Tabelle milanesi oltre il seminato: critica ai parametri per i danni da premorienza e terminali
Marco Bona
17 Aprile 2018
La edizione 2018 delle “tabelle milanesi” annovera un'operazione inedita da parte dell'Osservatorio sulla Giustizia Civile: l'inserimento di nuove tabelle fra le quali spiccano quelle per la liquidazione iure successionis dei danni non patrimoniali da premorienza e terminali. Trattasi, invero, di parametri lungi dall'essere condivisibili, disancorati dalla prassi risarcitoria avvallata dalla giurisprudenza di legittimità, e, comunque, privi della valenza attribuita dalla Cassazione ai valori monetari recati dalle consolidate tabelle per il risarcimento dei danni alla persona e da perdita-lesione del rapporto famigliare
Le novità sul tavolo: una questione seria
La pubblicazione, in data 14 marzo, della «Edizione 2018» delle «Tabelle per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione alla integrità psico-fisica e dalla perdita-grave lesione del rapporto parentale» redatte dall'Osservatorio sulla Giustizia civile del Tribunale di Milano non dovrebbe suscitare di per sé particolare scalpore (ordinaria amministrazione, per così dire); esse, infatti, recano i valori monetari aggiornati al 2018.
Anche le marginali e pressoché impercettibili modifiche apportare alle premesse (i «criteri applicativi») di tali due tabelle non destano particolari reazioni: alcune possono meritare delle riflessioni, ma, comunque, sono lungi dal recare innovazioni stravolgenti od anche solo di qualche conto, come del resto più che opportuno in linee guida che, per l'importante ruolo loro riconosciuto dalla Cassazione a partire dal 2011, dovrebbero costituire una sintesi degli orientamenti più consolidati.
L'autenticanovità - questa sì destinata ad un sicuro eco - è da rinvenirsi in un set di inediti «criteri orientativi» per la liquidazione del danno non patrimoniale da «premorienza»e di quello c.d. terminale, del danno da diffamazione a mezzo stampa e, infine, per la liquidazione exart. 96, comma 3, c.p.c..
Questi nuovi criteri - infelicemente inseriti nello stesso documento recante l'edizione 2018 delle già note tabelle e, quindi, tali da poter dare luogo a fraintendimenti circa la loro affidabilità e rappresentatività del “diritto vivente” in materia (cfr., a conferma del rischio di “sviamento”, la presentazione di M. CAPRINO, Un prezzo al dolore prima della morte, Milano, 16 marzo 2018, 26) - non possono in nessun modo essere posti sullo stesso piano delle tabelle tradizionali “nazionalizzate” dalla Cassazione. Infatti, tali nuovi parametri elaborati dall'Osservatorio milanese si affacciano per la prima volta all'attenzione di operatori ed interpreti, sicché la loro (il)legittimità e (in)fondatezza vanno attentamente verificate: in tempi, in cui si effettuano sempre meno controlli e si seguono le indicazioni più a portata di mano qualsiasi siano le qualità delle stesse, il rischio concreto è che si sviluppino anche fuori dal Foro di Milano (oltre che in questo) orientamenti dai piedi di argilla e pure tali da provocare ingiuste ripercussioni negative sul piano della riparazione di danni affatto trascurabili.
Invero, anche il modello delle tradizionali “tabelle milanesi”, soprattutto così come innovato nel 2009, presenta i suoi “punti deboli”, ribaditi ancora da ultimo da una parte della dottrina (cfr., pur con rilievi in parte discutibili, M. ROSSETTI, Il danno alla salute, II ed., Milano, 2017, 650-654; cfr., inoltre, L. SCARANO, La quantificazione del danno non patrimoniale, Torino, 2013, 155-156).
Tuttavia, le due già note “tabelle milanesi” post 2009, nonostante i loro difetti (principalmente sul fronte della svalutazione del danno morale e dei rigidi limiti posti alla personalizzazione), rimangono il frutto un lungo percorso giurisprudenziale (principiato già sul finire degli anni ottanta ed approdato alla prima tabella del 1995), che per oltre un decennio è stato condiviso anche da diversi altri fori (al 2011 ne risultavano già all'incirca una sessantina), percorso tale da validare, almeno in larga misura, i parametri monetari attuali (nell'ultimo decennio ulteriormente confermati tanto dalla Cassazione che dalle corti territoriali).
Nel caso dei nuovi criteri orientativi, invece, ci si trova dinanzi a modelli di liquidazione e parametri monetari lungi dal potersi definire, anche sul piano della policy of law, alla stregua di una mera ed innocua sintesi - nella prospettiva degli artt. 1226 e 2056 c.c. - di prassi giurisprudenziali consolidate od ampiamente condivise.
Si pone, pertanto, un problema serio innanzitutto per la magistratura: infatti, per certo i giudici non potranno applicare i nuovi criteri - fra l'altro, per quanto concerne le tabelle per i danni da premorienza ed i danni terminali, penalizzanti per i danneggiati - adducendo le stesse motivazioni che supportano l'adozione dei valori recati dalle tabelle già da tempo esistenti; anzi, come si illustrerà qui di seguito, sotto diversi profili si troveranno pure dinanzi ad indicazioni di segno opposto da parte della Cassazione.
La questione della legittimità delle tabelle: profili generali
Su quali basi giuridiche la Suprema Corte è addivenuta alla “nazionalizzazione” delle “tabelle milanesi” per la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione all'integrità psico-fisica e dalla perdita/grave lesione del rapporto parentale? Da quale fonte tali “tabelle” traggono la loro legittimità?
Il problema della legittimità delle tabelle di marca giurisprudenziale – e, comunque, di quelle non legislative – sussiste da sempre e non si è posto soltanto nel nostro ordinamento (cfr. amplius G. COMANDE', Risarcimento del danno alla persona e alternative istituzionali, Torino, 1999, 466 e ss.).
La tradizione, sia nostrana che di altri sistemi giuridici, così come la logica stessa della riparazione in via equitativa insegnano che la principale fonte legittimante delle tabelle di formazione pretorile-forense va rinvenuta nella loro effettiva rispondenza alle valutazioni praticate in modo sistematico, diffuso e condiviso dai precedenti giurisprudenziali, cioè nel loro risultare autentica espressione istituzionale (per tale loro provenienza) del “diritto vivente” e del “sentire sociale”, dunque, in definitiva, del principio della valutazione in via equitativa così come realizzato dalla magistratura ed accettato dalla società. Le tabelle in questione valgono nella misura in cui riescono ad esprimere la convenzione sociale che vede attribuire a dei valori non pecuniari dei prezzi.
Ciò posto, come noto è nel 2011 che la Cassazione, ritenendo «suo specifico compito […] fornire ai giudici di merito l'indicazione di un unico valore medio di riferimento da porre a base del risarcimento del danno alla persona, quale che sia la latitudine in cui si radica la controversia», ha elevato i parametri milanesi a criteri uniformi di base per tutto il territorio nazionale, giudicandoli tali da indicare per ogni ipotesi contemplata «il valore da ritenersi “equo”, e cioè quello in grado di garantire la parità di trattamento e da applicare in tutti i casi in cui la fattispecie concreta non presenti circostanze idonee ad alimentarne o ridurne l'entità» (cfr. Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408).
Orbene, la Suprema corte è addivenuta a questa epocale decisione accantonando le tabelle di altri fori (innanzitutto quelle romane e venete), eppure dotate di «pari dignità concettuale», e preferendo quelle milanesi per un solo semplicissimo motivo: la «inopportunità» che la Corte di legittimità contrapponesse una propria scelta di valori tabellari (in ipotesi attraverso un mix fra varie tabelle) «a quella già effettuata dai giudici di merito di ben sessanta tribunali, anche di grandi dimensioni (come, ad esempio, Napoli) che, al di là delle diversità delle condizioni economiche e sociali dei diversi contesti territoriali, hanno posto a base del calcolo medio i valori di riferimento per la liquidazione del danno alla persona adottati dal Tribunale di Milano, dei quali è dunque già nei fatti riconosciuta una sorta di vocazione nazionale» (cfr. sul punto L. SCARANO, La quantificazione del danno non patrimoniale, cit., 150).
In breve, è stata la documentata condivisione da parte di ben sessanta tribunali a condurre la Suprema corte ad optare per tale soluzione.
Quale base legittimante i nuovi elaborati dell'Osservatorio milanese per i danni da premorienza e terminali?
Indubbiamente quella larga condivisione giurisprudenziale rinvenuta dalla Cassazione del 2011 per giustificare la “nazionalizzazione” delle due tradizionali “tabelle milanesi” difetta del tutto per quanto concerne due degli «elaborati» che integrano l'Edizione 2018.
In particolare, tanto i parametri indicati per la liquidazione dei danni da diffamazione che i criteri suggeriti per la determinazione dei danni da abuso del processo risarcibili exart. 96, comma 3, c.p.c. risultano in effetti rappresentare una sintesi dei valori riconosciuti da una cospicua parte della giurisprudenza, quella di legittimità compresa (cfr. infra §§ 6 e 7); viceversa, la tabella per il cd. «danno da premorienza» non annovera alcuna base condivisa a livello giurisprudenziale (neppure internamente al foro milanese); trattasi, infatti, di un'autentica “invenzione di laboratorio” (nello specifico di uno dei sottogruppi del “Gruppo DannoMilano”) che è lungi dal rappresentare un consolidato od anche solo un minoritario indirizzo della giurisprudenza di merito, ponendosi anzi in conflitto con lo stesso principio della riparazione integrale; essa, inoltre, risulta critica sul piano della policy of law perseguita (cfr. infra § 4); svariate e non dissimili censure possono svolgersi nei confronti dei criteri orientativi per la liquidazione dei danni terminali in relazione ai quali sono state disattese dai redattori chiare indicazioni (innanzitutto monetarie), di segno opposto, discendenti pure dalla Cassazione (cfr. infra § 5); fra l'altro sotto più profili queste due nuove tabelle risultano in contrasto con la realtà fenomenologica.
Ciò posto, i supporter dei nuovi criteri in questione - soprattutto quelli per i danni da premorienza e terminali - rilevano, verosimilmente al fine di legittimarli, come questi sarebbero il frutto di un'ampia adesione da parte di diversi Osservatori sulla giustizia civile, nello specifico avendo trovato «sostanziale condivisione da parte degli Osservatori di Bologna, Catania, Firenze, Genova, Reggio Calabria, Reggio Emilia, Rimini, Roma, Salerno, Torino e Verona» (così, in primis, la lettera del 14 marzo 2018 dell'Osservatorio sulla Giustizia Civile di Milano ai Presidenti della Corte di Appello ed al Tribunale di Milano).
A parte il fatto che, come si trae dal puntuale resoconto dei “lavori preparatori” delle nuove tabelle pubblicato su ridare (cfr. D. SPERA, Verso l'approvazione definitiva delle nuove tabelle milanesi, in Ridare.it, 12 giugno 2017), tale condivisione si sarebbe formata nel giro di due incontri giornalieri fra gli Osservatori di alcune sedi (le Assemblee Nazionali degli Osservatori sulla Giustizia civile del 2016 a Milano e del 2017 a Roma) e che in ordine alla tabella sul danno da premorienza si è dovuta registrare l'impossibilità di addivenire ad una soluzione condivisa con l'Osservatorio di Roma, sembra qui opportuno rimarcare il seguente problema: attualmente, purtroppo, gli Osservatori sulla Giustizia Civile sono lungi dall'offrireadeguate garanzie di rappresentatività delle diverse voci all'interno delle rispettive sedi. In certi fori non si conoscono, a momenti, neppure i componenti dell'Osservatorio, non vengono indette né riunioni aperte a tutti, né elezioni (perlomeno queste non vengono pubblicizzate), non si registrano confronti di sorta, sono affare di pochi eletti. Raramente sono coinvolti avvocati attivisti.
Dunque, per quanto le persone impegnate negli Osservatori possano essere autorevoli e, comunque, conducano un lavoro assolutamente apprezzabile ed esemplare, affermare che un dato Osservatorio sarebbe d'accordo o contro una determinata soluzione non appare oggi un elemento idoneo a ritrarre la posizione di quel foro, tantomeno a validare nuovi criteri di liquidazione.
E' allora chiaro come la futura eventuale adesione della magistratura, tanto di merito che di legittimità, per il tramite di precedenti ai «criteri orientativi» (oppure ad alcuni di essi) non possa motivarsi sulla condivisione da parte di alcuni Osservatori: ciascun singolo nuovo criterio andrà scupolosamente vagliato in relazione alla sua fondatezza sul piano della logica giuridica ed alla sua capacità di condurre a riparazioni integrali, dunque anche in rapporto alla sua conformità ai principi ed ai parametri monetari già espressi dalla Cassazione.
Come si osserverà nei paragrafi a seguire, diverse ragioni dovrebbero indurre ad una bocciatura degli arbitrari criteri proposti per i danni da premorienza e per quelli terminali.
La tabella sul danno alla salute da premorienza: risarcimenti ingiusti, premiate le strategie dilatorie
La proposta formulata dal Gruppo 2 (coordinato dal Dott. Giuseppe Buffone e coadiuvato dal Dott. Daniele Moro) del “Gruppo DannoMilano” - non condivisa, però, dall'Osservatorio di Roma (cfr. D. SPERA, op. cit.) - attribuisce per ogni punto di invalidità permanente un valore annuo di base omnicomprensivo di tutti i pregiudizi non pecuniari (per l'appunto il «Danno da premorienza») così calcolato:
risarcimento medio annuo = risarcimento medio/aspettativa di vita media
Il risarcimento medio è uguale alla media matematica tra il quantum (n.b.: di base) risarcibile, in applicazione delle tabelleper la liquidazione del danno non patrimoniale derivante da lesione alla integrità psico-fisica, ad un soggetto di anni 1 e quello liquidabile, sempre sulla base della stessa tabella, ad un soggetto di anni 100. L'aspettativa di vita media è pari alla media aritmetica delle medie preventive tra aspettative di vita maschile e femminile per ogni fascia di età compresa tra anni 1 e 100. Come si ricava da D. SPERA, Verso l'approvazione definitiva delle nuove tabelle milanesi, cit., questo valore, corrispondente per l'appunto alla vita potenziale di un soggetto di età compresa tra 1 e 100 anni, è stati individuato in 35 anni.
Il risarcimento medio annuo (definito la «base teorica») è riportato nella colonna n. 4 della tabella; esso è incrementato del 100% per il primo anno di vita del danneggiato (colonna n. 2) e del 50% per il secondo anno (colonna n. 3), ciò in ragione della seguente (singolare) supposizione: il pregiudizio sofferto nel primo e nel secondo annuo avrebbe «una intensità maggiore rispetto a quello sofferto dal terzo anno in avanti, sicché i valori risarcitori relativi a quell'arco temporale devono essere più elevati».
Infine, la colonna n. 5 prevede la possibilità di un aumento personalizzato del 50% indistintamente dal grado di invalidità.
Ciò illustrato, si apprende dalla premessa alla tabella e da D. SPERA, Verso l'approvazione definitiva delle nuove tabelle milanesi, cit., che nell'approdare a tale nuovo modello sarebbero state analizzate e poi scartate le «principali» soluzioni formatesi nel panorama giurisprudenziale e dottrinale, e, più nello specifico, le seguenti opzioni: il criterio equitativo puro; il criterio secondo cui il quantum risarcitorio deve corrispondere all'intero valore tabellare di riferimento; il criterio matematico puro (o “criterio della proporzionalità”), secondo cui «il risarcimento che si sarebbe liquidato a persona vivente sta al numero di anni che questi aveva ancora da vivere secondo le statistiche di mortalità, come il risarcimento da liquidare a persona già defunta sta al numero di anni da questa effettivamente vissuti tra l'infortunio e la morte» (così M. ROSSETTI, Il danno alla salute, Padova, 2009, 771-772, che lo ha riproposto tale e quale, nella sua veste di Consigliere relatore, in Cass. civ., sez. III, 30 giugno 2015, n. 13331, pronuncia isolata); il “criterio romano”, che risulta caratterizzarsi per una riduzione del quantum tabellare dal 30 al 50% del danno.
Ciò posto, risulta innanzitutto inspiegabile, sul piano della metodologia di lavoro, il perché sia stata ignorata la soluzione, invero più soddisfacente sotto svariati profili, già tempo addietro delineata sempre da Marco Rossetti in alternativa al “criterio della proporzionalità”, soluzione in base alla quale, in ossequio alla necessità di adeguare il quantum alla durata effettiva della vita del danneggiato, si procede a «porre a base del calcolo non il valore di punto corrispondente all'età della vittima, ma quello corrispondente ad una vittima di età pari alla differenza tra la durata della vita media ed il numero di anni effettivamente vissuto dal danneggiato dopo la lesione» (M. ROSSETTI, Il danno alla salute, cit., 772). Eppure anche questa via annovera consensi giurisprudenziali (cfr. Trib. Udine, 22 settembre 2000, n. 1092, www.avvocati.ud.it, pronuncia avvallata da Cass. civ., sez. III, 30 marzo 2010, n. 7632 in relazione alla liquidazione, secondo questo criterio, del danno morale da invalidità permanente).
Ad illustrazione di tale criterio si può fare il seguente esempio: assumendosi un'aspettativa di vita media di circa 80 anni, il danno permanente di un uomo di 40 anni (al momento del sinistro), morto a distanza di 5 anni dall'incidente, verrebbe così determinato sulla base dei valori tabellari corrispondenti al soggetto cui manchino 5 anni rispetto alla durata media della vita, cioè di un uomo di 75 anni.
Orbene, come già approfondito in altra sede (cfr. M. BONA, Danno non patrimoniale permanente e morte sopravvenuta per cause indipendenti: critica al “criterio della proporzione” e soluzioni alternative, in Ridare.it, 15 febbraio 2016), questo criterio indubbiamente permette l'uniformità di base senza, però, comportare ingiustificati ed illogici tagli risarcitori: trattandosi di liquidare il danno non patrimoniale da invalidità permanente di un soggetto che ha vissuto un arco temporale di “x” anni dal sinistro, in tutta evidenza tale liquidazione non può risultare inferiore a quella che conseguirebbe un soggetto le cui aspettative di vita corrispondano statisticamente ad un numero di anni pari a quelli effettivamente vissuti dal primo dopo il sinistro; in altri termini, essendo il principio di diritto da applicarsi quello per cui non si può liquidare il danno in questione “come se” il soggetto fosse sopravvissuto alle lesioni per il tempo corrispondente alla sua ordinaria speranza di vita, risulta allora del tutto logico liquidarlo “come se” la parte lesa avesse aspettative di vita pari agli anni in concreto vissuti dopo il sinistro; una diversa soluzione tradirebbe questa basilare logica, ossia comporterebbe ingiusti decurtamenti risarcitori andando ben oltre il principio generale fissato dalla Cassazione, per cui, ferma restando anche in questi casi la necessità di distinguere tra danno da invalidità temporanea e danno da invalidità permanente (esigenza obliterata dal gruppo milanese), «il danneggiato al momento della morte ha già acquisito al suo patrimonio il diritto al risarcimento del danno biologico da invalidità permanente residuata al sinistro (diritto trasmissibile agli eredi)», sol aggiungendosi che «nella aestimatio del danno … il giudice deve tener conto non della vita media futura presumibile della vittima, ma della vita effettivamente vissuta» (Cass. civ., Sez. III, 4 aprile 2003, n. 5332).
Aderendosi alla via ora indicata, si scongiurano pure drastici ribassi nelle ipotesi, pur eccezionali, dei danneggiati che al momento del decesso abbiano già superato le aspettative di vita media (secondo le indicazioni ISTAT per il 2014, 80,2 per gli uomini e 84,9 per le donne) in ordine ai quali il fattore della durata effettiva della vita dovrebbe risultare irrilevante ai fini della determinazione del valore tabellare (salve ulteriori considerazioni in fase di personalizzazione, in termini anche di decrementi del valore di base, a seconda degli eventuali stati di infermità pregressi o sviluppati nel frattempo).
In definitiva, il criterio ora delineato risulta, fra i vari criteri presenti nel panorama giurisprudenziale, quello che più si avvicina ad una corretta applicazione dei principi generali in materia di liquidazione equitativa del danno, che senz'altro devono pur sempre condurre ad una tutela effettiva dei diritti inviolabili.
Al contrario, la soluzione ora suggerita dall'Osservatorio milanese - sorta ignorandosi, quindi, un'opzione alternativa lungi dall'essere marginale - presenta almeno i seguenti macroscopicidifetti:
va ben oltre la necessità di scongiurare che il danno da invalidità permanente sia liquidato “come se” il danneggiato fosse sopravvissuto alle lesioni per il tempo corrispondente alla sua ordinaria speranza di vita; infatti, conduce a risarcimenti di gran lunga inferiori a quelli che andrebbero accordati ragionandosi “come se” la parte lesa avesse aspettative di vita pari agli anni in concreto vissuti dopo il sinistro;
risulta penalizzante per tutti i soggetti che hanno aspettative di vita superiori a quella di 35 anni alla base dei valori indicati nella nuova tabella così come per tutti coloro che, al momento del decesso, siano andati oltre le aspettative di vita media (si pensi, per esempio, ad un uomo di 81 anni);
azzera il danno da invalidità temporanea (così come normalmente calcolato) ed al contempo, come si è illustrato, taglia drasticamente il risarcimento per l'invalidità permanente; di fatto, quest'ultimo viene declassato ad una sorta di «danno terminale» (semplicemente calcolato diversamente);
presuppone infondatamente che a partire dal terzo anno in avanti il danno da premorienza (cioè il declassato danno da invalidità permanente) sia di minore «intensità» (sic!), quando, invece, ciò è costantemente smentito dai fatti per la maggior parte delle menomazioni; non è davvero dato comprendere su quali dati si regga l'assunto di cui alla nuova tabella.
Indubbiamente, pertanto, la nuova tabella costituisce nulla di più che una mera proposta dottrinale lontana da una liquidazione equa e integrale, nonché fenomenologicamente accettabile.
Infine - ma questo punto è lungi dall'essere irrilevante a fronte delle note (lunghissime) tempistiche stragiudiziali e processuali per l'ottenimento di un risarcimento - il criterio proposto dall'Osservatorio milanese presenta una significativa falla anche a livello di policy of law.
Infatti, il modello in questione non fa che rendere convenienti ed incentivare le strategie dilatorie (fra l'altro rarissimamente oggetto di sanzioni processuali exart. 96 c.p.c. od anche solo sul versante delle spese di giudizio) dei soggetti chiamati al risarcimento del danno, ciò in primis con pregiudizio per le “vittime primarie”. Del tutto evidente, in particolare, è come le nuove prospettive risarcitorie previste dall'Osservatorio di Milano siano tali da rendere costantemente vantaggioso il rinvio del momento del risarcimento oppure la formulazione di offerte reali al ribasso, soprattutto ogniqualvolta si tratti di danneggiatianziani, parti lese affette da altre patologie non imputabili al debitore o di macrolesi a rischio di decesso. Insomma, l'elaborato prospettato dall'Osservatorio milanese rischia di riflettersi negativamente su tutta una serie di soggetti deboli, il che appare grave ed allarmante, anche nella prospettiva di un sistema risarcitorio effettivamente tutelante ed efficiente.
Danni terminali: ignorate le indicazioni della giurisprudenza di legittimità
I «Criteri orientativi per la liquidazione del danno c.d. terminale» nascono dal Gruppo 4 (coordinato da Maurizio Hazan) del “Gruppo DannoMilano” dell'Osservatorio milanese.
In buona sostanza tali inediti criteri prevedono quanto segue:
per i primi tre giorni di sopravvivenza il danno non patrimoniale (comprensivo di tutto, danno morale da lucida agonia) è liquidabile fino ad un massimo di Euro 30.000,00 (definito da D. SPERA, Verso l'approvazione definitiva delle nuove tabelle milanesi, cit., come il cd. «pozzetto»);
per ciascun giorno successivo, dunque a partire dal quarto compreso, sino al centesimo giorno si aggiunge una somma pro die, sempre omnicomprensiva, che va a ridursi gradualmente di giorno in giorno passando da Euro 1.000 per il quarto giorno ad Euro 98,00 per il centesimo, somme personalizzabili nella misura massima del 50%;
dal 101° giorno in avanti si prevede la liquidazione del solo danno biologico temporaneo secondo i consueti parametri fissati per tale pregiudizio.
Ciò illustrato, la proposta dell'Osservatorio è censurabile sotto svariati profili, tutti tali da denotare un significativo discostamento innanzitutto dalla giurisprudenza di legittimità, oltre che dalla stessa realtà fenomenica.
Una prima critica riguarda l'affermazione, contenuta nelle premesse della nuova tabella, per cui, per il risarcimento del danno terminale, occorrerebbe sempre e comunque, qualsiasi sia il pregiudizio non pecuniario considerato, la prova della «percezione della fine imminente». Ciò è senz'altro vero per il cd. «danno morale da lucida agonia» (con la precisazione, però, che in tutta evidenza la vittima non necessariamente deve avere avuto ben chiaro di stare trapassando, essendo, invece, sufficiente la piena percezione della gravità della sua situazione in corso nel periodo prima del decesso e, quindi, che abbia coscientemente accusato le sofferenze inflittegli dal sinistro e lucidamente affrontato le ultime ore della sua vita; del resto, non tutti i morituri sono medici in grado di diagnosticare all'istante su se stessi la portata mortale delle lesioni appena subite ed in piena devastante evoluzione; ancora da ultimo nel senso del requisito dello «stato di lucidità» cfr. Cass. civ., sez. III, 19 ottobre 2016, n. 21060). Al contrario, non è affatto vero per la componente biologica del danno terminale: infatti, come pure ribadito dalla predetta pronuncia della Suprema corte in linea con il costante orientamento di quest'ultima, lo stato di lucidità nel breve lasso temporale intercorso tra l'incidente ed il decesso della vittima «costituisce invero il presupposto del diverso danno morale terminale, laddove il danno biologico terminale si fonda sul differente presupposto della persistenza in vita della vittima per un apprezzabile lasso di tempo, che si è da questa Corte ravvisato sussistere in ipotesi di sopravvivenza pure per pochi giorni, e addirittura di un giorno […], irrilevante al riguardo essendo la circostanza che durante tale periodo la vittima abbia mantenuto uno stato di lucidità» (cfr., altresì, ex plurimis: Cass. civ., sez. III, 20 maggio 2015, n. 10246; Cass. civ., sez. III, 19 ottobre 2007, n. 21976; Cass. civ., sez. III, 27 novembre 2006, n. 25124; Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 2004, n. 3549; Cass. civ., sez. III, 1 dicembre 2003, n. 18305; Cass. civ., sez. III, 14 luglio 2003, n. 11003).
Una seconda netta critica riguarda l'idea, alla base della proposta milanese, che si possa assumere quale costante e regola generale, alla stregua di un vero e proprio fatto notorio, la «intensità decrescente» del “danno terminale”, con la conseguenza di pervenire in progressione discendente a livelli risarcitori assimilabili in tutto e per tutto ad una mera invalidità temporanea. Tale supposizione è fattualmente infondata e lungi dall'essere comprovata, ciò anche dal punto di vista medico-legale (singolarmente evocato a supporto). Basti pensare alla persona affetta da mesotelioma ove – come comprovato innanzitutto dal punto di vista clinico – la progressione, anche in termini di lucida sofferenza per l'approssimarsi dell'evento morte, è esattamente inversa a quella ipotizzata dall'Osservatorio milanese: trattasi di una escalation di dolore e deperimento biologico di un'intensità a crescere di immense e tragiche proporzioni; gli ultimi mesi sono l'esperienza più drammatica che si possa pensare, pur non potendosi sminuire anche i momenti iniziali (la scoperta del mesotelioma equivale ancora oggi al ricevere una condanna a morte). Semplicissima osservazione empirica vuole che, soprattutto nei travagli più lunghi, pure il danno biologico “terminale” (posto al centro dei valori tabellari indicati dal nuovo elaborato milanese per i giorni successivi al terzo) subisca nel tempo una progressiva degenerazione, per l'appunto sempre all'esatto opposto di quanto supposto dai redattori della qui censurata proposta. Generalmente soggette ad una evoluzione positiva sono talune lesioni di lieve entità (peraltro, nella stragrande maggioranza dei casi lungi dal poter costituire causa o concausa di un decesso); ma certamente ciò non vale per la maggior parte delle menomazioni e delle malattie a progressione fatale. In breve, dunque, la curva risarcitoria decrescente, su cui si fonda la tabella proposta dall'Osservatorio, è priva di qualsivoglia fondamento tanto teorico quanto reale.
Del tutto arbitraria è pure la «durata limitata» fissata per il “danno terminale” in 100 giorni (… esatti!), limite temporale «al di la del quale il danno terminale non può prolungarsi, tornando ad esser risarcibile il solo danno biologico temporaneo ordinario» (così la relazione illustrativa della nuova tabella). Tutto ciò potrebbe al massimo accettarsi in una cattiva legge (di questi tempi evento purtroppo frequente) oppure nelle direttive fornite da un'assicurazione ai suoi liquidatori, ma risulta incomprensibile in un progetto, teoricamente a metà fra il dottrinale ed il giurisprudenziale, che in qualche modo aspira a (o, comunque, dovrebbe rappresentare, quasi fotografare) il punto di approdo della giurisprudenza (in primis quella di legittimità). La pretesa che dal centesimo giorno compreso il “danno terminale” magicamente si arresti e, approssimandosi ulteriormente la morte, il danno non patrimoniale (prima di tutto quello biologico) si alleggerisca appiattendosi (concettualmente e monetariamente) sul «danno biologico temporaneo ordinario» (sic!) è fenomenologicamente infondata (tanto dal punto di vista naturalistico che medico-legale che giurisprudenziale; le persone, più si avvicina la morte, meno sono … “performanti”; cfr., per esempio, Trib. Novara, 25 settembre 2015, n. 818, ined., che, sulla base di documentazione medica passata al vaglio dei consulenti tecnici di ufficio, ha ravvisato un “danno terminale” - ossia un autentico interminabile calvario - della durata di sette anni, lungi dall'essersi concluso in una ripresa biologica della povera vittima, una bambina di pochissimi anni).
Soprattutto rileva come l'impostazione seguita dal “laboratorio milanese” contraddica quanto più volte ribadito dalla Cassazione, che giustappunto ha costantemente sottolineato la differenza ontologica fra danno non patrimoniale terminale e danno non patrimoniale da invalidità temporanea assoluta: il primo, infatti «se pure temporaneo»è«massimo nella sua entità ed intensità, tanto che la lesione alla salute è così elevata da non essere suscettibile di recupero ed esitare nella morte» (così Cass. civ., sez. III, 31 ottobre 2014, n. 23183; cfr., altresì, Cass. civ., sez. III, 8 luglio 2014, n. 15491, nonché già Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2003, n. 7632, ove si ricordava quanto segue: «ciò che fa la differenza è che il danno biologico terminale è più intenso perché l'aggressione subita dalla salute dell'individuo incide anche sulla possibilità di essa di recuperare (in tutto o in parte) le funzionalità perdute o quanto mai di stabilizzarsi sulla perdita funzionale già subita»).
Venendo poi ai valori monetari adottati - anche in questo caso del tutto arbitrariamente - dall'Osservatorio di Milano dovrebbe balzare agli occhi come questo abbia optato per parametri ampiamente inferiori a quelli indicati dalla giurisprudenza di legittimità.
Innanzitutto, nel limitare la liquidazione per i primi tre giorni ad un massimo di Euro 30.000,00 (come innanzi riferito, il cd. «pozzetto») si è posta non solo contro l'indicazione delle Sezioni Unite del 2015 (Cass. civ., Sez.Un., 22 luglio 2015, n. 15350) a favore del criterio equitativo puro (pronuncia eppure evocata a supporto del limite predetto), ma anche contro un eclatante precedente in occasione del quale i giudici di legittimità - evento, invero, raro - hanno fissato loro stessi il “prezzo” del danno morale da lucida agonia. Nello specifico, ci si riferisce qui a Cass. civ., sez. III, 8 aprile 2010, n. 8360, che, per mezz'ora di intensa e lucida agonia della vittima primaria, ha direttamente individuato e liquidato il pregiudizio morale in questione (negato dalla sentenza oggetto ricorso) in Euro 90.000,00. Nella specie, si trattava del decesso di un agricoltore, il quale, mentre era intento al lavoro su un albero di noce, era rimasto vittima di una scarica elettrica, sprigionatosi dai fili dell'alta tensione. La morte, come si trae dalla pronuncia, era «sopraggiunta dopo circa mezz'ora, mentre l'infortunato si trovava a cavalcioni su di un ramo, impossibilitato a muoversi per effetto dell'elettrolocuzione; benché chiedesse aiuto, nessuno era potuto intervenire».
Non pare neppure peregrino osservare come nella giurisprudenza di merito più recente si annoverino precedenti recanti liquidazioni del danno non patrimoniale da lucida agonia decisamente superiori al “cap” risarcitorio propugnato dall'Osservatorio milanese. Si possono citare, per esempio, i risarcimenti di Euro 300.000,00 e di Euro 60.000,00 (quest'ultima a titolo di provvisionale) accordate iure successionis per il danno in questione rispettivamente dalla Corte di Appello di Palermo (App. Palermo, Sez. Lav., 23 marzo 2015, n. 364, Quotidiano Giuridico, 2015) e dalla Corte di Appello di Firenze (App. Firenze, Sez. I Pen., 31 maggio 2016-29 luglio 2016, n. 2018, in www.ridare.it). Nel primo caso la Corte palermitana era intervenuta in relazione alle pretese risarcitorie avanzate dai famigliari ed eredi di quattro marittimi (due italiani, due tunisini), caduti in mare a seguito di una collisione verificatasi nell'autunno del 2006 al largo delle coste tunisine tra una nave da carico ed il peschereccio su cui si trovavano; dei quattro marittimi furono recuperati due cadaveri, mentre altri due corpi risultarono inghiottiti dalle acque del Mediterraneo. Tale Corte ha confermato la pronuncia del Tribunale di Marsala, che aveva condannato l'armatore ed il comandante del peschereccio a corrispondere agli eredi all'incirca Euro 300.000,00 per ciascun deceduto a titolo di danno morale iure hereditatis, riconosciuto specificatamente per avere tali marittimi vissuto consapevolmente l'irreversibile approssimarsi della loro morte. La Corte fiorentina, occupandosi della nota vicenda del naufragio della Costa Concordia, ha confermato la provvisionale di 60.000,00 Euro- già liquidata dal Tribunale di Grosseto - a titolo di «danno catastrofale», agli eredi di una passeggera annegata a bordo della nave.
Quale giustificazione, dunque, possiede il limite massimo di 30.000,00, non ulteriormente personalizzabile? Quale ancora è rinvenibile nella prassi giurisprudenziale?
Affine domanda è prospettabile in relazione ai millimetrici criteri individuati dall'Osservatorio milanese per la liquidazione del danno non patrimoniale terminale dal 4° al 100° giorno. Come si è innanzi anticipato, si va dalla somma di 1.000,00 Euro per il 4° giorno a scalare sino ad arrivare a quella di 568,00 Euro per il 50° giorno e di 98,00 Euro per il 100° giorno; dal 101° giorno in avanti il riferimento monetario si assesta su quest'ultima somma corrispondente a quella di base riconosciuta per la temporanea assoluta.
Sennonché le indicazioni monetarie provenienti dalla giurisprudenza di legittimità si attestano su livelli significativamente superiori, come, del resto, si è già evidenziato in precedenti contributi (cfr. M. BONA, Sezioni Unite 2015: no alla «loss of life», ma la saga sul danno non patrimoniale continua, in Responsabilità civile e previdenza, 2015, n. 5, 1537-1563, nonché, in sintesi, M. BONA, S.U. 2015: prosegue la saga sul danno non patrimoniale, in Ridare.it, Focus del 30 luglio 2015).
Più nello specifico, a quest'ultimo riguardo deve osservarsi come, per esempio, la Suprema Corte abbia bollato la liquidazione di Euro 1.000,00 per tre giorni di sopravvivenza alla stregua di «una simbolica liquidazione» tale da non tenere conto dell'«enormità» di questo danno e, quindi, effettuata «in violazione di legge» (così Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2015, n. 13198); viceversa la Cassazione ha ritenuto congrua la somma di Euro 2.500,00 pro die che era stata liquidata dalla Corte territoriale (cfr. Cass. civ., sez. III, 31 ottobre 2014, n. 23183). Occorre, altresì, segnalare come in precedenza la Suprema Corte abbia pure avvallato liquidazioni significativamente superiori. Per esempio, nel suo primo leading case in materia (Cass. civ., sez. III, 16 maggio 2003, n. 7632), cioè quindici anni or sono (!),la Suprema Corte confermò i criteri di liquidazione applicati dalla Corte territoriale (App. Venezia, Sez. IV, 18 ottobre 2000, n. 1771, ined.), che, tenuto conto del fatto che le lesioni avevano condotto alla morte un soggetto di diciassette anni nell'arco di dieci giorni, aveva liquidato, in riforma della decisione di primo grado, per il solo «danno biologico terminale» la somma di Lire 6.250.000 per ciascun giorno (per complessive Lire 62.500.000) a fronte del valore di lire 63.000 individuabile, secondo i valori tabellari, per il danno biologico da I.T.T., con l'aggiunta di 30 milioni delle vecchie lire per il danno morale terminale (misura corrispondente a circa la metà del quantum corrisposto per la prima figura risarcitoria). Indubbiamente stona, a distanza di oltre quindici anni, una divergenza così significativa fra le liquidazioni operate (n.b.: direttamente) dalla Cassazione e la somma oggi proposta dall'Osservatorio milanese.
Il fatto poi che dal 100° giorno in avanti la liquidazione del danno si attesti su 98,00 Euro (la stessa identica somma individuata per il danno da invalidità temporanea assoluta) contraddice pure il principio, assolutamente consolidato in Cassazione, per cui sì «la liquidazione può essere effettuata sulla base delle tabelle relative all'invalidità temporanea», tuttavia dovendosi escludere che «la liquidazione possa essere effettuata attraverso la meccanica applicazione di criteri contenuti in tabelle che, per quanto dettagliate, nella generalità dei casi sono predisposte per la liquidazione del danno biologico o delle invalidità, temporanee o permanenti, di soggetti che sopravvivono all'evento dannoso» (cfr. ex plurimis: Cass. civ., sez. III, 26 giugno 2015, n. 13198, nonché già tempo addietro la pronuncia Cass. civ., 14 luglio 2003, n. 11003, per la quale «il limitare la liquidazione del danno biologico terminale alla mera applicazione dei valori liquidatori tabellari a punti per ogni giorno di invalidità, da una parte comporta la violazione del principio […] di necessaria “personalizzazione” di detti criteri, conformandoli alla peculiarità del caso concreto (e nella fattispecie la peculiarità consiste nel fatto che la lesione alla salute non solo è stata massima, ma anche così intensa da dar luogo alla morte), e dall'altra finisce per porsi in contrasto logico-argomentativo, con quanto ormai ammesso in sede di liquidazione del danno morale»).
Il confronto fra i valori proposti dall'Osservatorio milanese e quelli sopra citati (provenienti dalla Cassazione) rende del tutto palese come l'elaborato in commento comporti in concreto un manifesto ribasso degli standard risarcitori, certamente apprezzabile dalle imprese assicuratrici in primis, ma lungi dal costituire un'operazione corretta in vista di una tabellazione a vocazione nazionale.
Peraltro, i valori, che si rinvengono nell'elaborato pubblicato il 14 marzo 2018, differiscono pure da quelli più elevati indicati, in occasione del “Laboratorio nazionale” del 6 maggio 2017, dalla maggioranza degli Osservatori, che - come si apprende da D. SPERA, Verso l'approvazione definitiva delle nuove tabelle milanesi, cit. - aveva proposto di aumentare il tetto risarcitorio massimo ad Euro 130.000,00 e di incrementare il cd. «pozzetto» dei primi tre giorni fino ad Euro 50.000,00. Queste ultime cifre, laddove accolte, in ogni caso non sarebbero state in linea con quelle liquidate dai predetti precedenti di legittimità; però la differenza sarebbe risultata almeno parzialmente ridotta.
Tutto ciò denota, ad ogni modo, l'assolutaarbitrarietà dell'operazione condotta dall'Osservatorio di Milano in punto danni terminali.
Risulta, quindi, decisamente affrettata quella isolata giurisprudenza di merito che, senza interrogarsi su questi diversi profili, è già pervenuta ad accogliere la tabella milanese sui danni terminali, fra l'altro, ancor prima della loro pubblicazione ufficiale (cfr. Trib. Napoli, sez. VIII civ., 4 maggio 2017, n. 5156, in www.ridare.it, che, in tutta evidenza fidandosi ciecamente dell'Osservatorio di Milano, ha recepito il cd. «pozzetto» di Euro 30.000,00 senza neppure darsi la pena di spiegare la fondatezza di tale parametro).
Danni da diffamazione a mezzo stampa e con altri mezzi di comunicazione di massa: criteri in linea con i trend giurisprudenziali
Diversamente dai precedenti due elaborati, i nuovi criteri individuati dall'Osservatorio milanese per i danni ora in questione risultano porsi in linea con casistica giurisprudenziale da tempo consolidata, la quale, infatti, conferma appieno i parametri in questione anche con riferimento ad annate più risalenti rispetto a quelle contemplate dall'Osservatorio, che, invece, ha retto le sue indicazioni esclusivamente sulla base di 89 precedenti tratti dal periodo 2014-2017.
In particolare, da svariati anni gli studiosi della materia attestano come in effetti il quantum del risarcimento del danno non patrimoniale da diffamazione, comunque da liquidarsi in via equitativa ex art. 2056 c.c., si attesti generalmente, a seconda dei fori, su valori medi compresi in una fascia tra 10.000,00 e 30.000,00 Euro (cfr. al riguardo le seguenti indagini casistiche: V. ZENO ZENCOVICH, La quantificazione del danno alla reputazione e ai dati personali: ricognizione degli orientamenti 2013 del Tribunale civile di Roma, in D. Inf., 2014, 405; S. PERON e E. GALBIATI, Diffamazione e risarcimento del danno tra contrasti giurisprudenziali e orientamenti consolidati, Giur. Merito, 2011, 720; V. ZENO ZENCOVICH, Analisi di trecentoventi sentenze sulla lesione della personalità rese dal Tribunale di Roma, in D. Inf., 2009, 263; S. PERON e E. GALBIATI, La giurisprudenza della Corte d'appello civile di Milano in materia di diffamazione nel triennio 2003-2005, in Resp. civ. prev., 2007, 2254; S. PERON e E. GALBIATI, La diffamazione a mezzo stampa nellesentenze del tribunale civile e penale di Milano, in D. Inf., 2006, 57).
Tali valori medi trovano conferma fra la giurisprudenza di legittimità più prossima (cfr., per esempio, Cass. civ, sez. III, 28 luglio 2014, n. 17082, che ha confermato la liquidazione di 30.000,00 Euro, operata dalla corte territoriale, a titolo di danno non patrimoniale da diffamazione a mezzo stampa per avere un noto giornale pubblicato, in relazione ad un soggetto sottoposto a delle indagini penali nel contesto di uno scandalo, come quest'ultimo fosse stato sottoposto a perquisizioni domiciliari, pur non avendo queste avuto mai luogo).
Ciò posto, l'elaborato milanese ora in disamina presenta anche i seguenti pregi: innanzitutto, distinguendo fra cinque fasce di gravità, fornisce identikit di ciascuna categoria sufficientemente chiara, sensata ed utile ai fini pratici; in secondo luogo, in relazione all'ultima classe di casi (le diffamazioni di «eccezionale gravità») non fissa un “cap” risarcitorio, il che non è una peculiarità di poco conto stante la opposta (ed a questo punto ancor più singolare) tendenza, in campo di danni alla persona e da uccisione, ad apporre tetti invalicabili un po' ovunque (fra l'altro ben contro le diverse indicazioni della giurisprudenza di legittimità). Sfugge, invero, la ragione per cui relativamente ai danni da diffamazione non si prevedono massimi risarcitori mentre questi si appongono alla liquidazione dei danni non patrimoniali da lesioni personali/mortali e da violazione delle relazioni famigliari.
Danni da abuso del processo
La proposta dell'Osservatorio milanese è senz'altro in linea con un'impostazione già affiorata in alcuni precedenti della Cassazione per la quale la liquidazione del danno-sanzione, di cui al comma 3 dell'art. 96 c.p.c., può in effetti essere individuata equitativamente in una somma corrispondente a quella da liquidarsi a titolo di onorari a favore della controparte (cfr., per esempio, Cass. civ., Sez. Un., 18 settembre 2017, n. 21544) od in un importo calcolato in una frazione od in un multiplo di tali compensi (la Suprema corte - cfr., per esempio, Cass. civ., sez. VI - 2, 17 ottobre 2017, n. 24410 - ha ritenuto che la determinazione del danno in questione in un importo superiore a cinque volte l'entità delle spese processuali a carico dei soccombenti in solido comporti «un esito liquidatorio che non rispetta il limite della ragionevolezza e della proporzionalità», «discostandosi di gran lunga da quel limite del doppio dei massimi tariffari che - desumibile dall'abrogato art. 385 c.p.c., comma 4, - è utilizzato come parametro nelle prassi condivise dei giudici di merito»).
Ciò posto, dalle prime applicazioni giurisprudenziali della sanzione exart. 96, comma 3, c.p.c. emerge in realtà una questione preliminare rispetto a quella della determinazione dei criteri di liquidazione: infatti, da diversi precedenti si trae come il comportamento punito attraverso questo istituto sia invero più quello tenuto dal difensore della parte soccombente che la condotta di quest'ultima, il che non dovrebbe accadere ai sensi della disposizione in disamina la quale espressamente (cfr. il comma 1) pone per l'appunto quale elemento costitutivo della fattispecie la mala fede o la colpa grave della parte sostanziale che ha perso la causa; orbene, la commisurazione, in via pressoché automatica, della sanzione in oggetto ai parametri professionali potrebbe indurre a reiterare questo errore di prospettiva.
L'auspicio, pertanto, è che l'eventuale futuro consolidamento di standard liquidativi quali quelli proposti dall'Osservatorio milanese non conduca ad obliterare la questione relativa all'oggetto della sanzione in esame.
Le tradizionali tabelle per il danno non patrimoniale da lesioni personali e da perdita-ferimento del congiunto: la relazione illustrativa aggiornata
Last but not least, le due tabelle ora in questione sono rimaste invariate se non per quanto concerne l'adeguamento dei valori in considerazione degli indici ISTAT.
Qualche novità, rispetto alla precedente edizione, va semmai rinvenuta nella relazione illustrativa che le accompagna: infatti, sono state apportate alcune aggiunte al testo precedente. Trattasi, invero, soltanto di alcune precisazioni marginali, che, però, come già si riferiva in premessa, risultano senz'altro meritevoli di qualche succinta osservazione.
Prima di esaminarle, tuttavia, va debitamente sottolineato come la relazione introduttiva, recante i cd. «criteri applicativi» di tali tabelle, sia lungi dal possedere la stessa valenza orientativa attribuita dalla Suprema Corte dal 2011 in avanti ai parametri monetari recati dalle stesse. In particolare, la relazione illustrativa è per certo imprescindibile al fine di individuare quali siano stati i pregiudizi (naturalisticamente e/o giuridicamente intesi) considerati dai redattori delle tabelle per la determinazione dei valori monetari e, quindi, quali siano i danni-conseguenza convenzionalmente coperti dalle tabelle; viceversa, prive di qualsiasi benché minima portata vincolante (od anche solo della valenza orientativa riconosciuta dalla Suprema corte ai valori monetari) sono le indicazioni fornite dall'Osservatorio di Milano in merito ad eventuali limiti alla personalizzazione, a determinate proporzioni fra le varie componenti (o sotto-categorie) del danno non patrimoniale, oppure in merito a preclusioni o favor rispetto alla liquidazione di ulteriori poste risarcitorie sul fronte dei pregiudizi non pecuniari o, ancora, relativamente ad altre questioni (per esempio, allegazione e prova delle conseguenze pregiudizievoli, incidenza del grado della gravità della condotta sul quantum debeatur, condizioni legittimanti la tutela delle vittime secondarie tanto nei casi di uccisione che in quelli di ferimento del congiunto, ecc.). Infatti, tali indicazioni, pur degne di ogni considerazione, possono valere alla stessa stregua di un'opinione dottrinale o di un precedente di merito o dell'elaborato di un'associazione di categoria; nel riferirsi alle “tabelle milanesi” (le due ora in questione) la Cassazione, a partire dal 2011, ha unicamente «inteso fornire ai giudici di merito l'indicazione di un unico valore medio di riferimento da porre a base del risarcimento [...] quale che sia la latitudine in cui si radica la competenza» (così L. SCARANO, op. cit., 150), ma non ha in nessun modo sposato la relazione illustrativa né tantomeno appaltato all'Osservatorio di Milano la fissazione dei principi applicativi dei parametri monetari.
Ciò premesso e venendo ad esaminare le modifiche apportate alla relazione illustrativa del 2018, la prima da segnalarsi emerge alla fine del primo paragrafo ove l'Osservatorio milanese ha deciso di aggiungere alcune annotazioni in merito all'incidenzadella natura, colposa o dolosa, sulla quantificazione del danno non patrimoniale associato a lesioni dell'integrità psicofisica.
Non dovrebbe suscitare particolare clamore il fatto che l'Osservatorio abbia ritenuto di aderire alla tesi del danno morale aggravato dalla condotta (nello specifico enunciando che, «laddove [...] ricorrano tutti i presupposti per ravvisare la sussistenza di un reato doloso ovvero altri elementi eccezionali, il giudice deve aumentare o ridurre l'entità degli importi previsti in tabella, in considerazione delle peculiarità della fattispecie concreta») ed al contempo abbia escluso la risarcibilità del danno punitivo. Lo stesso Osservatorio, infatti, evidenzia come questa posizione rispecchi gli approdi ultimi della giurisprudenza di legittimità, oltre che della stessa giurisprudenza milanese.
Il dato di tutto interesse ai fini dell'applicazione delle tabelle è semmai il seguente: la nuova relazione illustrativa puntualizza come le tabelle in questione costituiscano «la sintesi di un monitoraggio di sentenze aventi ad oggetto fatti illeciti che sono, di regola, penalmente irrilevanti ovvero integrano gli estremi di un reato colposo». A parte il fatto che, invero, le lesioni personali non sono mai, almeno ai fini civilistici, «penalmente irrilevanti», la detta puntualizzazione dell'Osservatorio certifica con estrema chiarezza l'estraneitàdei valori tabellari (minimi, medi o massimi che siano) a considerazioni inerenti la particolare gravità dell'azione illecita o inadempiente, il che evidentemente rafforza il riconoscimento del «danno morale aggravato dalla condotta» oltre i valori medi e, in taluni casi, otre quelli massimi (cfr. sul tema M. BONA, Come liquidare e personalizzare il danno morale aggravato dalla condotta, in Ridare.it, Focus 5 maggio 2015).
Occorre, però, sottolineare anche un punto critico di questa nuova parte della relazione: tralasciandosi come non abbia senso affermare che il giudice, dinanzi a condotte dolose possa pure “ridurre” l'entità del risarcimento (why?), non pare potersi condividere l'affermazione dell'Osservatorio per cui il dolo od altre eccezionali peculiarità dell'illecito sarebbero tali da provocare di regola una maggiore intensità delle «sofferenze psicofisiche» patite dalla vittima primaria o secondaria. Infatti, fermo restando che le menomazioni del corpo sono del tutto indifferenti all'elemento soggettivo della condotta lesiva od alla particolare riprovevolezza dell'illecito e che semmai è l'entità della “sofferenza morale” ad incrementarsi dinanzi alla gravità di talune condotte, si staglia così nel “sistema risarcitorio milanese” una concezione eccessivamente biologicocentrica del danno non patrimoniale (la stessa concezione che in tutta una serie di casi rende la tabella milanese per il danno da lesioni psicofisiche uno strumento tale da svilire e snaturare il risarcimento dei pregiudizi puramente morali); tale impostazione vincola troppo il quantum del danno morale al quantum imperniato sull'invalidità biologica; ciò può portare ad autentiche aberrazioni: per esempio, la vittima di una violenza sessuale con un danno biologico modesto potrebbe trovarsi a conseguire un “risarcimento aggravato” del tutto irrisorio, laddove questo sia per l'appunto riconosciuto in un incremento percentuale del danno non patrimoniale (biologicacentricamente concepito) da lesione dell'integrità psicofisica.
Ciò posto, non si può allora che rimarcare la assoluta fallacia della pretesa della relazione illustrativa di vincolare sistematicamente, ogniqualvolta ricorra una lesione dell'integrità psicofisica (pure minima oppure secondaria rispetto alla violazione dell'integrità della sfera morale), la liquidazione di ogni altra componente del danno non patrimoniale - ora anche il danno morale aggravato dalla condotta - al quantum del danno biologico tabellato.
Ai paragrafi terzo e quarto la relazione accompagnatoria tratta della liquidazione del danno non patrimoniale da perdita o grave lesione del rapporto parentale. La versione 2018 annovera sì delle aggiunte, ma anche queste non presentano divergenze dalla giurisprudenza di legittimità.
Ad ogni modo, possono apprezzarsi, pur con ulteriori chiose, le seguenti precisazioni.
In primis, nella versione aggiornata dei «criteri applicativi» si puntualizza condivisibilmente, a scongiurare ogni possibile fraintendimento, come la categoria dei congiunti legittimati attivi non sia circoscritta ai soli soggetti espressamente indicati in tabella, viceversa ponendosi al centro, innanzitutto quale criterio selettivo, «la prova di un intenso legame affettivo e di un reale sconvolgimento di vita della vittima secondaria». Sempre sul punto della legittimazione attiva è di sicuro interesse, ancorché ciò già trovi conferma in sentenze anche recenti della Suprema corte (cfr. Cass. civ., sez. III, 7 dicembre 2017, no. 29332), l'assenza, nella relazione illustrativa, di qualsiasi richiamo alla convivenza quale condicio sine qua non per l'acceso alla tutela risarcitoria da parte di parenti estranei al nucleo famigliare più stretto.
Condivisibile è anche che per i casi di menomazione e sopravvivenza della vittima primaria la relazione illustrativa non ancori la tutela dei congiunti alla ricorrenza di una determinata soglia di gravità della lesione personale subita dalla vittima primaria, viceversa giustamente ponendo al centro l'incidenza dell'evento lesivo sulla vita famigliare. Questa impostazione si pone in linea con quanto meglio chiarito dalla Suprema corte (Cass. civ., sez. III, 4 giugno 2013, n. 14040), che, espressamente contestando che il danno morale/esistenziale dei congiunti del danneggiato sopravvissuto possa assumere rilievo soltanto laddove si associ a delle gravi lesioni di natura permanente della vittima primaria, ha individuato il filtro selettivo della tutela risarcitoria in questione nell'idoneitàdella situazione prodotta dal fatto illecitoa «configurare sofferenze di particolare gravità» in capo al famigliare, per esempiocon compromissione, anche solo temporanea, dello «svolgimento delle relazioni affettive» (nella vicenda decisa dalla Cassazione del 2013 la vittima primaria, per un certo qual periodo di tempo, aveva attraversato, a causa dell'errata diagnosi di una patologia tumorale in realtà inesistente, uno «stato ansioso, con elaborazione depressiva e presenza di somatizzazioni», che si era riflesso, sempre sul piano psicologico, anche sulla moglie).
Quanto ai criteri di liquidazione risulta di sicuro interesse, per gli stessi motivi già innanzi illustrati in relazione ai danni alla persona, come in seno alla relazione illustrativa anche per la tabella sul danno parentale si precisi che i valori tabellari (ivi compresi quelli massimi) non contemplano la quota del danno non patrimoniale corrispondente “aggravamento” della sofferenza morale prodotto dal dolo o da altre peculiarità relative alla condotta lesiva.
Non particolarmente chiara, invece, è la parte in cui si indica che i valori indicati in tabella rappresenterebbero quelli «medi»: infatti, tra l'indicazione di un importo minimo e di uno massimo (fra loro, peraltro, notevolmente distanti) sarebbe lecito attendersi che il parametro medio stia nel mezzo, non già all'estremo più basso.
Soprattutto opinabile è la precisazione, operata addirittura in grassetto, per cui «non esiste un “minimo garantito”». Non si pone qui in discussione che le indicazioni monetarie tabellari abbiano sempre solo e soltanto un valore meramente indicativo e che, di conseguenza, il magistrato - sulla base delle circostanze del caso concreto e delle prove acquisite - possa motivare liquidazioni tali da discostarsi in un senso o nell'altro dagli estremi dei range indicati.
Pur tuttavia giustappunto il riferimento “medio” (o “presuntivo”) dovrebbe stare nel mezzo, non in quello più basso. Soprattutto, la relazione illustrativa avrebbe dovuto riprendere quanto specificato dalla Suprema corte (Cass. civ., sez. III, 23 febbraio 2016, n. 3505) per la quale sì non possono darsi minimi garantiti («è certamente da ammettersi la possibilità che la liquidazione del danno non patrimoniale, nell'opera di necessaria personalizzazione di esso in base alle circostanze del caso concreto, sia effettuata anche con il superamento dei limiti minimi e massimi degli ordinari parametri previsti dalla c.d. tabella milanese»), ma la deroga ai parametri medi - «se non intende del tutto privarsi di significato la richiamata opzione della giurisprudenza di legittimità per l'adozione di un tale uniforme parametro» - «deve poter avvenire solo quando la specifica vicenda presa in considerazione non rientri nell'ambito dell'ordinario e pur differenziato atteggiarsi delle varie possibili situazioni in astratto idonee ad orientare la liquidazione stessa tra il minimo ed il massimo del parametro tabellare, ma se ne discosti, per la presenza di circostanze di cui il parametro stesso, evidentemente costruito in base alla considerazione dell'oscillazione ipotizzabile nell'ambito delle diverse situazioni ordinarie configurabili secondo l'id quod plerumque accidit, non possa aver tenuto conto. E di tali circostanze, che impediscono di ritenere la specifica fattispecie concreta inquadrabile tra quelle ordinarie già considerate nell'ambito dell'area prevista tra i minimi e i massimi dei parametri tabellari, va dato adeguatamente conto in motivazione» (sulla base di questi rilievi la Cassazione ha censurato la sentenza impugnata sia per insufficienza della motivazione sia - ai sensi dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 - per falsa applicazione dell'art. 1226 c.c. - più nello specifico per la «ingiustificata violazione del parametro equitativo ricavabile dalle c.d. tabelle milanesi del 2011» - avendo la corte di merito sì dichiarato di voler applicare le dette tabelle milanesi, ma poi «liquidato un importo certamente inferiore al minimo previsto in tali tabelle, senza assolutamente indicare motivi idonei a giustificare, né in astratto né in concreto, tale deroga, e addirittura senza neanche espressamente chiarire l'intenzione di derogare il suddetto minimo»).
Da rilevarsi come in seno alla predetta pronuncia la Suprema corte abbia ritenuto inidonee a giustificare un risarcimento al di sotto dei minimi tabellari le seguenti circostanze richiamate dalla corte territoriale «genericamente e del tutto apoditticamente» (nello specifico «senza indicare l'incidenza che ciascuna di esse abbia avuto ai fini della concreta determinazione dell'importofinale della liquidazione»): a) circostanze quali «l'avvenuta separazione dei genitori e l'avvio di una convivenza del padre more uxorio con una nuova compagna» in quanto «del tutto irrilevanti ai fini della valutazione del danno non patrimoniale ordinariamente derivante alle figlie dalla perdita del padre»; b) circostanze quali «l'età di ventotto e trenta anni delle figlie al momento del decesso; la cessazione da molti anni della convivenza con il padre; la loro indipendenza economica; la mancanza di elementi sulla particolare intensità dei reciproci legami affettivi» in quanto rientranti «a pieno titolo nell'ambito del normale atteggiarsi di situazioni comunque di carattere ordinario, e quindi certamente idonee ad orientare la liquidazione nell'ambito dei parametri minimi e massimi della previsione tabellare, ma non a giustificarne il superamento».
In altra occasione la Suprema corte ha affermato, sulla stessa scia, l'impossibilità di scendere al di sotto dei valori minimi tabellari indicati dalla “tabella milanese” per il danno non patrimoniale dei congiunti tranne che nei casi di assenza di frequentazione fra la vittima secondaria e quella primaria, oppure a fronte di un rapporto di inimicizia fra tali vittime (Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2016, n. 20925).
Nel suo complesso questa impostazione della Suprema corte risulta consegnare ai giudici del merito un modello decisionale per l'applicazione dei parametri tabellari decisamente più efficiente rispetto ai tentennanti rilievi rinvenibili nell'aggiornamento della relazione illustrativa.
Apprezzabili, invece, sono i chiarimenti aggiunti dalla nuova versione di questo documento in merito ai parametri da adottarsi per la liquidazione del danno non patrimoniale della vittima secondaria nel caso di lesione della salute della vittima primaria. Soprattutto efficace è l'esempio ivi formulato per cui il riconoscimento del parametro massimo di Euro 331.920,00 «potrebbe in ipotesi sussistere se la madre [della vittima primaria] avesse lasciato il lavoro per dedicare tutta la propria vita all'assistenza morale e materiale del figlio». Tale esempio rende bene l'idea delle prospettive applicative della tabella sui danni parentali nei casi di ferimento della vittima primaria.
Conclusioni: riflettere e verificare prima di applicare le nuove tabelle
Alla luce di quanto esposto è del tutto evidente come l'ormai diffuso principio sancito dalla Suprema corte, per cui la mancata adozione delle tabelle di Milano da parte del giudice di merito può integrare, a determinate condizioni, la violazione di norma di diritto censurabile in sede di legittimità (cfr. ex plurimis: Cass. civ., sez. III, 18 maggio 2017 n. 12470; Cass. civ., sez. III, 20 maggio 2015, n. 10263), non possa certo valere per le nuove tabelle proposte per la liquidazione iure successionis dei danni non patrimoniali da premorienza e danni terminali.
Dispiace, invero, che queste due tabelle siano state pubblicate insieme, in un corpus unico, alla edizione aggiornata delle tabelle, di ben diverso valore (innanzitutto per la Cassazione), operanti per il risarcimento delle lesioni personali e dei danni da perdita/ferimento del congiunto: infatti, tale scelta dell'Osservatorio milanese rischia di generare una certa qual confusione fra quegli operatori (taluni magistrati compresi) poco inclini a verificare le fonti assunte a riferimento.
Si auspica che seguano tutte le riflessioni del caso prima che le nuove proposte siano accolte dalla giurisprudenza. Ad allarmare è soprattutto la tabella per i danni da premorienza, purtroppo idonea a scatenare, da parte dei debitori seriali, odiose strategie dilatorie nel riconoscimento dei risarcimenti a tutta una serie di danneggiati (anziani, persone con patologie pregresse, macrolesi, ecc.).
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Sommario
Le novità sul tavolo: una questione seria
La questione della legittimità delle tabelle: profili generali
Quale base legittimante i nuovi elaborati dell'Osservatorio milanese per i danni da premorienza e terminali?
La tabella sul danno alla salute da premorienza: risarcimenti ingiusti, premiate le strategie dilatorie
Danni terminali: ignorate le indicazioni della giurisprudenza di legittimità