Recidiva prevista dal CCNL come ipotesi di recesso: il giudice deve in ogni caso valutare la gravità del fatto contestato
26 Febbraio 2018
Massima
La previsione da parte della contrattazione collettiva della recidiva, in relazione a precedenti mancanze, come ipotesi di licenziamento non esclude il potere/dovere del giudice di valutare in ogni caso la gravità dell'addebito ai fini della proporzionalità della sanzione espulsiva. Il caso
In riforma della sentenza del Tribunale di Trani, la Corte di Appello di Bari ha dichiarato illegittimo il licenziamento per giusta causa intimato ad un lavoratore dopo ripetuti episodi di negligenza nell'esecuzione della prestazione lavorativa assegnatagli. Secondo la Corte Territoriale, infatti, la recidiva rappresentava un elemento costitutivo dei fatti della mancanza addebitata al dipendente e avrebbe, quindi, dovuto formare oggetto di contestazione, a pena della nullità della sanzione o del procedimento disciplinare. La società, pertanto, proponeva ricorso dinnanzi alla Suprema Corte per la cassazione della sentenza e il lavoratore resisteva con controricorso. La questione
Con il primo motivo la società ricorrente censurava la sentenza impugnata per aver omesso di esaminare il contenuto della lettera di contestazione e, in particolare, le parole “per l'ennesima volta”, con cui il datore aveva richiamato le precedenti contestazioni della stessa specie.
Con il secondo motivo, la ricorrente, deduceva la violazione e falsa applicazione dell'art. 7 L. n. 300/1970 nella parte in cui escludeva che le parole “per l'ennesima volta” valessero come contestazione della recidiva, nonostante tale contestazione richieda esclusivamente la forma scritta.
Con il terzo motivo, il datore censurava che la Corte di Appello avesse accolto la domanda del lavoratore sull'assunto che la recidiva fosse elemento costitutivo delle fattispecie e che non avesse formato oggetto di contestazione, senza però effettuare qualsiasi valutazione in merito alla gravità delle negligenze contestate, per valutarne l'idoneità a giustificare il recesso.
Ancora, con il quarto motivo, la società censurava la sentenza per aver ritenuto che il CCNL applicato richiedesse necessariamente la recidiva di un comportamento negligente per poter irrogare il licenziamento
Infine, con il quinto motivo, veniva censurata la sentenza impugnata per aver ritenuto che il provvedimento espulsivo fosse basato sulla recidiva della condotta contestata senza considerare che, invece, la stessa era stata utilizzata per evidenziarne la gravità e legittimare la scelta del provvedimento stesso.
I motivi così proposti, per identità delle questioni connesse con il vizio dedotto, venivano esaminati congiuntamente dai giudici di legittimità. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte ha accolto il ricorso, ritendendo fondato il terzo motivo e assorbiti tutti gli altri.
Osservano gli Ermellini che l'illegittimità del licenziamento era stata valutata dalla Corte territoriale sulla base del fatto che, essendo la recidiva un “elemento costitutivo della mancanza”, questa avrebbe dovuto essere espressamente contestata dal datore di lavoro.
Secondo tale impostazione, però – continua la Suprema Corte – i giudici di appello hanno “totalmente omesso di esaminare e valutare il fatto contestato”, ponendosi in contrasto con il prevalente orientamento. Come più volte affermato dalla Corte di legittimità, infatti, "la previsione da parte della contrattazione collettiva della recidiva, in relazione a precedenti mancanze, come ipotesi di licenziamento non esclude il potere - dovere del giudice di valutare la gravità dell'addebito ai fini della proporzionalità della sanzione espulsiva, ai sensi della L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 3, art. 2119 c.c. e la L. 20 maggio 1970, n. 300, art. 7".
Sulla base di tale costante orientamento, pertanto, gli Ermellini cassavano, la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, anche per la liquidazione delle spese di lite, rinviavano alla Corte d'Appello di Bari in diversa composizione.
Osservazioni
Nella sentenza in commento, la Suprema Corte ha inteso ribadire un principio oramai consolidato, secondo il quale la previsione da parte della contrattazione collettiva della recidiva in successive mancanze disciplinari come ipotesi di giustificato motivo di licenziamento, non esclude il potere/dovere del giudice di valutare la gravità in concreto dei singoli fatti addebitati.
Nel giungere a tale conclusione i giudici di legittimità ripercorrono il ragionamento argomentativo seguito dalla Corte d'Appello per poi evidenziarne il contrasto con l'orientamento giurisprudenziale oramai consolidato.
I giudici di secondo grado, infatti, avevano ritenuto la recidiva un elemento costitutivo della mancanza posta alla base del provvedimento espulsivo, alla luce del fatto che -nel caso in esame– la negligenza del lavoratore nell'esecuzione del lavoro affidato fosse sanzionata dal CCNL di settore con la multa o la sospensione per un massimo di 3 giorni. Pertanto, sempre secondo quanto argomentato dalla Corte territoriale, la recidiva avrebbe dovuto formare oggetto di contestazione, a pena della nullità della sanzione o del procedimento disciplinare.
La Suprema Corte, però, ha evidenziato che proprio a seguito di tale percorso argomentativo, la Corte d'Appello aveva totalmente omesso di esaminare e valutare il fatto contestato, ponendosi in contrasto l'orientamento maggioritario. Secondo quanto più volte affermato dalla stessa Cassazione, infatti, anche nel caso in cui non sia possibile applicare la disciplina del contratto collettivo che consente di irrogare una sanzione più severa in presenza di una recidiva, in quanto non espressamente rilevata nella lettera di contestazione, il giudice deve in ogni caso effettuare una valutazione della gravità dell'addebito, per poterne stabilire la gravità ai fini della comminazione di una sanzione espulsiva.
In virtù di tali argomentazioni, quindi, la Suprema Corte ha ritenuto di cassare la sentenza impugnata e di rinviare alla Corte territoriale per esaminare nuovamente la questione. Attraverso la sentenza in commento, pertanto, la Corte di Cassazione, ha confermato la necessità che il giudice esegua sempre una valutazione dei fatti contestati al lavoratore e della loro idoneità a giustificare il licenziamento. |