Licenziamento per mancato superamento del periodo di prova comunicato via mail
06 Marzo 2018
Massima
Per il licenziamento intimato durante il periodo di prova non è richiesto per legge l'atto scritto. In ogni caso, il requisito della comunicazione per iscritto del licenziamento deve ritenersi assolto, in assenza della previsione di modalità specifiche, con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità, ivi compresa la comunicazione a mezzo mail. Il caso
Un lavoratore, licenziato per mancato superamento del periodo di prova comunicatogli a mezzo mail ricevuta prima della scadenza del periodo di prova e seguita da raccomandata a.r. viceversa ricevuta dopo la scadenza del periodo di prova, agiva in giudizio chiedendo che fosse accertata la nullità del patto di prova apposto al contratto di lavoro e comunque la nullità, illegittimità o inefficacia del licenziamento per mancato superamento del periodo di prova intimatogli a mezzo mail, con conseguente condanna della società datrice alla sua reintegra in servizio ed al pagamento delle retribuzioni medio tempore maturate. Respinta la domanda in primo e secondo grado, il lavoratore ricorreva in Cassazione, denunziando, tra l'altro, la violazione degli artt. 2702 e 2697 c.c., in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c. per avere il Giudice di secondo grado ritenuto rilevante la comunicazione del licenziamento effettuata a mezzo mail con allegato un file in formato PDF contenente la lettera di licenziamento. Secondo il ricorrente, infatti, in primo luogo tale comunicazione non poteva ritenersi atto scritto in quanto non sottoscritta dal mittente ed in ogni caso mancava la prova tanto della provenienza della mail dall'azienda che della sua ricezione da parte del lavoratore.
Tali argomentazioni venivano partitamente contestate dalla società, che a riguardo evidenziava in primo luogo che la comunicazione di licenziamento a mezzo mail era stata inviata e conosciuta dal lavoratore prima della scadenza del periodo di prova, come dimostrato dal contenuto delle successive mail dallo stesso inviate ai colleghi di lavoro, ed in secondo luogo che, anche facendo riferimento alla raccomandata di licenziamento, spedita prima della scadenza del periodo di prova, quello che rilevava ai fini della tempestività del licenziamento era la spedizione della lettera raccomandata e non il successivo momento del suo ricevimento. La questione
La questione posta all'esame della Suprema Corte riguarda la validità ed efficacia di un licenziamento per mancato superamento del periodo di prova comunicato al lavoratore, prima della relativa scadenza, tramite e-mail. Finiti i tempi della tradizionale raccomandata con ricevuta di ritorno, rispetto alla quale non si poneva alcun problema in ordine alla provenienza della stessa dalla parte datoriale nonché della prova dell'avvenuta ricezione, l'era digitale ha costretto la giurisprudenza ad intervenire per verificare la validità di forme alternative di comunicazione del licenziamento (via sms, e-mail, whatsapp), rispetto alle quali si pongono tuttavia una serie di problemi, la cui soluzione non può evidentemente prescindere dai principi generali che qualificano il licenziamento un negozio unilaterale recettizio e dalla normativa in tema di licenziamenti (per quanto attiene al caso di specie non applicabile al lavoratore in quanto in periodo di prova) contenuta nell'art. 2 della L. n. 604/1966, secondo cui il datore di lavoro deve comunicare per iscritto il licenziamento al prestatore di lavoro. Le soluzioni giuridiche
Trattandosi di licenziamento intimato durante il periodo di prova, la Suprema Corte ha preliminarmente evidenziato come la regola generale della forma scritta prescritta dall'art. 2 della L. n. 604/1966 non è applicabile ai licenziamenti intimati in periodo di prova, posto che le garanzie di cui alla stessa legge trovano applicazione in favore dei lavoratori in prova soltanto dal momento in cui l'assunzione diviene definitiva e, in ogni caso, quando sono decorsi sei mesi dall'inizio del rapporto di lavoro, secondo quanto previsto dall'art. 10 della medesima Legge.
Fatta questa premessa di carattere generale, la Corte ha comunque affermato che il requisito della comunicazione per iscritto del licenziamento deve ritenersi assolto, in assenza della previsione di modalità specifiche, con qualunque modalità che comporti la trasmissione al destinatario del documento scritto nella sua materialità.
Quanto al caso oggetto di giudizio, riguardante la comunicazione del licenziamento a mezzo mail, la soluzione proposta nella sentenza in commento risente della conformità del giudizio di fatto, risoltosi negativamente nei due gradi di merito precedenti, che ha precluso alla Corte ulteriori accertamenti sotto il profilo della legittimità. Nel corso dei due gradi precedenti di giudizio, infatti, era stato accertato che la società aveva trasmesso via mail un allegato contenente la lettera di licenziamento e che detta comunicazione via mail era stata ricevuta dal ricorrente prima della scadenza del periodo di prova, come confermato dal fatto che lo stesso lavoratore a sua volta a mezzo aveva comunicato ad alcuni colleghi di lavoro di aver ricevuto la comunicazione di licenziamento. Osservazioni
Il circoscritto perimetro legato al caso concreto sul quale si è espressa la Suprema Corte non esime tuttavia dall'analizzare le problematiche connesse alle nuove modalità di comunicazione telematica del licenziamento, che inevitabilmente risentono delle mutate forme tecnologiche di comunicazione, con le quali i rapporti tra privati devono confrontarsi.
La continua evoluzione delle forme di comunicazione cui suo malgrado è esposto il cittadino/lavoratore “iperconnesso” non può tuttavia dematerializzare nella sostanza il provvedimento risolutorio del rapporto di lavoro: sul punto, la Suprema Corte ha infatti a più riprese ribadito che “Ai fini del rispetto del requisito della forma scritta per la validità del licenziamento, non è necessario che la volontà risolutiva sia espressa attraverso formule sacramentali, ma essa deve essere comunque manifestata in maniera adeguatamente intellegibile, ai fini della tutela dell'affidamento della controparte” (Cass. sez. lav., 11 settembre 2003, n. 13375; Cass. sez. lav., 19 luglio 2012, n. 12499; Cass. sez. lav., 13 agosto 2007, n. 17652).
Di conseguenza, a prescindere dalla modalità di comunicazione del licenziamento, una prima verifica va fatta in ordine al contenuto della comunicazione, nella quale la volontà risolutoria del rapporto deve essere chiara ed inequivocabile (cfr. da ultimo, sul punto, Trib. Roma del 4 aprile 2017, che ha ritenuto priva di tale inequivocità una comunicazione via sms del datore di lavoro del seguente tenore “Ti chiamo in giornata, ti faccio sapere”; in precedenza, tuttavia, il Tribunale di Genova, con ordinanza del 5 aprile 2016, aveva ritenuto idoneo a risolvere il rapporto di lavoro di un barista un sms inviato dal titolare del bar del seguente tenore: “Non faccio più aperitivi, buona fortuna”).
Con riferimento alle nuove modalità di comunicazione del licenziamento, con il passare del tempo divenute sempre più diffuse, si pongono essenzialmente tre problemi: in primo luogo occorre verificare se il licenziamento intimato mediante sms, mail o whatsapp soddisfi il requisito della forma scritta prescritto dall'art. 2 della L. n. 604/66; in secondo luogo occorre verificare l'imputabilità del messaggio alla parte datoriale, non essendo automatica la riferibilità a quest'ultima della comunicazione effettuata via mail, ed in ultimo, ovviamente ove vi sia contestazione sul punto, occorre verificare l'avvenuta ricezione a mezzo mail della comunicazione di licenziamento che, costituendo negozio unilaterale recettizio, produce i suoi effetti dal momento in cui giunge a conoscenza del destinatario, in applicazione della disciplina generale dettata dagli artt. 1334 e 1335 c.c..
Sul punto, la disciplina normativa di riferimento, di recente modificata, prevede espressamente che il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l'efficacia prevista dall'art. 2702 c.c. quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata; viceversa, in tutti gli altri casi (ivi compreso quello dell'invio del documento a mezzo mail) "l'idoneita' del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrita' e immodificabilità” (art. 20 co. 1-bis del D.Lgs. 82 del 7 marzo 2005, come di recente modificato dall'art. 20, co. 1, del D.Lgs. n. 217 del 13 dicembre 2017).
Sulla prima questione, la giurisprudenza di merito è divisa. Secondo un primo orientamento, “La mail priva di firma digitale non costituisce atto scritto e sottoscritto ex art. 2702 c.c.; pertanto il licenziamento con essa comunicato è inefficace per violazione dell'art. 2 della legge n. 604 del 1966 e, in base ai commi 1 e 3 dell'art. 18 della legge n. 300 del 1970 come novellato dalla legge n. 92 del 2012, ha come conseguenza la reintegrazione nel posto del lavoratore ovvero, su richiesta di quest'ultimo, la sostituzione della detta reintegrazione con una indennità” (Tribunale Frosinone ord. 15 febbraio 2016, est. Lisi); di contro, si ritiene che il licenziamento intimato a mezzo mail (equiparato a quello intimato via sms) integri il requisito della forma scritta ove non vi sia contestazione da parte del lavoratore sulla provenienza del messaggio (Corte di Appello Firenze del 5 luglio 2016, in RIDL, 2017, I, 120, con nota di A. Rota); analogamente, si è ritenuto valido ed efficace il licenziamento intimato via whatsapp (Tribunale di Catania, ordinanza del 27 giugno 2017, est. Fiorentino) sul presupposto che “Il recesso intimato a mezzo “whatsapp” appare infatti assolvere l'onere della forma scritta, trattandosi di documento informatico che parte ricorrente ha con certezza imputato al datore di lavoro, tanto da provvedere a formulare tempestiva impugnazione stragiudiziale […] La modalità utilizzata dal datore di lavoro, nel caso di specie, appare idonea ad assolvere ai requisiti formali in esame, in quanto la volontà di licenziare è stata comunicata per iscritto alla lavoratrice in maniera inequivoca, come del resto dimostra la reazione da subito manifestata dalla predetta parte”.
Analoga incertezza si registra in relazione al problema della imputabilità della mail di licenziamento alla parte datoriale. Premesso infatti che l'inserimento tracciato di identificativi (username e password) all'account di posta elettronica al fine di inviare una e-mail consente di attribuire quest'ultima ad un determinato soggetto, e che quindi la provenienza della mail da parte del datore di lavoro deve essere espressamente contestata dal lavoratore che agisca in giudizio, la giurisprudenza di merito è divisa tra chi ritiene che “Lo scambio di messaggi di posta elettronica tra due soggetti si traduce nell'invio di documenti informatici, da ritenersi sottoscritti con firma elettronica c.d. semplice, in ragione dell'inserimento di username e password, la cui combinazione integra gli estremi di una sottoscrizione” (Trib. Termini Imerese del 22 febbraio 2015) e chi viceversa ritiene, con particolare riferimento al licenziamento, che “a fronte della previsione legislativa che impone la forma scritta del licenziamento e, quindi, la sottoscrizione del datore di lavoro, deve ritenersi inefficace in quanto intimato in violazione dell'art. 2, comma 1, 1. 604/66, il provvedimento espulsivo irrogato al lavoratore tramite messaggio di posta elettronica in quanto, lo stesso, non può fornire alcuna certezza sulla provenienza o sull'identità dell'apparente sottoscrittore” (Tribunale Roma, ordinanza del 20 dicembre 2013, est. Giovene di Girasole).
In ogni caso, ove sorgano contestazioni in ordine all'attribuibilità alla parte datoriale della e-mail contenente la missiva di recesso, rimane salvo il potere di ratifica del licenziamento, in ossequio ai principi generali di cui all'art. 1399 c.c. (Cass. n. 17461 del 18 novembre 2003; Cass. n. 8459 del 13 aprile 2011).
Un ultimo problema, sicuramente non marginale, riguarda la prova relativa all'effettiva ricezione della missiva di licenziamento a mezzo mail, che ovviamente deve essere specificatamente contestata dal lavoratore che agisce in giudizio. Nella sentenza in commento, la Suprema Corte ha ritenuto la questione superata dal fatto che il lavoratore, successivamente alla ricezione della mail di licenziamento, aveva a sua volta comunicato a mezzo mail a colleghi di lavoro l'avvenuto licenziamento, così dimostrando di aver avuto contezza dell'avvenuta risoluzione del rapporto di lavoro comunicata via mail. In ogni caso, deve ritenersi che la parte datoriale sia facultata a provare l'avvenuta conoscenza della mail di licenziamento con ogni mezzo, ivi inclusa la prova testimoniale, o che il Giudice possa ritenere provata la conoscenza della mail di licenziamento anche da comportamenti concludenti del lavoratore, quali ad esempio l'avvenuta impugnativa del licenziamento, che presuppone appunto la conoscenza dell'atto risolutivo del rapporto di lavoro. In assenza di comportamenti concludenti, o comunque di prova ricavata aliunde in ordine all'avvenuta conoscenza del licenziamento intimato a mezzo mail, perplessità rimangono in ordine all'applicazione del principio generale di cui all'art. 1335 c.c., che regola la presunzione juris tantum di conoscenza dell'atto, nel momento in cui lo stesso giunge “all'indirizzo” del destinatario. A riguardo, la giurisprudenza sembra tuttavia fornire un'interpretazione estensiva della nozione di “indirizzo del destinatario”, non necessariamente da ricollegare al luogo di residenza quanto, piuttosto ad un luogo “di pertinenza” del destinatario, sul quale lo stesso possa esercitare un effettivo controllo (cfr., sul punto, Cass. sez. lav., 5 febbraio 2015, n. 2070, che riconduce alla nozione di indirizzo del destinatario la casella postale della quale lo stesso era titolare).
Per quanto, quindi, la giurisprudenza pare recepire le novità connesse alle mutate forme di comunicazione dell'era digitale, per definizione mutevoli ed accelerate, non può non evidenziarsi come sul tema non sia stato posto un punto fermo, residuando una serie di ipotesi problematiche ad oggi non scrutinate: ci si chiede, ad esempio, se debba ritenersi verbale – con le conseguenze che da tale vizio di forma derivano - un licenziamento intimato mediante messaggio vocale, oppure quale sorte debbano avere le comunicazioni di licenziamento effettuate mediante App (quali Snapchat, Telegram, Confide) delle quali non rimane traccia, essendo le stesse dotate di dispositivi di autodistruzione dopo la relativa visualizzazione. Un mondo da scoprire ed analizzare, quindi, non perdendo tuttavia di vista che, considerata la delicata sfera personale sulla quale incide l'atto risolutivo del rapporto, qualsivoglia forma di comunicazione esige, oltre che la massima chiarezza, la dovuta certezza.
- A. Gentili, Documento elettronico: validità ed efficacia probatoria, in I contratti informatici, a cura di R. CLARIZIA in Trattato dei contratti diretto da P. RESCIGNO – E. GABRIELLI, Torino, 2007, vol. VI, 142; - A. Rota, Sul licenziamento intimato via sms, in Riv. It. Dir. Lav., 2017, I, 120 e ss.; - M. D'Onghia, La forma del licenziamento: brevi riflessioni sulla richiesta di forme sostitutive della usuale dichiarazione scritta, RIDL, 2008, II, 1, 172-177.
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