Recupero dei compensi di avvocato dopo le Sezioni Unite n. 4485/2018. Note critiche

Massimo Vaccari
11 Aprile 2018

A proposito degli strumenti di recupero del credito a disposizione del professionista forense la Corte di cassazione afferma che, mentre prima della riforma del 2011, il rito camerale per la liquidazione di onorari di avvocato concorreva con quello ordinario e con il sommario codicistico, a seguito della entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2011, la controversia di cui all'art. 28 l. n. 794/1942 deve necessariamente introdursi con il procedimento sommario speciale o, in alternativa, con il procedimento monitorio, restando invece esclusa la possibilità di utilizzare il rito ordinario e il rito sommario codicistico.
La modifica di cui all'art. 14 d.lgs. n. 150/2011

Il d.lgs. n. 150/2011, in attuazione dell'art. 54, comma 2, lett. b). n. 2, della legge delega (l.18 giugno 2009, n.69) ha ricondotto al rito sommario di cognizione il procedimento camerale, già disciplinato dagli artt. 28-30 l. 13 giugno 1942, n. 794, riguardante le controversie in materia di liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti dell'avvocato nei confronti del suo cliente. La scelta, secondo quanto si legge nella relazione al d.lgs., è stata dettata dai «caratteri di semplificazione della trattazione e dell'istruzione della causa» che contraddistinguono il procedimento.

Si noti che l'art. 28, a differenza delle altre norme sopra citate, non è stato abrogato ma modificato, introducendovi il rinvio all'art. 14 del decreto semplificazione.

Pertanto sono tuttora previsti, come già per il procedimento camerale, da un lato, quale presupposto di ammissibilità del giudizio, che il credito sia azionato dopo la decisione della causa o l'estinzione della procura, e, dall'altro, quali suoi tratti processuali caratteristici: 1) la competenza dell'ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l'avvocato ha prestato la sua opera; 2) la composizione collegiale del tribunale; 3) la possibilità delle parti di stare in giudizio personalmente; 4) la non appellabilità dell'ordinanza decisoria.

La previsione di cui all'art. 14 va poi integrata con le norme del d.lgs. n. 150/2011 riguardanti tutti i procedimenti sommari speciali (artt. 3 e 4), in virtù del richiamo ad essa contenuto nell'ultima parte del comma 1 dell'art. 14.

Proprio perché la nuova disciplina è sostanzialmente riproduttiva di quella precedente è pressochè unanime tra i commentatori l'opinione che l'ambito di applicazione del procedimento fosse rimasto immutato e che quindi esso non potesse riguardare il credito derivante da prestazioni stragiudiziali, che non siano strettamente connesse a quelle giudiziali in materia civile (con riguardo al procedimento camerale si vedano: Cass. civ., 25 febbraio 1998, n.2020; Cass. civ., 3 dicembre 1996, n.10770), nonché quello derivante dalle prestazioni giudiziali in materia penale, anche come difensore di parte civile (Cass.civ., sez. II, 14 ottobre 2004, n. 20293) e dalle prestazioni giudiziali in materia amministrativa (Cass. civ., sez. II, 29 luglio 2004, n. 14394).

La giurisprudenza di legittimità peraltro ha statuito che, qualora il cliente dell'avvocato abbia la qualità di consumatore, prevale il foro speciale ed esclusivodella residenza o del domicilio di costui di cui all'art. 33, comma 2, lett. u), d.lgs. n. 206/2005 (Cass. civ., sez. VI, 12 marzo 2014, n. 5703 e, indirettamente, anche Cass. civ., sez. VI, 19 gennaio 2016, n. 780, e, con riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, Cass. civ., sez. III, 9 giugno 2011, n. 12685).

Ne consegue che lo speciale procedimento di cui all'art. 14 d.lgs. n. 150/2011, con la relativa regola della competenza del giudice dell'ufficio dinanzi al quale sono state svolte le prestazioni professionali, può essere utilizzato dall'avvocato soltanto nei casi in cui il foro del consumatore coincida con il foro speciale sopra citato oppure nei confronti di cliente che non sia consumatore.

Era poi dubbio in dottrina se sussistesse una competenza funzionale anche del giudice di pace a trattare questo tipo di giudizio, atteso che la norma prevede la composizione collegiale dell'organo giudicante. La tesi favorevole lo riteneva possibile sulla base della considerazione che tale previsione riguarderebbe il solo giudizio davanti al tribunale.

In contrario si poteva però osservare che la competenza del giudice di pace avrebbe potuto risultare innovativa rispetto alla previgente disciplina, con il rischio di una violazione della legge delega che ha prescritto il rispetto dei criteri previgenti di competenza.

Inoltre la prima soluzione comportava una deroga alla regola generale (art. 702-bis c.p.c) secondo cui la disciplina del procedimento sommario ordinario può trovare applicazione solo nelle cause davanti al tribunale (sul punto Cass. civ.,sez. II, 11 novembre 2011, n.23691).

La Cassazione, in una recente pronuncia, aveva optato per la seconda tesi, in base al rilievo che l'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011 configura una vera e propria "competenza funzionale" dell'ufficio giudiziario di merito adito per il processo nel quale l'avvocato ha prestato la propria opera (Cass. civ.,sez. VI - 2, 11 gennaio 2017, n. 548).

Obbligatorietà o facoltatività del procedimento?

A seguito dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2011 era sorto il dubbio se la nuova disciplina dovesse ritenersi inderogabile, oppure se l'avvocato avesse mantenuto la possibilità di azionare il proprio credito anche nelle forme del giudizio ordinario di cognizione e in quelle del giudizio sommario ordinario, non essendo invece discusso che egli potesse utilizzare a tal fine anche il procedimento monitorio, dal momento che tale facoltà gli è espressamente attribuita dallo stesso art. 14.

La risposta al quesito ha delle rilevanti conseguenze processuali, dal momento che il modello di rito sommario delineato dal d.lgs. n. 150/2011 è ben diverso da quello regolato nel codice di rito, non essendo previsti per esso, a differenza del procedimento sommario ordinario, oltre alla competenza del tribunale monocratico, il potere del giudice di convertire il rito da sommario in ordinario quando la causa non può essere sommariamente istruita (art. 3, comma 1, d.lgs. n. 150/2011) e l'appellabilità della ordinanza che definisce il giudizio.

Sul punto si era registrato un acceso contrasto non solo dottrinale ma anche giurisprudenziale.

Secondo alcune pronunce della Suprema Corte il procedimento di cui all'art. 14 d.lgs. n. 150/2011 ha carattere obbligatorio, con la conseguenza che l'avvocato, per tutelare il proprio credito, non può optare in alternativa per il giudizio ordinario o per il procedimento ex art. 702-ter c.p.c. (Cass. civ.,sez. VI, 19 febbraio 2014, n. 3915; Cass. civ., sez. VI, 29 febbraio 2016, n. 4002; Cass. civ., sez. II, 17 maggio 2017, n. 12411; Cass. civ., sez. II, 15 febbraio 2017, n. 3993). La conseguenza di tale ricostruzione era che, qualora il giudizio venisse trattato dal giudice monocratico, la decisione sarebbe stata nulla perché adottata in violazione del combinato disposto degli artt. 50-quater e 161, comma 1, c.p.c. e la nullità della decisione.

Altro indirizzo invece aveva osservato, in maniera assai più convincente, che l'intento del d.lgs. n. 150/2011 è stato quello di sostituire la forma camerale del procedimento ex art. 28 l. n. 794/1942 con quella del procedimento ex art. 702-bis c.p.c. "speciale", senza con ciò incidere sul sistema complessivo degli strumenti di tutela invocabili, cosicchè l'avvocato può scegliere, oltre al giudizio ordinario e al procedimento monitorio tra due procedimenti ex art. 702-bis c.p.c. (Trib. Treviso, 13 dicembre 2012, Trib. Verona, 3 maggio 2013; Trib. Roma, 12 marzo 2015; la prima decisione ha anche opportunamente chiarito che, in mancanza di specificazione da parte del professionista, deve ritenersi che il procedimento ex art. 702-bis c.p.c. instaurato sia quello ordinario e non quello speciale).

Orbene, sul punto è opportuno rammentare che, già nella vigenza degli artt. 28-30 l. n. 794/1942, tra i commentatori era prevalente l'opinione secondo cui l'avvocato che intendesse recuperare giudizialmente il proprio credito per prestazioni giudiziali avesse a disposizione tre diversi tipi di tutela: il procedimento previsto dalle norme suddette, il procedimento monitorio e il giudizio ordinario di cognizione.

Si era infatti osservato che non poteva costituire un ostacolo a quella conclusione la circostanza che l'art. 28 l. n. 794/1942 nella sua formulazione originaria stabiliva che l'avvocato, se non intendeva proporre ricorso ex artt. 633 e ss. c.p.c. “doveva” proporre ricorso al capo dell'ufficio giudiziario.

Infatti quel verbo doveva essere inteso come precisazione dell'obbligatorietà del procedimento camerale solo se l'avvocato avesse voluto agire presso l'ufficio giudiziario ove aveva svolto l'attività per cui richiedeva il compenso.

Sulla scorta di tali premesse poi si era affermato che, dopo l'entrata in vigore della legge n. 69/2009, ai predetti istituti si era aggiunto, quale ulteriore alternativa per il professionista legale, il procedimento sommario di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c..

L'oggetto del giudizio

Ulteriore questione che si era posta a seguito della novella era quella della individuazione dell'oggetto del giudizio ed in particolare se esso dovesse ancora ritenersi limitato alla determinazione del quantum dovuto al professionista, senza potersi estendere all'an della pretesa, al pari dell'omologo procedimento camerale (sulla delimitazione dell'oggetto di quest'ultimo si vedano, tra le più recenti: Cass. civ., sez. II, 23 gennaio 2012, n. 876; Cass. civ., sez. II, 15 marzo 2010, n. 6225; Cass. civ., sez. II, 27 maggio 2010, n. 15273; Cass. civ., sez. II, 29 marzo 2005, n. 6578).

Sulla base di quest'ultima premessa la giurisprudenza, con riguardo al regime previgente, aveva individuato una serie di ipotesi che, determinando un ampliamento del thema decidendum, risultavano incompatibili con il rito camerale. Esse vengono riportate nel prospetto sottostante anche nell'attuale assetto normativo (Trib. Verona, 3 maggio 2013, Corte cost., 26 marzo 2014, n. 65; Trib. Mantova, 16 dicembre 2014; Trib. Torino, 21 gennaio 2015; Trib. Lucca, 3 luglio 2015; Cass. civ, sez. II, 5 ottobre 2015, n. 19873; Trib. Milano, 22 settembre 2016, con riguardo al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo; Trib. Mantova, 4 ottobre 2016).

Secondo alcune pronunce di legittimità invece il giudizio sommario speciale poteva estendersi anche ai presupposti del credito del difensore (Cass. civ., sez. VI-3, 29 febbraio 2016, n. 4002; Cass. civ., sez. III, 15 febbraio 2017, n.3993).

Alla questione appena esaminata è strettamente connessa quella dell'individuazione delle modalità con cui deve proseguire il giudizio nel caso in cui esso si estenda all'an della pretesa creditoria e anche su di essa si registra un contrasto giurisprudenziale.

Secondo un primo indirizzo poiché l'art. 3, comma 1, d.lgs. n. 150/2011, esclude espressamente la possibilità di conversione del rito sommario in rito ordinario, si deve pervenire alla dichiarazione di inammissibilità o improcedibilità della domanda oggetto del giudizio (Trib. Verona, 3 maggio 2013; Trib. Mantova, 16 dicembre 2014; Trib. Torino, 21 gennaio 2015).

Secondo un altro indirizzo anche nel caso prospettato il giudizio va trattato secondo la procedura prevista dall'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011, senza possibilità per il giudice adito di trasformare il rito sommario in ordinario o di dichiarare inammissibile la domanda (Trib. Foggia,25 settembre 2012, Cass. civ., sez. VI-3, 29 febbraio 2016, n. 4002).

Secondo una terza opinione il collegio, se il contraddittorio è regolarmente costituito, deve disporre che il procedimento prosegua secondo l'ordinario rito di cognizione avanti all'autorità giudiziaria competente e quindi davanti al giudice monocratico (Trib. Napoli, 26 gennaio 2012; Trib. Verona, 22 gennaio 2015).

Le differenti posizioni appena esposte valgono anche con riguardo alla ipotesi, anch'essa non disciplinata, in cui il convenuto svolga una domanda riconvenzionale (si veda Cass. civ., 27 maggio 2010, n. 15723), che ha ritenuto il procedimento incompatibile anche con una domanda riconvenzionale ex art. 96 c.p.c.) o una eccezione di compensazione.

Rispetto a tale problematica secondo una opinione dottrinale (Balena) occorre distinguere tra domanda riconvenzionale incompatibile con l'accoglimento della domanda principale, nel qual caso, se il giudice adito è competente anche per la riconvenzionale, entrambe le domande dovranno essere da lui trattate, di regola con rito ordinario se la riconvenzionale è soggetta a tale rito, ai sensi dell'art. 40, comma 3, c.p.c.. Qualora invece la domanda riconvenzionale fosse compatibile con la domanda principale o priva di connessione oggettiva di cui all'art. 36, dovrebbe procedersi alla separazione delle cause, data la diversità di rito tra le stesse.

(Segue). Giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo

La novella aveva fatto anche sorgere il dubbio di quali fossero le modalità di introduzione del giudizio di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dall'avvocato per compensi relativi a prestazioni giudiziali civili perché solo tali crediti possono essere tutelati nelle forme del procedimento di cui all'art. 14 d.lgs. n. 150/2011.

Anche su tale questione si era avuta una diversità di opinioni.

Secondo un primo indirizzo, qualora l'avvocato opti per la tutela monitoria del proprio credito, l'eventuale giudizio di opposizione deve osservare le forme del procedimento sommario speciale, sempre che esso verta sul quantum della pretesa del legale (in dottrina: Bulgarelli e, in giurisprudenza: Trib. Verona, 21 ottobre 2014).

A tale tesi consegue che la scelta dell'avvocato di proporre ricorso per ingiunzione davanti ad un giudice competente ai sensi dell'art. 637, commi 1 e 3, c.p.c. (e non del secondo comma del medesimo articolo) implica una rinuncia implicita, per l'eventualità di un'opposizione al decreto ingiuntivo, al procedimento più rapido previsto dall'art. 14 del d.lgs. n. 150/2011. Così come identica rinuncia conseguirebbe alla sua opzione per il processo ordinario o per il procedimento sommario (non speciale) di cognizione.

Pertanto, nell'ambito di applicazione del processo sommario previsto dall'art. 14 cit. rientra la sola opposizione al decreto di cui al secondo comma, non quella di cui all'art. 637, comma 3, c.p.c. (Cass. civ., sez. VI, 23 marzo 2015, n. 5810).

Secondo altro indirizzo il giudizio va promosso con le forme del giudizio sommario speciale, e quindi con ricorso, anche qualora dovesse riguardare l'an della pretesa (in dottrina: Balena; in giurisprudenza: Cass. civ., 4 novembre 2016, n. 22447 e sia pure come obiter dictum, anche Cass. civ., Sez. Un., 23 settembre 2013, n.2167).

Peraltro la medesima Cass. civ., n. 22447/2016 aveva precisato che, qualora l'opposizione fosse erroneamente proposta con atto di citazione, questo può «produrre gli effetti del ricorso solo se sia depositata in cancelleria entro il termine di cui all'art. 641 c.p.c., non essendo sufficiente che entro tale data sia stata comunque notificata alla controparte» (così anche Cass. civ.,sez. III, 2 aprile 2009, n. 8014 con riguardo ad identica questione del rito locatizio).

L'intervento delle Sezioni Unite

L'intervento delle Sezioni Unite è stato giustificato dai contrasti interpretativi determinatisi sui profili di cui ai paragrafi nn. 2 e 3 ma la pronuncia tocca anche altre questioni di un certo rilievo giungendo a conclusioni che, per la maggior parte, non convincono affatto.

In questo paragrafo si esamineranno singolarmente i punti salienti della decisione, evidenziando le criticità che essi presentano.

(Segue). A proposito degli strumenti di recupero del credito a disposizione del professionista forense

Con riguardo a tale questione la Corte di cassazione afferma che, mentre prima della riforma del 2011, il rito camerale per la liquidazione di onorari di avvocato concorreva con quello ordinario e con il sommario codicistico, a seguito della entrata in vigore del d.lgs. n. 150/2011, la controversia di cui all'art. 28 l.n.794/1942 deve necessariamente introdursi con il procedimento sommario speciale o, in alternativa, con il procedimento monitorio, restando invece esclusa la possibilità di utilizzare il rito ordinario e il rito sommario codicistico.

Nella pronuncia si afferma che una simile conclusione non è in contraddizione con il criterio della cd. invarianza della competenza, di cui all'art. 54, comma 2, lett. a) l. n. 69/2009, poichè l'esclusione della possibilità di agire con il rito ordinario ha determinato solo la soppressione di una regola inerente ad uno dei riti esperibili ma non di una regola di competenza, atteso che essa, sebbene tramite il rito monitorio, permane immutata.

Analogamente, secondo le Sezioni Unite, l'esclusione della possibilità di agire con il rito sommario ordinario non implica la soppressione di una regola di competenza perché le cause che si sarebbero potute introdurre con quel rito restano comunque deducibili davanti al tribunale in composizione monocratica, ancora una volta con il rito monitorio.

Questa osservazione però, oltre a non essere molto pertinente, perché confonde i profili strettamente di rito con quelli della competenza, viene contraddetta, come si vedrà, dall'ulteriore conclusione cui giungono le Sezioni Unite in punto di competenza del giudice di pace.

Ancora, la pronuncia esclude che la conclusione sopra esposta contrasti con gli altri criteri della legge delega, ovvero quello della riduzione e semplificazione dei procedimenti civili.

A ben vedere però, come riconosce la stessa Corte, le esigenze di riduzione e semplificazione dei riti erano riferite ai procedimenti regolati dalla legislazione speciale e ad anche lo stesso art. 54, comma 2, lett. b) e c) l. n. 69/2009 cita ancora la legislazione speciale quale ambito dei criteri della delega fissati in tali previsioni.

Né può sottacersi che nella relazione al d.lgs. n. 150/2011 in cui si afferma che «il testo legislativo elaborato dal Governo realizza, conformemente ai criteri di delega dettati dal legislatore, la riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione che rientrano nell'ambito della giurisdizione ordinaria e che sono regolati dalla legislazione speciale, riconducendoli ai tre modelli previsti dal codice di procedura civile, individuati, rispettivamente, nel rito ordinario di cognizione, nel rito che disciplina le controversie in materia di rapporti di lavoro e nel rito sommario di cognizione (introdotto dalla medesima legge n. 69/2009)».

Per superare l'ostacolo del dato testuale della legge delega la Corte valorizza allora l'esigenza di coordinamento con le altre disposizioni vigenti, affermata dal comma 2 dell'art. 54l. n. 69/2009, senza considerare che tale previsione indica l'obiettivo teorico della riforma e non un criterio a cui si doveva attenere il legislatore delegato.

La Corte evidenzia anche come il dato letterale dell'art. 28, nel testo sostituito dal d.lgs. n. 150/2011 (uso del verbo “procede” al posto del previgente “deve”), unitamente alla constatazione che il procedimento sommario, a differenza del previgente procedimento camerale, è disciplinato nel suo svolgimento corroborino l'interpretazione della voluntas legis nel senso di rendere obbligatorio tale rito, nel rispetto dell'art. 24 Cost..

Nemmeno tale passaggio però persuade.

Innanzitutto per verificare quale fosse stata la ratio dell'intervento di cui al d.lgs. n. 150/2011 occorre aver riguardo alla relazione illustrativa di esso, dalla quale si evince che la sostituzione del rito sommario speciale a quello camerale non ha inteso anche eliminare la possibilità di utilizzare gli altri concorrenti strumenti di tutela del credito, stante il già evidenziato, ristretto, ambito di intervento della novella.

Inoltre è sfuggito ai supremi giudici che, come si è detto al paragrafo 1, il rito sommario speciale si differenzia da quello ordinario perché in esso sono esclusi il potere del giudice di convertire il rito da sommario in ordinario, quando la causa non può essere sommariamente istruita (art. 3, comma 1, d.lgs. n. 150/2011), e l'appellabilità dell'ordinanza che definisce il giudizio (come spiega la relazione ministeriale tali previsioni sono state adottate in conformità, rispettivamente, del criterio di delega previsto dall'articolo 54, comma 4, lett. b), n. 2), e, comma 2, lettera c) della l. n. 69/2009).

La lettura proposta dalla decisione in esame allora non pare compatibile con gli artt. 3 e 24 Cost. poiché limita, senza giustificazione, il diritto di azione dell'avvocato rispetto a quello degli altri creditori, costringendolo, nel caso intenda agire presso l'ufficio giudiziario ove ha prestato la propria attività, ad optare per solo due istituti e precludendogli così in particolare la facoltà di ricorrere al giudizio ordinario.

La pronuncia poi fornisce una lettura della norma che risulta in contrasto con la legge delega.

(Segue). A proposito dell'oggetto del giudizio

Secondo le Sezioni Unite il rito sommario speciale è utilizzabile anche nei casi in cui il thema decidendum del giudizio venga ampliato dall'atteggiamento difensivo del convenuto all'an della pretesa, tanto se esso consista in mere contestazioni in iure o in facto dei fatti costitutivi del rapporto di prestazione d'opera quanto se si concreti in eccezioni.

A tale conclusione inducono secondo la Corte, da un lato, il testo letterale dell'art. 14 d.lgs. n. 150/2011, che fa riferimento alle controversie di cui all'art. 28 e alla opposizione proposta a norma dell'art. 645 c.p.c., senza quindi accennare alla “liquidazione”, e, dall'altro, le già evidenziate esigenze di semplificazione che mirava a soddisfare quell'intervento normativo. Infatti, poiché il rapporto di prestazione d'opera dal quale è sorto il credito tutelabile con tale istituto riguarda delle prestazioni giudiziali si presta ad accertamenti rispetto ai quali il procedimento sommario risulta adeguato.

La tesi ha il merito di ovviare alla incongruenza, conseguente alla originaria limitazione dell'ambito del giudizio camerale, di aver attribuito alla difesa del convenuto un effetto impeditivo alla trattazione del procedimento nella forma indicata dallo stesso legislatore

Essa si espone però ad una serie di obiezioni.

Innanzitutto, la considerazione da parte della Suprema Corte del dato normativo è parziale perchè la rubrica della norma menziona le «controversie relative alla liquidazione degli onorari e dei diritti di avvocato», delimitandone così l'oggetto alla sola liquidazione.

In secondo luogo i Giudici Supremi non tengono conto delle indicazioni che la Corte costituzionale aveva dato sul punto nella sentenza 26 marzo 2014, n. 65.

In quella occasione, infatti, il giudice delle leggi, nel dichiarare non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14 d.lgs. n. 150/2011 nella parte in cui stabilisce la competenza del tribunale collegiale a decidere, ha chiarito, con riguardo ad una delle particolarità del giudizio sommario speciale, che la sua non convertibilità ex art. 3, comma 1, d.lgs. n. 150/2011 «discende … dalla espressa prescrizione impartita dalla legge delega (art. 54, comma 4, lettera b, n. 2, della l. n. 69/2009) e corrisponde altresì alla inammissibilità – ripetutamente affermata anche prima della riforma del 2009 – del procedimento speciale previsto dalla l. n. 794/1942 nel caso in cui il thema decidendum si estenda a questioni che esulano dalla mera determinazione del compenso».

Da tale passo si evince come la Corte abbia aderito a quell'indirizzo interpretativo (Trib. Verona, 3 maggio 2013; Trib. Mantova, 16 dicembre 2014; Trib. Lucca, 3 luglio 2015), secondo il quale nel giudizio sommario speciale non è possibile controvertere della sussistenza del diritto dell'avvocato al compenso e, qualora ciò accada, il procedimento deve chiudersi con una declaratoria di inammissibilità, ferma restando la possibilità per il professionista di far valere il suo diritto con un altro mezzo processuale.

I Supremi Giudici giudicano, poi, non ostativo alla interpretazione da loro proposta, circa l'ambito di applicazione dell'istituto, un passo della relazione ministeriale al d.lgs. n. 150/2011, che invece rivela chiaramente l'intenzione del legislatore delegato di mantenere inalterate nel nuovo modello le caratteristiche che aveva assunto il procedimento camerale.

Si legge infatti in tale documento che: «Al riguardo, non è stato ritenuto necessario specificare che l'oggetto delle controversie in esame è limitato alla determinazione degli onorari forensi, senza che possa essere esteso, in queste forme, anche ai presupposti del diritto al compenso, o ai limiti del mandato, o alla sussistenza di cause estintive o limitative (passaggio questo che rileva ai fini della valutazione delle questioni qui esposte). Tale conclusione, ormai costantemente ribadita dalla giurisprudenza di legittimità, non viene in alcun modo incisa dalla presente disciplina, in assenza di modifiche espresse alla norma che individua i presupposti dell'azione, contenuta nella legge 13 giugno 1942, n. 794».

Tale passaggio peraltro è perfettamente coerente con uno precedente della medesima relazione, nel quale si spiega che la scelta del rito sommario di cognizione avente forme semplificate era stato ritenuto giustificato per le controversie considerate «ex lege a bassa complessità istruttoria».

Dal complesso di tali elementi può quindi evincersi che in realtà l'intenzione del legislatore sia stata esclusivamente quella di disciplinare ex novo il procedimento speciale di cui agli artt.28 ss. l. 13 giugno 1942, n. 794, sostituendo alle forme procedimentali descritte negli artt. 29 e 30 l. n. 794/1942, contestualmente abrogati, quelle dettate dall'art. 14 d.lgs. n.150/2011.

Del resto solo quella limitazione della materia del contendere aveva potuto giustificare le deroghe al procedimento sommario ordinario.

Si noti che anche la scelta di aver mantenuto la possibilità della difesa personale si spiegacon la delimitazione al solo quantum del credito del professionista, e la conseguente semplicità, dell'oggetto della controversia, mentre secondo la Suprema Corte si tratta di un dato che non assume rilievo ai fini di tale verifica.

La soluzione di far proseguire il procedimento nelle forme del rito sommario speciale, nonostante l'ampliamento del thema decidendum, risulta quindi, ad avviso di chi scrive, poco compatibile con i principi costituzionali, ed in particolare con il parametro dell'art. 24 Cost., poiché consente che la parte priva di competenza giuridica continui a difendersi personalmente.

Si noti poi che la riserva di collegialità è stata individuata dalla Corte costituzionale nella sopra citata sentenza quale misura per bilanciare la riduzione dei rimedi e delle garanzie conseguenti a tali peculiarità del procedimento ma sempre sul presupposto che esso abbia ad oggetto solo l'entità della somma richiesta dall'avvocato.

Le considerazioni sin qui svolte valgono anche rispetto ad un ulteriore profilo esaminato dalla Suprema Corte, quello delle modalità con cui deve proseguire il giudizio qualora il convenuto svolga una domanda (riconvenzionale, di compensazione o di accertamento di rapporti pregiudicanti) che non ponga problemi di competenza, nel senso che non esorbiti dalla competenza del giudice adito (sul presupposto, di cui si dirà nel prossimo paragrafo, che anche il giudice di pace possa trattare questo tipo di controversie).

Orbene, in tal caso, secondo i Giudici di legittimità, occorre distinguere se la domanda del convenuto richieda una istruttoria sommaria, perché allora potrà essere trattata con il rito sommario, alla luce del disposto del quarto comma dell'art.702-ter c.p.c.. In caso contrario, invece, la domanda introdotta dal cliente deve essere separata da quella di pagamento del compenso e trattata con il rito che è previsto per essa. Se poi la decisione sulla prima fosse pregiudiziale rispetto alla seconda il giudizio relativo a questa dovrà essere sospeso non potendo trovare applicazione l'art. 40, commi 3 e 4, c.p.c..

Si noti come in tale ricostruzione resta inspiegato se e come il cliente che si sia difeso personalmente, fino al momento della separazione delle due cause, possa munirsi della difesa tecnica necessaria nella causa sulla sua riconvenzionale che richieda la trattazione con giudizio ordinario.

(Segue). A proposito del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, del giudizio davanti al giudice di pace e del giudizio in cui sia parte un consumatore

Innanzitutto le conclusioni alle quali la Corte di cassazione giunge con riguardo al procedimento sommario promosso dal professionista valgono anche per il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo in cui il cliente contesti non il quantum ma l'an del credito di controparte.

Le Sezioni Unite individuano anche la disciplina da applicarsi a tale tipo di giudizio, precisando che esso va introdotto con il ricorso ex art. 702-bis c.p.c. davanti allo stesso ufficio che ha emesso il decreto ingiuntivo, ed è regolato dalle norme del procedimento sommario speciale, compresa quella che stabilisce che vada deciso con ordinanza inappellabile, anche se restano comunque applicabili gli artt. 648, 649 e 654 c.p.c..

Nel caso il giudizio sia introdotto per errore con atto di citazione l'applicabilità del comma 1 dell'art. 4 rende l'errore privo di conseguenze (tale considerazione vale anche per l'ipotesi che il giudizio sommario sia diretto alla condanna al pagamento del compenso sia introdotto con tale modalità).

Ancora, secondo le Sezioni Unite anche le controversie rientranti nella competenza per valore del giudice di pace e quelle in cui sia parte un soggetto qualificabile come consumatore vanno trattate con il rito sommario speciale.

Queste due ultime affermazioni destano grosse perplessità.

La prima di esse infatti contrasta con il disposto dell'art. 14 d.lgs. n. 150/2011, che demanda al tribunale in composizione collegiale la decisione di questo tipo di controversie.

In secondo luogo essa non tiene conto che il rito sommario è utilizzabile, ai sensi dell'art. 702-bis, comma 1, c.p.c., solo nelle cause monocratiche di competenza del tribunale e la sua estensione anche al giudizio davanti al giudice di pace integra una violazione del criterio della invarianza della composizione dell'organo giudicante, fissato dall'art. 54, comma 2, lett. a) della legge delega, rispetto al giudizio sommario.

Va anche rimarcato come, prima della novella, non era contestabile che il giudizio ex artt. 28-30 l. 13 giugno 1942, n. 794, avendo natura camerale dovesse essere trattato e deciso dal tribunale ai sensi dell'art. 50-bis, ultimo comma, c.p.c..

L'estensione del giudizio sommario speciale alle controversie in cui sia parte un consumatore invece produce due effetti che paiono confliggere drasticamente con la ratio della norma. Essa infatti consente che un soggetto, per definizione debole, si difenda da solo nei confronti di un professionista anche quando la controversia, investendo l'an della pretesa, perda quei caratteri di semplificazione che giustificano la trattazione con il rito sommario speciale.

Inoltre fa sì che la causa sia trattata con le peculiari forme di cui all'art. 14 d.lgs. n. 150/2011 davanti ad un ufficio giudiziario diverso da quello presso il quale l'avvocato ha prestato la propria attività e quindi in mancanza del presupposto specifico individuato dalla norma.

Guida all'approfondimento
  • Balena, Commento all'art. 14, in Codice di procedura civile commentato. La “semplificazione” dei riti e altre riforme processuali, 2010-2011, diretto da Consolo, Milano 2012, p.192-198;
  • Bulgarelli, Il procedimento di liquidazione degli onorari e dei diritti degli avvocati dopo il decreto legislativo sulla semplificazione dei riti, in Giust. Civ., 2011, 439 ss.;
  • Bulgarelli, Recupero crediti dell'avvocato: un bivio e due strade, in www.altalex.com;
  • Carratta La «semplificazione» dei riti e le nuove modifiche del processo civile, in www.dirittoonlinetreccani.it;
  • Trisorio Liuzzi, Il foro del consumatore e il procedimento di liquidazione degli onorari di avvocato, in Corr. Giur. 2015, p. 684-693;
  • Tiscini, Sub art. 14, in Sassani-Tiscini (a cura di), La semplificazione dei riti civili, Roma, 2011 p.129;
  • Vaccari, La tutale del credito dei professionisti, Giuffrè, 2017, 82-88.
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