orientamento recepito dalla giurisprudenza con la pronuncia 28 novembre 2017, n. 28318, in ragione del quale l'accertamento contenuto nel decreto ingiuntivo, circa la sussistenza di un obbligo che trova la propria fonte in un rapporto complesso o con prestazioni periodiche, inerisce ad una connotazione, di fatto e di diritto, del sotteso rapporto instauratosi inter partes, che ne costituisce, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico, con la conseguenza che detto accertamento è idoneo a produrre effetti destinati a durare per tutto il protrarsi di tale rapporto, purché la situazione normativa e fattuale resti immutata. Per l'effetto, la situazione così accertata non può formare oggetto di valutazione diversa nel giudizio successivo, permanendo immutati gli elementi di fatto e di diritto preesistenti circa l'esistenza e la validità della garanzia fideiussoria, a fronte di plurime pretese relative alla riscossione dei premi in ordine a periodi diversi. Analoga conclusione è stata, di recente, prospettata con riferimento alla sussistenza dell'obbligo di un consorziato di contribuire alle spese della comunione relative alle tabelle allegate alla convenzione (Cass. civ., sez. II, 6 giugno 2016, n. 11572). E così, fissati gli accessori degli interessi in una determinata misura e con una certa decorrenza dal decreto ingiuntivo definitivo, è precluso in un successivo giudizio chiedere, in ordine alla medesima pretesa, tassi di interesse in diversa misura o con diversa decorrenza o la rivalutazione monetaria. Pertanto, il decreto ingiuntivo non opposto acquista efficacia di giudicato tanto in ordine all'oggetto che ai soggetti del rapporto giuridico con riguardo alle questioni dedotte ed a quelle che costituiscono i necessari e inscindibili antecedenti o presupposti logico-giuridici della pronunzia d'ingiunzione, restando, invece, non coperta esclusivamente la pretesa afferente ad un diverso ed autonomo rapporto contrattuale (Cass. civ., sez. III, 25 ottobre 2017, n. 25317).

L'orientamento più estensivo

Secondo la giurisprudenza più recente, il giudice, nell'indagine volta ad accertare l'oggetto ed i limiti del giudicato esterno discendente da un decreto ingiuntivo non opposto, deve dare rilievo non unicamente al contenuto precettivo del provvedimento monitorio pronunziato, ma anche agli elementi di fatto ed alle ragioni di diritto su cui era fondata la domanda di ingiunzione. Pertanto, il giudice che emette il decreto ingiuntivo, accogliendo le ragioni del ricorrente, ne fa propri i motivi, per cui il riferimento a questi - portati a conoscenza dell'ingiunto mediante la notificazione sia del ricorso che del decreto, prevista dal comma 2 dell'art. 643 c.p.c. - è sufficiente ad integrare per relationem la motivazione del provvedimento, necessaria ai sensi del combinato disposto degli artt. 641, comma 1, e 135, comma 2, dello stesso codice di rito (Cass. civ., sez. lav., 16 giugno 1987, n. 5310; Cass. civ., sez. V, 20 agosto 2004, n. 16455). Ne consegue che il giudicato sostanziale, conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo, si estende pure alla causa petendi indicata a sostegno del credito azionato, abbracciando i fatti costitutivi esposti nel ricorso per ingiunzione, come l'inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito precedenti al medesimo ricorso e non dedotti con l'opposizione, mentre non si estende soltanto ai fatti successivi al giudicato, ovvero a quelli che comportino un mutamento del petitum e della causa petendi articolati in seno alla domanda accolta. Ove si tratti di decreto ingiuntivo per le rate maturate di un'obbligazione periodica, l'autorità del giudicato impedisce il riesame e la deduzione di questioni tendenti ad una nuova decisione di quelle già risolte con provvedimento definitivo, il quale, pertanto, esplica la propria efficacia anche nel tempo successivo alla sua emanazione, con l'unico limite di una sopravvenienza, di fatto o di diritto, che muti il contenuto materiale del rapporto o ne modifichi il regolamento (Cass. civ., sez. lav., 23 luglio 2015, n. 15493; Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2010, n. 11360).

Tesi a confronto

In tema di efficacia oggettiva dell'accertamento contenuto nel decreto monitorio, non opposto nei termini di legge, con il quale sia stata accolta integralmente o parzialmente la domanda di condanna proposta dal creditore con il ricorso dotato dei requisiti di cui all'art. 633 c.p.c., si rinvengono due tesi contrapposte in dottrina.

Secondo un primo indirizzo, l'incontestabilità che nasce dal provvedimento non opposto e “dichiarato esecutivo” avrebbe un contenuto ridotto, definito come preclusione pro iudicato per distinguerlo dall'effetto di accertamento pieno ob rem iudicatam previsto dall'art. 2909 c.c.. La preclusione del giudicato si riferirebbe esclusivamente al petitum e, dunque, dovrebbe ritenersi limitata al solo accertamento dell'esistenza e del quantum dell'intero credito o della frazione di credito azionato, senza tuttavia estendersi alle altre questioni che costituiscono il necessario presupposto logico della pronuncia; in tal senso la definitività dell'accertamento coprirebbe soltanto il “dedotto” ma non anche il “deducibile”. Questa ricostruzione si fonda sulle seguenti argomentazioni: a) la specialità della disciplina normativa del procedimento d'ingiunzione, ed in particolare dagli artt. 640, comma 3, secondo cui il decreto motivato di rigetto del ricorso ingiuntivo non pregiudica la riproposizione della domanda, anche in via ordinaria, 647, comma 2, secondo cui, qualora il decreto ingiuntivo sia dichiarato esecutivo per mancata opposizione o per mancata attività dell'opponente, l'opposizione non può essere più proposta o proseguita, salva la possibilità di spiegare opposizione tardiva, in presenza dei presupposti di legge, e 650 c.p.c., secondo cui, scaduto il termine per spiegare opposizione, è ammessa l'opposizione tardiva ove l'ingiunto provi di non averne avuto tempestiva conoscenza per irregolarità della notificazione o per caso fortuito o forza maggiore; b) l'assenza di un'analoga norma o di un espresso richiamo all'art. 2909 c.c. (come, invece, disposto dall'art. 702-quater c.p.c., in tema di procedimento sommario di cognizione), che impone un vincolo preclusivo assoluto («l'accertamento ... fa stato ad ogni effetto tra le parti ...»).

In base ad altra tesi, vi sarebbe una piena equiparazione dell'efficacia di giudicato ex art. 2909 c.c. dell'accertamento definitivo del diritto compiuto, tanto in esito al procedimento monitorio, quanto in esito al processo ordinario o sommario di cognizione. Ciò potrebbe essere desunto: a) dalla stessa disciplina normativa speciale del procedimento d'ingiunzione, ed in particolare dagli artt. 647, che comunque stabilisce l'improponibilità o l'improseguibilità dell'opposizione avverso il decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo, 650, che limita la possibilità di spiegare opposizione a casi eccezionali di non conoscenza del provvedimento monitorio per causa non imputabile, esclusa comunque la possibilità di spiegare opposizione decorsi 10 giorni dal primo atto di esecuzione, e 656 c.p.c., che ammette la possibilità di avvalersi dei soli mezzi di impugnazione straordinaria avverso il decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo per decorso del termine di opposizione; b) dall'assenza di altre norme dell'ordinamento processuale che ostino a tale estensione.

Dall'adesione all'una piuttosto che all'altra tesi discendono diverse conseguenze pratiche. Nel primo caso l'oggetto del giudizio, e conseguentemente la preclusione che opera nei giudizi successivi, atterrebbe esclusivamente al bene della vita indicato nel ricorso monitorio, anche se il giudice, nel valutare la sufficiente giustificazione probatoria della pretesa, abbia dovuto prendere in considerazione il titolo della stessa, con l'effetto che, nel successivo giudizio ordinario od anche nel successivo procedimento d'ingiunzione, il creditore istante potrebbe azionare un diverso credito od anche una diversa frazione del medesimo credito, che non sia stata oggetto di richiesta o di concessione con il precedente decreto monitorio, divenuto definitivo, derivante dal medesimo rapporto, non operando pertanto la preclusione pro iudicato, poiché sarebbero diversi i petita (con riferimento all'elemento cronologico, come nel caso di distinte rate o di pagamenti dovuti in forma periodica; ovvero in relazione alla natura del credito, dipendente da quello principale: credito accessorio per interessi, credito risarcitorio per danno da ritardo); mentre il debitore che non si sia opposto nel precedente procedimento, costituendosi nel giudizio ordinario di cognizione o proponendo opposizione al nuovo decreto monitorio, non incontrerebbe alcuna preclusione alla proposizione, per la prima volta, di eccezioni di merito attinenti alla esistenza, validità ed efficacia del rapporto, ossia del medesimo titolo posto a fondamento del credito o della parte di credito oggetto del precedente provvedimento ingiuntivo divenuto incontestabile. Al contrario, il riconoscimento della piena equiparazione dell'efficacia di giudicato al decreto monitorio non opposto, ai sensi dell'art. 2909 c.c., determinerebbe l'estensione dell'efficacia preclusiva dell'accertamento, nei successivi giudizi proposti tra le stesse parti, anche alle questioni presupposte che siano state oggetto di accertamento implicito nel precedente procedimento d'ingiunzione, non essendo più consentito al debitore - convenuto ovvero opponente -, nel successivo giudizio avente ad oggetto l'accertamento del diverso credito, porre in discussione la validità ed efficacia del medesimo rapporto in cui aveva trovato titolo il credito non opposto.

Per la tesi restrittiva si sono espressi gli arresti di Cass. civ., sez. I, 8 agosto 1997, n. 7400; Cass. civ., sez. III, 3 luglio 2008, n. 18205; Cass. civ., sez. lav., 25 novembre 2010, n. 23918, che condiziona però l'inefficacia del giudicato alla mancanza nel provvedimento monitorio di esplicita motivazione sulle questioni di diritto; Cass. civ., sez. lav., 20 marzo 2014, n. 6543. Per la tesi della piena equiparazione militano, invece, Cass. civ., Sez. Un., 16 novembre 1998, n. 11549; Cass. civ., sez. I, 24 novembre 2000, n. 15178; Cass. civ., Sez. Un., 1 marzo 2006, n. 4510; Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2006, n. 6628; Cass. civ., sez. I, 6 settembre 2007, n. 18725; Cass. civ., sez. III, 28 agosto 2009, n. 18791; Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2010, n. 11360. Tuttavia, negli ultimi anni la giurisprudenza, così come la prevalente dottrina, è orientata verso la tesi che sostiene la piena efficacia di giudicato sostanziale del decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo per mancata opposizione nel termine perentorio di legge. Secondo la Cassazione, detto indirizzo è divenuto preponderante alla stregua della valorizzazione dei seguenti indici: A) la pertinenza degli argomenti sviluppati a confutazione della tesi restrittiva; B) l'evoluzione della teoria del giudicato implicito; C) l'accoglimento della teoria che riconosce l'efficacia espansiva del giudicato inerente a distinti diritti che trovino fondamento nel medesimo rapporto di durata o che siano connotati da un'esecuzione periodica delle prestazioni od ancora che siano caratterizzati da taluni elementi costitutivi comuni e tendenzialmente permanenti, integranti presupposti legali o qualificazioni giuridiche invariabili, idonei a completare altre fattispecie; D) da ultimo, l'elaborazione della figura dell'abuso del diritto, con specifico riferimento all'abuso del (diritto di azione nel) processo.

Idoneità al giudicato del provvedimento monitorio

Il decreto ingiuntivo che non sia stato contestato nei termini concessi per la proposizione del giudizio di opposizione costituisce, per un verso, sul piano formale, titolo idoneo per intraprendere l'esecuzione forzata e, per altro verso, sul piano sostanziale, accertamento definitivo del diritto con efficacia di cosa giudicata. Identica conclusione vale per l'ipotesi in cui il giudizio di opposizione si estingua ovvero sia rigettato o dichiarato inammissibile o improcedibile con sentenza passata in giudicato. Che il decreto ingiuntivo divenuto definitivo faccia stato in ordine all'accertamento del diritto in esso incorporato può essere desunto, nonostante il difetto di alcuna specifica ed espressa previsione normativa al riguardo, dai seguenti indici: a) dal riconoscimento della possibilità di spiegare l'opposizione tardiva nei soli casi regolati dall'art. 650 c.p.c.; b) dall'ammissibilità, ai sensi dell'art. 656 c.p.c., dei mezzi di impugnazione della revocazione straordinaria e dell'opposizione di terzo revocatoria avverso il decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo ai sensi dell'art. 647 c.p.c.; c) dalla possibilità di esperire la revocazione avverso il decreto ingiuntivo divenuto esecutivo per contrasto con una precedente sentenza passata in giudicato. Il fatto che l'accertamento discenda da un provvedimento avente la forma del decreto, emesso a seguito di una cognizione sommaria e senza contraddittorio, non esclude che detto accertamento faccia comunque stato ai sensi dell'art. 2909 c.c., norma che si riferisce espressamente ai provvedimenti aventi forma di sentenza. E ciò perché tale accertamento sommario diviene definitivo solo per effetto della mancata proposizione del giudizio di opposizione a cognizione piena, che il debitore aveva facoltà di instaurare e che di fatto non ha instaurato. Ed, infatti, per aversi cosa giudicata non è necessario il contraddittorio effettivo, bensì la provocazione a contraddire ad una domanda giudiziale, che rappresenta la condicio sine qua non perché il provvedimento di merito acquisti efficacia di cosa giudicata. È proprio la garanzia del contraddittorio differito, di cui l'ingiunto può avvalersi ai fini di precludere la formazione del giudicato, a consentire che l'accertamento contenuto nel provvedimento monitorio faccia stato ad ogni effetto ai sensi dell'art. 2909 c.c., indipendentemente dalla forma in concreto assunta dalla pronuncia decisoria. D'altro canto, anche le ordinanze conclusive del giudizio sommario di cognizione sono idonee al passaggio in giudicato, ai sensi dell'art. 702-quater c.p.c., che richiama espressamente l'art. 2909 c.c., benché non abbiano la forma di sentenza. Pertanto, il decreto ingiuntivo non opposto acquista autorità di cosa giudicata sostanziale, sia in relazione al diritto in esso consacrato, sia in ordine ai soggetti, sia in ordine all'oggetto. Per converso, non si può funditus sostenere che l'accertamento contenuto nel decreto ingiuntivo abbia una valenza di grado inferiore rispetto all'accertamento demandato ad una pronuncia avente la forma di sentenza, poiché non è dato ravvisare né la ratio di tale limitazione né il relativo significato.

Difetto di efficacia preclusiva del decreto di rigetto del ricorso monitorio

Diversamente è del tutto coerente che non faccia stato il provvedimento di rigetto, anche parziale, del decreto ingiuntivo richiesto, atteso che l'art. 640 c.p.c. espressamente ammette la riproposizione della stessa domanda. Questa conclusione dipende dalla circostanza che sul provvedimento che nega l'accoglimento della pretesa contenuta nel ricorso monitorio non è ammesso, per definizione, il contraddittorio differito, essendo appunto l'opposizione riservata all'ingiunto-opponente, contro cui sia stato emesso e notificato il decreto ingiuntivo. Nel caso di rigetto della richiesta monitoria il decreto ingiuntivo non si forma, appunto perché esso non è rilasciato all'esito del diniego della relativa istanza, e quindi non avrebbe alcun senso l'instaurazione di un giudizio a cognizione piena su iniziativa di colui contro cui il decreto ingiuntivo è stato domandato, ma non è stato ottenuto. Né la disciplina del procedimento monitorio ammette che l'ingiungente possa spiegare opposizione avverso il decreto di rigetto. Piuttosto potrà riproporre la domanda con un separato ricorso per decreto ingiuntivo ovvero in via ordinaria. Ciò implica la non impugnabilità del provvedimento di rigetto, in relazione alla natura monitoria del procedimento, nel quale la pronuncia di rigetto emessa inaudita altera parte non può conseguentemente avere il valore di un accertamento negativo della domanda dell'attore (Cass. civ., sez. III, 8 ottobre 1956, n. 3408; Cass. civ., sez. III, 3 maggio 1974, n. 1244; Cass. civ., sez. lav., 2 aprile 1987, n. 3188; Cass. civ., sez. III, 24 giugno 1993, n. 7003; contra Cass. civ., sez. lav., 20 gennaio 1999, n. 499, e Cass. civ., sez. lav., 15 marzo 1999, n. 2304). Sul punto si rileva che il rigetto, anche parziale, della domanda in sede monitoria non necessariamente dipende dal fatto che essa non trovi in assoluto alcun riscontro, e sia conseguentemente infondata, ma ben può dipendere dalla circostanza che difettano le condizioni di ammissibilità di cui all'art. 633 c.p.c.. Il che corrobora la scelta del legislatore di non attribuire al decreto di rigetto efficacia preclusiva. D'altronde, in caso di accoglimento parziale della domanda monitoria, l'effettuazione della notifica del decreto a cura del ricorrente non importa alcuna acquiescenza in ordine alla porzione di credito disattesa, essendo piuttosto funzionale ad impedire che il decreto perda efficacia ai sensi dell'art. 644 c.p.c..

Estensione del giudicato sul decreto ingiuntivo al dedotto e al deducibile

Proprio il diverso trattamento riservato all'accoglimento del ricorso ingiuntivo, a fronte del trattamento previsto per il rigetto, anche parziale, ha indotto a ritenere che la commisurazione dell'ambito oggettivo del giudicato, formatosi sul decreto ingiuntivo non opposto nei termini di legge, non solo al dedotto ma anche al deducibile, quale coerente conseguenza dell'accertamento ordinario cui si riferisce l'art. 2909 c.c., non sarebbe, di contro, compatibile con la peculiarità del procedimento per ingiunzione, che è strutturato, almeno nella fase propriamente monitoria, secondo regole finalizzate ad accertare non già la fondatezza o l'infondatezza della pretesa creditoria, ma esclusivamente la sussistenza di elementi sufficienti a giustificare l'ingiunzione (Cass. civ., Sez. Un., 1 marzo 2006, n. 4510). Nondimeno, secondo una più convincente elaborazione, cui aderisce la pronuncia in commento, il giudicato sostanziale formatosi in conseguenza della mancata opposizione del provvedimento monitorio copre non solo il dedotto ma anche il deducibile, poiché deve essere equiparato, a tutti gli effetti, al giudicato derivante da una sentenza, sicché non potrà essere fatta valere in un successivo giudizio l'inesistenza di fatti costitutivi ovvero l'esistenza di fatti impeditivi, estintivi o modificativi che l'ingiunto avrebbe potuto eccepire attraverso l'atto di opposizione.

Pertanto, i limiti oggettivi del giudicato attengono all'immutabilità, irretrattabilità o intangibilità dell'accertamento dell'esistenza del diritto soggettivo fatto valere nel procedimento monitorio. Siffatto vincolo, che si suole ricondurre al principio del ne bis in idem, opera in tutti i futuri giudizi in cui sia dedotto in via principale quello stesso diritto soggettivo acclarato dal decreto ingiuntivo (cd. effetti diretti) o siano fatti valere diritti soggettivi, la cui esistenza dipende dal diritto verificato in sede monitoria (cd. effetti riflessi). In ragione del più accreditato indirizzo interpretativo (Cass. civ., sez. III, 11 maggio 2010, n. 11360; Cass. civ., sez. I, 24 novembre 2000, n. 15178), il giudicato sostanziale conseguente alla mancata opposizione di un decreto ingiuntivo copre, non soltanto l'esistenza del credito azionato (ossia del bene della vita invocato dal ricorrente), del rapporto di cui esso è oggetto e del titolo su cui il credito ed il rapporto stessi si fondano, ma anche l'inesistenza di fatti impeditivi, estintivi e modificativi del rapporto e del credito, precedenti al ricorso per ingiunzione e non dedotti con l'opposizione, mentre non si estende ai fatti successivi al giudicato ed a quelli che comportino un mutamento del petitum ovvero della causa petendi in seno alla domanda rispetto al ricorso esaminato dal decreto ingiuntivo divenuto esecutivo (Cass. civ., sez. III, 24 marzo 2006, n. 6628; vedi anche le più risalenti Cass. civ., sez. II, 26 ottobre 1974, n. 3175; Cass. civ., sez. III, 7 ottobre 1967, n. 2326). Ne discende che la valenza preclusiva del relativo accertamento si estende non solo al bene della vita che ha formato oggetto della domanda, ma anche all'esistenza e alla validità del rapporto sottostante sul quale si fonda lo specifico effetto giuridico dedotto. Spunti favorevoli al riconoscimento di questa estensione provengono dalle decisioni in tema di regolamento preventivo di giurisdizione (di cui a Cass. civ., Sez. Un., 16 novembre 1998, n. 11549; Cass. civ., Sez. Un., 12 luglio 2005, n. 14546). È precluso, dunque, il rinnovato esame del rapporto dedotto nell'ambito del decreto ingiuntivo da cui il credito fatto valere deriva, con la relativa causale, in un successivo giudizio. Sicché l'autorità e l'efficacia di giudicato del decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo sono assimilabili al giudicato di una sentenza di condanna (Cass. civ., sez. III, 16 aprile 1968, n. 1125; vedi anche Cass. civ., sez. III, 14 luglio 1967, n. 1776; Cass. civ., sez. I, 17 maggio 1966, n. 1246; nella giurisprudenza di merito vedi Trib. Cassino, 30 gennaio 2007; Trib. Roma, 2 marzo 2006). Né siffatta conclusione si pone in tensione con gli artt. 3 e 24 Cost., in ragione della natura sommaria dell'accertamento rimesso al procedimento monitorio, in quanto al debitore, dopo l'emanazione di un provvedimento immediato a seguito di una sommaria cognizione, è consentita la difesa più completa, mediante l'atto di opposizione, che instaura il giudizio a cognizione piena (vedi Cass. civ., sez. lav., 20 aprile 1996, n. 3757). Il fatto che l'ingiunto non se ne sia avvalso non pregiudica l'idoneità del provvedimento a determinare un pieno giudicato, appunto perché questi aveva comunque la possibilità di avvalersene, pena la formazione del giudicato, e di ciò avrebbe dovuto essere consapevole (ignorantia legis non excusat). Ma vi è di più. In base ad un'opzione ermeneutica ancora più penetrante e incisiva (Cass. civ., sez. III, 28 agosto 2009, n. 18791; Cass. civ., sez. I, 6 settembre 2007, n. 18725; Cass. civ., sez. III, 13 febbraio 2002, n. 2083; Cass. civ., sez. I, 14 luglio 2000, n. 9335), il decreto ingiuntivo non opposto acquista efficacia di giudicato anche in relazione agli accertamenti che costituiscono i necessari e inscindibili antecedenti o presupposti logico-giuridici della pronunzia d'ingiunzione, impedendo che gli stessi possano essere riportati all'attenzione dell'autorità giudiziaria in altro giudizio tra le medesime parti. Essi possono essere desunti dal collegamento dinamico tra motivi del ricorso ed esito della domanda monitoria, atteso che anche il ricorso è notificato all'ingiunto, tanto che tali motivi integrano per relationem il contenuto precettivo del decreto ingiuntivo. In conclusione, il giudicato che consegue alla mancata opposizione del provvedimento monitorio, per un verso, fa stato in ordine all'esistenza e alla validità del rapporto sul quale si fonda lo specifico effetto giuridico dedotto e, per altro verso, copre il dedotto ed il deducibile (Cass. civ., Sez. Un., 16 novembre 1998, n. 11549, che, proprio in ragione di tale principio, nega l'ammissibilità del regolamento preventivo di giurisdizione proposto nel corso del giudizio di opposizione tardiva ex art. 650 c.p.c.; nello stesso senso Cass. civ., Sez. Un., 12 luglio 2005, n. 14546; contra Cass. civ., Sez. Un., 6 luglio 2005, n. 14208). In questa prospettiva si è affermato che il decreto ingiuntivo concesso per il pagamento di canoni locatizi insoluti, emesso all'esito di convalida di sfratto, una volta divenuto inoppugnabile, acquista efficacia di giudicato sull'esistenza del contratto di locazione, sulla ricorrenza del credito per il pagamento dei canoni e sull'inesistenza di fatti impeditivi, modificativi od estintivi dell'uno o dell'altro, che non siano stati dedotti, benché deducibili, nel corso del giudizio (Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2015, n. 13207; Cass. civ., sez. III, 24 maggio 2013, n. 12994; Cass. civ., sez. III, 24 luglio 2007, n. 16319). Tuttavia, alla stregua dell'indirizzo recepito dalla giurisprudenza, non può fare stato sulla qualificazione del contratto ed, in particolare, sulla sua assoggettabilità o meno alla disciplina di cui alla legge 27 luglio 1978, n. 392, che non abbia formato oggetto di accertamento, nemmeno sommario, da parte del giudice (Cass. civ., sez. III, 2 aprile 2009, n. 8013).

Copertura del giudicato sui presupposti logico-giuridici

Una volta risolto in modo positivo il nodo inerente alla possibilità di equiparare il giudicato del decreto ingiuntivo definitivo all'intangibilità delle sentenze, con la conseguente applicazione dell'art. 2909 c.c., si pone l'ulteriore questione di stabilire quale sia l'ampiezza di detto giudicato, problema quest'ultimo comune a tutti i provvedimenti idonei ad acquistare l'autorità di cosa giudicata sostanziale. Anche la sentenza n. 28318/2017 afferma il principio secondo cui l'autorità del giudicato in ordine al decreto ingiuntivo non opposto spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono, sia pure implicitamente, il presupposto logico-giuridico. Siffatta conclusione è argomentata in ragione del contraddittorio differito che nel procedimento monitorio è assicurato all'ingiunto, formandosi il giudicato solo per effetto della mancata proposizione dell'opposizione. Tanto permette all'ingiunto di contestare, tramite opposizione, l'integrazione del rapporto sotteso alla pretesa fatta valere, in mancanza della quale il giudizio sulla ricorrenza del rapporto fondamentale si cristallizza, precludendo qualsiasi successiva obiezione in un successivo giudizio. Inoltre, a conforto di tale conclusione sono evocati i principi consolidati recepiti dalla giurisprudenza in ordine alla formazione del giudicato per implicazione discendente sugli aspetti pregiudiziali in senso logico, come nel caso della giurisdizione del giudice adito e della validità del contratto presupposto su cui si innestano le pretese contrattuali delle parti, oltre che con riferimento ai profili preliminari di merito, concernenti lo stesso rapporto sostanziale su cui la pretesa azionata si basa. Il riferimento ai crediti che trovano genesi in un rapporto complesso, purché aventi la stessa fonte, è funzionale al concetto processuale di pregiudizialità-dipendenza in senso logico, rilevante ai fini dell'individuazione dei limiti oggettivi del giudicato. Il credito unitario è quello che deriva da un'unica obbligazione e finisce con l'identificarsi con l'unità economica della prestazione che ne forma oggetto. Viceversa, si rientra nell'alveo dei crediti che discendono da un rapporto complesso, qualora le plurime prestazioni costituiscano effetti di un rapporto obbligatorio articolato, che ne rappresenta la comune matrice: tale fascio di crediti è avvinto geneticamente al medesimo rapporto, ma ciascun effetto mantiene una propria autonomia strutturale. Ora, la pregiudizialità/dipendenza in senso logico si distingue da quella in senso tecnico. Nella pregiudizialità logica il nesso di dipendenza intercorre tra il singolo effetto giuridico ed il rapporto obbligatorio complesso di cui è parte o su cui si fonda tale effetto giuridico ed è tale per cui l'esistenza della singola coppia pretesa/obbligo dipende dall'esistenza del rapporto obbligatorio complesso. La giurisprudenza maggioritaria è costante nel ritenere che i limiti oggettivi del giudicato si estendono sempre all'intero rapporto giuridico complesso, costitutivo del singolo effetto giuridico immediatamente dedotto in giudizio come petitum. Da ciò deriva che, ove siano proposte domande che si trovino in rapporto di pregiudizialità logica, quali la domanda di condanna al pagamento del canone e la domanda di accertamento del rapporto di locazione, la domanda di pagamento della retribuzione e la domanda di accertamento del rapporto di lavoro subordinato (ovvero altre pretese discendenti dal medesimo rapporto sottostante), l'oggetto o petitum di uno dei due giudizi, quello concernente l'accertamento del rapporto obbligatorio complesso, è già compreso in quello dell'altro, pur non coincidendo con esso. In altri termini, tra le domande che si trovano in rapporto di pregiudizialità logica sussiste parziale identità di petitum, che dà luogo al fenomeno della continenza di cause. A fenomeni di connessione, invece, conduce sempre la pregiudizialità tecnica. Infatti, nella pregiudizialità tecnica il nesso di pregiudizialità/dipendenza intercorre tra rapporti giuridici diversi ed è tale per cui l'esistenza di uno dipende dall'esistenza o inesistenza dell'altro. Ciò significa che l'esistenza dell'effetto o rapporto giuridico dipende dall'esistenza del diritto o rapporto giuridico ovvero dall'inesistenza del diritto o rapporto impeditivo, modificativo, estintivo. Nella fattispecie della connessione per pregiudizialità tecnica tra domande sussiste un nesso di natura sostanziale, tale per cui il diritto che forma oggetto della domanda pregiudiziale assume rilevanza di fatto costitutivo, impeditivo, modificativo, estintivo del diritto che forma oggetto della domanda dipendente. In tali casi, ai sensi dell'art. 34 c.p.c., quando la controversia verta sul diritto dipendente, il giudicato sul diritto pregiudiziale in senso tecnico si forma solo ove vi sia un'espressa previsione di legge in tal senso o la specifica domanda della parte; altrimenti l'accertamento del diritto pregiudiziale avviene solo incidenter tantum, senza che su tale verifica si formi il giudicato. In ultimo, è richiamato il recente orientamento sull'infrazionabilità relativa dei crediti relativi allo stesso rapporto, essendosi affermato sul punto che, ai fini di non integrare la categoria dell'abuso del processo, non sono parcellizzabili i distinti diritti di credito che, oltre a far capo ad un medesimo rapporto di durata tra le stesse parti, sono anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o comunque fondati sul medesimo fatto costitutivo, salvo che il frazionamento sia giustificato dalla sussistenza di un interesse oggettivamente valutabile alla tutela processuale frazionata (Cass. civ., Sez. Un., 16 febbraio 2017, n. 4090). Pertanto, ricadono nella preclusione del giudicato i singoli diritti derivanti dal medesimo rapporto che siano fondati sui medesimi presupposti e titoli costitutivi; diversamente accade quando questi ultimi siano eterogenei, ossia siano rispettivamente di fonte pattizia e di fonte legale.

In conclusione

In questa prospettiva devono ritenersi superate le tradizionali critiche mosse alla ricostruzione più ampia circa la portata del giudicato. Infatti, nelle sue enunciazioni più precise la tesi dell'estensione del giudicato al rapporto giuridico sotteso alla pretesa azionata è stata prospettata in riferimento ai soli casi nei quali, durante il processo sul diritto soggettivo, tale rapporto sia stato colpito da una contestazione in grado di tramutarne l'originaria indole di “punto” in quella di vera e propria “questione” pregiudiziale, escludendosi, in caso contrario, che con riguardo ad esso possa formarsi l'autorità di cosa giudicata. Viceversa, secondo l'indirizzo più convincente, quand'anche il rapporto fondamentale non sia stato evocato in giudizio, costituendo questo un presupposto logico indispensabile della decisione, sebbene implicito, la portata del giudicato si estende anche all'accertamento della sua ricorrenza. Quanto al giudicato implicito, si è ritenuto, da parte di un filone della dottrina, che esso operi, se non con mera efficacia endoprocessuale, quantomeno per le sole condizioni dell'azione e degli altri presupposti processuali. Ma si è visto che i più recenti arresti estendono la portata del giudicato implicito anche alle questioni di merito, come la validità del contratto presupposto. Con riferimento alla copertura del dedotto e del deducibile, si è inoltre sostenuto che la preclusione che ne deriva impedirebbe alle parti di allegare fatti giuridicamente rilevanti, si tratti di meri fatti o di fatti-diritti, ed indipendentemente dalla loro effettiva deduzione nel processo in cui è stato fatto valere il diritto sul quale il giudice ha statuito con autorità di cosa giudicata, nella misura in cui il loro accertamento potrebbe rimettere in discussione il risultato della causa originaria, ossia, appunto, l'accertamento coperto dal giudicato, destabilizzandolo, e non allo scopo di sottrarre alle parti la possibilità di beneficiare di un nuovo giudizio anche nell'ipotesi in cui, per suo tramite, si vogliano perseguire obiettivi perfettamente compatibili con il contenuto del precedente accertamento. Ma anche in tal caso la conclusione non convince poiché, se così fosse, i presupposti su cui si fondano le plurime domande spiegate, aventi ad oggetto beni della vita derivanti da un medesimo titolo, sebbene riferiti a periodi diversi, potrebbero essere tra essi configgenti, determinando un'eccessiva instabilità dei relativi rapporti e minando la certezza delle relazioni giuridiche. In altri termini, una volta che sul rapporto che costituisce il fondamento logico-giuridico di una certa pretesa si sia formato il giudicato, non è possibile mettere in discussione l'esistenza di tale rapporto in un successivo giudizio avente ad oggetto la soddisfazione di una pretesa che riguarda altro periodo, sebbene all'esito di tale discussione il primo giudicato non sia intaccato, pena una contraddizione logica tra i due giudicati, con riferimento ai rispettivi presupposti di riferimento.

Pertanto, anche con riguardo al decreto ingiuntivo non opposto, il giudicato copre il dedotto e il deducibile nella su anzidetta più ampia accezione. Rientra altresì nella copertura del giudicato l'accertamento del rapporto che costituisca presupposto logico-giuridico, anche implicito, della pretesa azionata. Sicché la preclusione che matura per effetto della mancata opposizione del provvedimento monitorio non è quantitativamente inferiore di quella che si determinerebbe per i provvedimenti conclusivi dei procedimenti a contraddittorio contestuale e cognizione piena, ossia non è una preclusione pro iudicato, cioè limitata alla singola coppia pretesa-obbligo dedotta in giudizio, ma è una preclusione ob rem iudicatam, cioè che copre i fatti e le questioni effettivamente allegati e quelli che potevano esserlo o che ne costituiscono l'indispensabile antecedente logico-giuridico. Si tratta così di un'efficacia panprocessuale o di un'efficacia preclusiva esterna, del tutto identica a quella che connota l'immutabilità e stabilità delle sentenze passate in cosa giudicata materiale. Sicché l'estensione del giudicato al dedotto e al deducibile impedisce alle parti di rievocare e utilizzare i fatti già nel primario giudizio deducibili in un nuovo giudizio per conseguire risultati capaci di abbattere o delegittimare il contenuto della prima pronuncia, divenuta irrevocabile. Inoltre, ragioni di economia processuale supportano la teoria della pregiudizialità logica, secondo cui il passaggio in giudicato della statuizione che accerta l'esistenza del diritto soggettivo fa stato, ad ogni effetto, anche in ordine al rapporto giuridico complesso che di tale diritto costituisce il fondamento, dichiarandone in modo incontrovertibile l'esistenza o il modo di essere. Ora, le ultime sentenze che hanno affrontato il tema fanno propriamente impiego della teoria della pregiudizialità logica, invocata insieme alla differente teoria del giudicato implicito, per sostenere che gli effetti preclusivi e vincolanti della decisione si propagano, in modo pressoché automatico, anche all'accertamento della sussistenza del rapporto complesso nonché di qualsiasi altro presupposto, sostanziale o processuale, che presenti un nesso di necessità logico-giuridica con il contenuto della decisione. Con la precisazione però che, così come accade per ogni pronuncia idonea a passare in cosa giudicata sostanziale, in ordine alle relazioni continuative l'immutabilità proiettata fuori del processo soggiace alla clausola rebus sic stantibus, con la conseguenza che, quanto alla pronuncia cd. determinativa, mutando i fatti (sopravvenuti), la cosa giudicata si adatta ad essi. E ciò perché il giudicato attiene ai fatti così come si presentano nel momento in cui si formano e riguarda solo il passato, ma non il futuro. Ne discende che i fatti nuovi o sopravvenuti possono intaccare la cosa giudicata. In questi soli termini si rinviene un fenomeno di cd. relativizzazione o flessibilizzazione del giudicato. Per l'effetto, il giudicato non copre esclusivamente i fatti successivi alla sua formazione nonché le pretese che abbiano un'autonoma connotazione sul piano del petitum e della causa petendi, sulla scorta dei principi generali in tema di limiti oggettivi e temporali del giudicato delle sentenze (Cass. civ., sez. I, 2 aprile 2015, n. 6673).

Resta da chiedersi quale sia il momento in cui si forma il giudicato nel caso di mancata opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso. Secondo la tesi prevalente in giurisprudenza (Cass. civ., sez. I, 13 marzo 2009, n. 6198; nello stesso senso Cass. civ., sez. I, 27 gennaio 2014, n. 1650; così anche Cass. civ., sez. I, 31 gennaio 2014, n. 2112; Cass. civ., sez. VI-I, 29 febbraio 2016, n. 3987; Cass. civ., sez. VI-I, 10 ottobre 2017, n. 23679; Cass. civ., sez. VI-I, 11 ottobre 2017, n. 23775; Cass. civ., sez. VI-I, 24 ottobre 2017, n. 25191), la formazione del giudicato sostanziale risale al momento in cui è adottato il decreto che dispone l'esecutorietà del provvedimento monitorio, ai sensi dell'art. 647 c.p.c.. E ciò anche quando sia stata notificata la citazione introduttiva dell'opposizione, ma l'opponente non si sia costituito, iscrivendo la causa a ruolo. Il conferimento dell'esecutorietà in ragione dell'integrazione dei relativi presupposti ha, pertanto, valenza costitutiva ed efficacia ex nunc. Esso spetta al giudice che ha pronunciato il provvedimento monitorio, su istanza anche verbale del ricorrente. La relativa verifica non può essere compiuta in via incidentale dal giudice dell'esecuzione, poiché, tra l'altro, postula il controllo della notifica del ricorso e del decreto ingiuntivo, all'esito del quale il giudice del monitorio può disporre la rinnovazione, ove risulti o appaia probabile che l'intimato non abbia avuto conoscenza del decreto.

Guida all'approfondimento
  • Balbi, Ingiunzione (procedimento di), in Enc. Giur. it., XVII, 1997, 15;
  • Garbagnati-Romano, Il procedimento d'ingiunzione, 2^ ed., Milano, 2012, 23;
  • Mandrioli-Carratta, Diritto processuale civile, III, I procedimenti speciali. L'arbitrato, la mediazione e la negoziazione assistita, 14^ ed., Torino, 2015, 54;
  • Luiso, Diritto processuale civile, Milano, 2017, 111;
  • Proto Pisani, Appunti sul giudicato civile e sui suoi limiti oggettivi, in Riv. dir. proc., 1990, 411;
  • Ronco, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000, 572;
  • Trapuzzano, Limiti oggettivi del giudicato formatosi sul decreto ingiuntivo, in www.ilProcessoCivile, 7 luglio 2016;
  • Valitutti-De Stefano, Il decreto ingiuntivo e l'opposizione, Padova, 2013, 199.

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