Richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato: poteri e limiti del giudice nell'ipotesi del c.d. reddito zero

19 Aprile 2018

Può il giudice rigettare un'istanza di ammissione al gratuito patrocinio perché corredata da un'autodichiarazione attestante l'assenza di qualsiasi reddito? Al fine di meglio chiarire la portata della pronuncia in commento pare opportuno effettuare una premessa afferente il concetto di reddito ...
Massima

«Il rigetto dell'istanza di ammissione al gratuito patrocinio fondata sulla mera affermazione secondo la quale l'autodichiarazione dell'assenza di reddito è di per sé potenziale inganno, viola le disposizioni di cui alla lettera c) dell'art. 79 d.P.R. 115/2002, anche avuto riguardo all'esercizio dei poteri di accertamento assicurati al giudice dell'ammissione ed a quello di opposizione al rigetto, che implicano una presunzione di impossidenza dell'istante che presenti autocertificazione del reddito, vincibile con l'esercizio dei poteri di accertamento assicurati al giudice dall'art. 79 e dall'art. 96, comma 2, T.U. spese di giustizia, il cui esercizio è nondimeno, imposto al medesimo ai fini della giustificazione del rigetto».

Il caso

Il Presidente di Sezione del tribunale di Pescara rigettava l'opposizione avverso al decreto di rigetto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato proposta da Caia, già ritenuta inammissibile dal tribunale in funzione monocratica, osservando come la dichiarazione di reddito pari a zero, presentata dall'istante, dovesse ritenersi un potenziale inganno, in assenza di indicazioni relative agli inevitabili aiuti ricevuti da terzi per far fronte alle esigenze di vita, anche avuto riguardo agli orientamenti di legittimità (su cui torneremo infra), secondo cui la totale assenza di reddito deve considerarsi assolutamente inverosimile.

Avverso la suddetta decisione ha proposto ricorso per Cassazione Caia ritenendo che i giudici di prime e seconde cure abbiano erroneamente applicato le disposizioni di cui agli artt. 76 e 79 d.P.R. 115/2002 (di seguito, anche T.U. spese di giustizia), dalle quali non emergerebbe, infatti, alcun espresso divieto all'ammissione al beneficio del gratuito patrocinio per i soggetti del tutto privi di redditi, determinandosi, altrimenti, il tradimento delle ragioni su cui si poggia l'intero istituto.

La Suprema Corte ha ritenuto fondato il ricorso sulla base delle ragioni che verranno di seguito sintetizzate. Il giudice di legittimità, muovendo dalla ratio solidaristica fondante l'istituto del patrocinio a spese dello Stato e dalle risultanze del combinato disposto degli artt. 79, comma 1, lett. c) e 96, comma 2, d.P.R. 115/2002 ha, infatti, escluso categoricamente che il giudice possa rigettare de plano una richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato motivandola sulla intrinseca ingannevolezza dell'autodichiarazione dell'istante che ivi attesti l'impossidenza di alcuna fonte di reddito. A rafforzare tale convincimento militerebbero, peraltro, proprio le disposizioni da ultimo richiamate, che consentono al giudice, a fronte di un'istanza corredata in termini assolutamente negativi, sia di sollecitare la parte a integrare la documentazione al fine di dimostrare la veridicità di quanto in essa indicato (art. 79, lett.c) d.P.R. 115/2002), sia di richiedere alla Guardia di Finanzia di effettuare le necessarie ricerche nel caso in cui sussistano fondati motivi per ritenere che l'interessato non versi nelle condizioni di cui agli artt. 76 e 92 T.U. spese di giustizia, tenuto conto delle risultanze del casellario giudiziale, del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari e delle attività economiche eventualmente svolte (art. 96, comma 2).

La questione

La questione in esame è la seguente: può il giudice, ritenendola intrinsecamente ingannevole, rigettare un'istanza di ammissione al gratuito patrocinio perché corredata da un'autodichiarazione attestante l'assenza di qualsiasi reddito?

Le soluzioni giuridiche

Al fine di meglio chiarire la portata della pronuncia in commento pare opportuno effettuare una premessa afferente il concetto di reddito rilevante ai fini dell'amissione al patrocinio a spese dello Stato.
La nozione di reddito ai fini dell'ammissione al beneficio in questione, infatti, è stata più volte sottoposta al vaglio critico sia del giudice nomofilattico sia della Corte costituzionale; proprio il giudice delle leggi, con la sentenza n. 382 del 1995, ha chiarito che nella nozione di reddito rilevante ai fini del beneficio in questione devono ritenersi comprese le risorse di qualsiasi natura di cui il richiedente disponga, così come gli aiuti economici (se significativi e non saltuari) a lui prestati, in qualsiasi forma, da familiari non conviventi o da terzi che – sebbene non rilevino agli effetti del cumulo – potranno essere computati come redditi direttamente imputabili all'interessato ove in concreto accertati con gli ordinari mezzi di prova, tra cui le presunzioni semplici previste dall'art. 2739 c.c., quali il tenore di vita ed altri fatti di emersione della percezione di redditi.

Tale pronuncia si pone sulla stessa linea ermeneutica tracciata dalla sentenza n. 144 del 1992 della medesima Corte, la quale, nell'acclarare le fonti reddituali rilevanti ai fini dell'ammissione al beneficio, aveva statuito come rilevino pacificamene anche redditi che non sono stati assoggettati a imposta vuoi perché non rientranti nella base imponibile, vuoi perché esenti, vuoi, ancora, perché di fatto non hanno subito alcuna imposizione.

Dalle statuizioni richiamate emerge pertanto che qualsiasi introito che l'istante percepisce con carattere di non occasionalità confluisce nel formare il reddito personale (e non quello aggiuntivo dei familiari conviventi) ai fini della valutazione del superamento del limite indicato nell'art. 76 d.P.R. 115/2002, evidenziandosi, quindi, come sia il c.d. reddito sostanziale quello da prendersi in considerazione ai fini della valutazione del rispetto dei limiti reddituali necessari ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Le pronunce emesse in rapida successione temporale dal giudice delle leggi hanno trovato un'importante eco in plurime statuizioni della giurisprudenza nomofilattica: gli Ermellini (cfr. Cass. pen., Sez. IV,4 ottobre 2005,n. 45159; Cass. pen., Sez. II, 17 maggio 2012,n. 33530), oltre a ribadire la rilevanza dei redditi derivanti da attività illecite o non soggetti ad imposte ai fini dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, hanno altresì evidenziato la necessità di un esaustivo accertamento – da eseguirsi anche avvalendosi degli ordinari mezzi di prova, ivi comprese le presunzioni semplici di cui all'art. 2729 c.c. – della condizione reddituale dell'istante al fine di evitare un paradossale ingiustificato trattamento tra il soggetto che correttamente ha provveduto a dichiarare i propri redditi e quello che illegalmente ha eluso gli obblighi dichiarativi sanciti dalla legge, privilegiandosi invero quest'ultimo nonostante l'antigiuridicità del suo comportamento.
Di particolare rilievo pratico-giuridico si presenta pertanto l'ipotesi in cui l'istante corredi la propria richiesta di ammissione con un'autocertificazione che si limiti ad attestare l'assenza di alcuna fonte reddituale, senza meglio specificare con quali risorse riesca in concreto a provvedere alle esigenze quotidiane necessarie anche solo per il proprio sostentamento.
In tal caso immediato si presenta il quesito relativo all'ampiezza longitudinale dei poteri conferiti al giudice procedente.
Secondo un indirizzo affermato dalla giurisprudenza nomofilattica (cfr. Cass. pen., Sez. IV, 20 ottobre 2010, n. 2616), a fronte di una richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato attestante un reddito pari a zero, il giudice deve necessariamente rigettare l'istanza, qualora il richiedente ometta di indicare in modo specifico l'ammontare delle erogazioni fruite, limitandosi ad allegare genericamente la provenienza delle stesse a titolo di sostegno economico dalla sua famiglia.
A tale rigoroso orientamento se ne contrappone altro (cfr. Cass pen., Sez. IV, 29 novembre 2016, n. 54495) che osserva come proprio il soggetto realmente impossidente o privo di reddito non sia, di regola, nelle condizioni di fornire elementi concreti e specifici necessari a comprovare la propria condizione economica-reddituale, se non mediante una mera dichiarazione negativa o, al più, tramite allegazioni più o meno generiche circa le sue fonti di sostentamento.

Una ancor più recente pronuncia (cfr. Cass. pen., Sez. IV, 9 maggio 2017, n. 26289) ha invece correttamente evidenziato come la normativa vigente offra all'autorità giudiziaria procedente un ventaglio di strumenti idonei ad accertare l'effettivo rispetto delle condizioni reddituali, patrimoniali e familiari dell'interessato, strumenti esercitabili, invero, non solo a posteriori, attraverso le verifiche di cui all'art. 98 d.P.R. 115/2002 demandate all'ufficio finanziario competente per territorio, ma anche in via preventiva, avvalendosi della facoltà conferita dall'art. 96, comma 2, del citato decreto, ossia la trasmissione dell'istanza, unitamente alla relativa dichiarazione sostitutiva, alla Guardia di Finanza per le relative e necessarie verifiche; tali strumenti, unitamente ai requisiti della gravità precisione e concordanza richiesti dall'art. 2729 c.c., non consentirebbero quindi al giudice di rigettare l'istanza di ammissione al gratuito patrocinio, nella quale il reddito dell'istante sia indicato come zero, con una motivazione che, sulla base di affermazioni meramente apodittiche e prive di efficacia dimostrativa, ritenga intrinsecamente non credibile quanto dichiarato dall'interessato circa i propri redditi.

La pronuncia in commento si pone in stretta continuità con quelle precedenti, fornendo un esaustivo quadro dei poteri conferiti all'autorità giudiziaria procedente cui venga presentata un'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato di tal genere: in primis, la Suprema Corte ha notevolmente circoscritto il potere del giudice, escludendo categoricamente un'intrusione dello stesso nel merito dell'autocertificazione e limitando la sua cognizione alla verifica dei redditi esposti dall'istante; inoltre, ha riconosciuto espressamente l'autodichiarazione stessa quale unico strumento idoneo a dimostrare l'assenza di qualsiasi reddito in quanto altrimenti si costringerebbe il richiedente a fornire una prova negativa (difficile se non diabolica) della propria condizione reddituale, tale da rendere estremamente arduo il riconoscimento del diritto. Ed è, infatti, proprio al fine di evitare e di superare tale impasse che il giudice deve ricorrere agli strumenti di sollecitazione e di accertamento previsti rispettivamente dall'art. 79, comma 3, e 96, comma 2, T.U. spese di giustizia: il primo consente, infatti, all'autorità giudiziaria procedente di richiedere alla parte istante ulteriore documentazione – adottando la declaratoria di inammissibilità solo in caso di omessa collaborazione – ove lo ritenga opportuno per la verifica del rispetto dei limiti reddituali previsti dalla normativa vigente; il secondo, invece, consente al giudice, qualora nutra fondati dubbi che l'istante versi nelle condizioni necessarie ai fini dell'ammissione al beneficio e prima di provvedere in senso negativo sulla richiesta, di trasmettere l'istanza alla Guardia di Finanza per gli opportuni accertamenti.

Dalle risultanze delle argomentazioni rassegnate la Corte di cassazione individua proprio siffatti poteri come gli strumenti a disposizione del giudice per vincere quella presunzione di impossidenza che consegue ontologicamente dall'autodichiarazione negativa dell'istante; inevitabilmente si porrà in totale contrasto col disposto di cui all'art. 79, comma 3, d.P.R. 115/2002 il rigetto dell'istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato fondato sulla mera affermazione secondo la quale l'autodichiarazione dell'assenza di reddito è di per sé un potenziale inganno ed elusiva delle prescrizioni di legge.

Osservazioni

L'orientamento maggiormente garantista della Suprema Corte, di cui la pronuncia in oggetto costituisce la più recente espressione, risulta in totale sintonia con la ratio che informa l'istituto del patrocinio a spese dello Stato, ossia quella solidaristica di offrire assistenza legale a chi non può permettersi di retribuire un avvocato.
È evidente, infatti, che qualora si sbarrassero le porte – automaticamente e senza un vaglio critico da tradurre in una adeguata ed esaustiva motivazione – alla fruizione del beneficio in questione proprio ai soggetti che si dichiarino privi di reddito, o comunque percettori di un reddito di portata modesta, prossimo allo zero, si andrebbe a svilire la funzione sociale intrinseca dell'istituto proprio nel caso che più di ogni altro necessiterebbe la tutela richiesta.
Dunque, il giudice, cui pervenga una richiesta di ammissione dl patrocinio gratuito, ha il potere-dovere di compiere tutti gli accertamenti a lui consentiti dalla normativa al fine di accertare come effettivamente esistenti o inesistenti i requisiti di accesso al beneficio: a tal fine il potere di integrazione (art. 79, lett.c), d.P.R. 115/2002) e quello di accertamento (art. 96, comma 2, d.P.R. 115/2002) offrono al giudice tutto quanto gli occorre per valutare la veridicità delle indicazioni contenute nell'autodichiarazione, costituendo essi stessi corollario della natura flessibile del procedimento in questione e della sua funzione rivolta essenzialmente all'assolvimento dell'onere solidaristico dello Stato, assolvimento che non può certo essere inficiato dall'ipotesi di documentazione mancante o insufficiente.

Alla luce della funzione sottesa al patrocinio a spese dello Stato e del tenore delle disposizioni richiamate, pare da condividersi il principio di diritto desumibile dalla pronuncia in commento, ossia che a fronte di una istanza di ammissione al beneficio corredata da un'autodichiarazione attestante l'assenza di reddito il giudice procedente non possa rigettare la richiesta prima di aver accertato con gli strumenti a sua disposizione la sussistenza o l'insussistenza delle condizioni reddituali richieste dall'art. 76 d.P.R. 115/2002, incorrendo altrimenti in una violazione dell'art. 79 lett. c) d.P.R. 115/2002.

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