Il concorso eventuale del socio nel reato di indebita restituzione dei conferimenti

24 Aprile 2018

L'esclusione del concorso necessario del socio, nella fattispecie di indebita restituzione dei conferimenti, non implica anche quella del concorso eventuale nelle ipotesi nelle quali il medesimo abbia tenuto una condotta diversa ed ulteriore rispetto a quella tipizzata e non sottoposta a pena e che si risolva in un contributo di partecipazione atipico rispetto alla condotta dichiarata punibile.
Massima

L'esclusione del concorso necessario del socio, nella fattispecie di indebita restituzione dei conferimenti, non implica anche quella del concorso eventuale nelle ipotesi nelle quali il medesimo abbia tenuto una condotta diversa ed ulteriore rispetto a quella tipizzata e non sottoposta a pena e che si risolva in un contributo di partecipazione atipico rispetto alla condotta dichiarata punibile.

Trovano, pertanto, applicazione le disposizioni sul concorso eventuale di persona nella loro funzione incriminatrice qualora, come nella specie, il socio non si sia limitato a trarre vantaggio dalla restituzione o dalla liberazione, ma abbia fornito un effettivo contributo di volontà, qualificabile in termini di determinazione, istigazione o rafforzamento del proposito criminoso dei titolari dei poteri di gestione.

Il caso

Il Tribunale del Riesame di Latina confermava il decreto di sequestro preventivo pronunciato dal Giudice per le Indagini Preliminari del medesimo Tribunale, nei confronti degli indagati, cui erano contestati i reati di appropriazione indebita aggravata, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indebita restituzione di conferimenti, false comunicazioni sociali e auto-riciclaggio.

Avverso tale provvedimento, i difensori degli imputati, proponevano ricorso per Cassazione, deducendo complessivamente quattro motivi di ricorso.

Per quanto di interesse nel presente commento, con il terzo motivo, i ricorrenti deducevano l'inosservanza e l'erronea applicazione degli artt. 321 e 125 c.p.p., per essere, la motivazione del Tribunale del Riesame, in ordine alla ritenuta partecipazione della imputata, al delitto di indebita restituzione di conferimenti, nonché di falsificazione del bilancio, carente o comunque meramente apparente.

Nello specifico, secondo le doglianze difensive, la motivazione del Tribunale di Latina era “minimale”, essendosi limitata a valorizzare esclusivamente la partecipazione dell'indagata alla deliberazione dell'aumento del capitale sociale nonché il rapporto famigliare con gli amministratori della società, prescindendo del tutto dalla carenza, in capo alla stessa, delle qualifiche soggettive prescritte dalle fattispecie incriminatrici contestatele.

Secondo i difensori, la conclusione cui erano giunti i giudici del Riesame, era del tutto apodittica in quanto l'indagata non aveva concorso a realizzare i giroconti che, nell'ipotesi accusatoria, costituivano lo strumento attraverso il quale era stata realizzata l'indebita restituzione del capitale sociale.

Le questioni

La Corte di Cassazione è chiamata a valutare, nei limiti deliberatori propri del ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, se il Tribunale di Latina abbia fatto corretto governo dei principi che regolano il concorso di persone nei reati di restituzione di conferimenti.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di Cassazione riteneva le censure difensive non meritevoli di accoglimento.

In particolare, secondo i giudici di legittimità, il Tribunale di Latina aveva correttamente ricostruito l'intera vicenda che aveva interessato la società Latina Calcio.

I soci della stessa, al fine di superare la situazione di grave sottocapitalizzazione che avrebbe impedito l'iscrizione del club al campionato di calcio, avevano deliberato un aumento di capitale, di 600.000 euro, in parte versato dall'indagata.

In pari data, l'amministratore del Latina Calcio aveva trasferito l'importo su due conti deposito a risparmio, accesi in concomitanza della delibera di aumento del capitale, riconducibili alla medesima società.

Da tali conti erano stati tratti due assegni circolari dell'importo di 49.998,35 ciascuno e, successivamente, in occasione dell'estinzione dei predetti, la somma di 251.639,66 euro era stata versata su di un conto del M., mentre la restante parte, ammontante a 251.642,10 euro, su un conto intestato all'indagata.

Sostanzialmente, secondo le motivazioni del Tribunale di Latina, l'indagata, in qualità di socia del Latina Calcio, aveva partecipato all'operazione sopra delineata, posta in essere dalla propria madre, presidente del Consiglio di Amministrazione, al fine di porre in essere la simulata ricapitalizzazione, onde evitare gravi perdite, essendo consapevole che sarebbe tornata in possesso delle somme apparentemente conferite a titolo di aumento del capitale.

Gli indici sintomatici che, secondo il Tribunale di Latina, portavano ad affermare il previo accordo dell'indagata con la propria madre ed il concorso della stessa nei reati contestati, erano rappresentati dal contesto famigliare e ristretto della compagine sociale del Latina Calcio, dalla contestualità delle operazioni (l'aumento di capitale, l'apertura dei due conti di risparmio ed i giroconti) nonché dalla comunanza degli interessi tra i soci.

Il Supremo Consesso riteneva correttamente articolato il ragionamento dei giudici del Riesame, specificando come non poteva ritenersi integrata nessuna violazione di legge, con riferimento alla carenza della qualifica soggettiva necessaria ai fini dell'integrazione del reato di cui all'art. 2626 c.c.

Infatti, la Corte di Cassazione precisava che, sebbene il legislatore avesse costruito la fattispecie delittuosa in esame come un reato proprio, richiedendo la qualifica di amministratore in capo all'autore del reato, in quanto unico titolare dell'obbligo di garanzia dell'integrità del capitale sociale, tale circostanza non escludeva la possibilità di un concorso eventuale nel reato contestato.

Pertanto, secondo l'autorevole interpretazione della Corte, il legislatore non ha inteso punire il socio che si sia limitato a trarre un vantaggio dalla restituzione o dalla liberazione dall'obbligo di eseguire lo stesso, ma quello che ha tenuto una condotta diversa ed ulteriore rispetto a quella tipizzata dall'art. 2626 c.c. e che abbia fornito un effettivo contributo, estrinsecatosi in termini di determinazione, istigazione o rafforzamento del proposito criminoso dei titolari dei poteri di gestione.

Per le ragioni riassunte, e per altre relative ai restanti motivi dedotti, la Corte di Cassazione rigettava i ricorsi degli imputati.

Osservazioni

Come noto, l'art. 2626 c.c., contenuto nel titolo XI del codice civile, recante le disposizioni penali in materia di società e consorzi, punisce con la reclusione fino ad un anno, gli amministratori che, fuori dei casi di legittima riduzione del capitale sociale, restituiscono, anche simulatamente, i conferimenti ai soci o comunque li liberano dagli obblighi di eseguirli.

Il bene giuridico che riceve tutela dalla norma è l'integrità del capitale sociale nella fase ordinaria e fisiologica di attività dell'ente, posto a garanzia non solo dello svolgimento dell'attività sociale, ma anche delle ragioni della massa creditoria.

Per questo motivo, l'autore qualificato viene individuato nell'amministratore, unico soggetto a cui è demandato, dal legislatore, il dovere di tutelare l'integrità della garanzia patrimoniale.

A tale riguardo, deve osservarsi che la costruzione della fattispecie come reato proprio, a concorso non necessario ma solo eventuale, disvela la volontà del legislatore di perseguire i soli amministratori e non anche i soci beneficiari delle condotte illecite tenute dai primi.

Tuttavia, secondo la pronuncia in argomento, benché i destinatari del precetto penale in esame siano i soli amministratori della compagine societaria, dell'ipotesi delittuosa in parola, è chiamato a rispondere, in concorso con i primi, anche il socio, a titolo di concorso eventuale, allorquando quest'ultimo abbia fornito un contributo eziologico effettivo al comportamento dell'amministratore.

Tale apporto dovrà essere valutato ai sensi dell'art. 110 c.p., quale contributo morale, concretizzatosi in una determinazione, istigazione o in un rafforzamento del proposito criminoso del soggetto titolare dei poteri gestori.

In buona sostanza, secondo l'orientamento della Suprema Corte, se il socio si limita a ricevere la restituzione andrà esente da responsabilità, qualora invece vi siano elementi indiziari da cui poter desumere che in qualche modo abbia contribuito anche moralmente alla commissione dell'illecito risponderà della fattispecie in esame a titolo di concorso eventuale, ex art. 110 c.p., insieme all'amministratore che ha eseguito l'operazione.

Gli elementi indiziari da cui desumere tale concorso morale possono essere, secondo la Corte, il contesto famigliare e ristretto della compagine sociale, la contestualità delle operazioni (l'aumento di capitale, l'apertura dei due conti di risparmio ed i giroconti) nonché la comunanza degli interessi tra i soci.

Ad avviso del sottoscritto il rischio di una simile interpretazione è che ogniqualvolta vi sia uno stretto legame tra amministratore e socio venga riconosciuto il concorso di quest'ultimo, cosi, estendendo, di fatto, la punibilità della norma de qua anche allo stesso.

L'orientamento in commento appare eccessivamente rigoroso tenuto conto che il Legislatore ha deliberatamente circoscritto la punibilità al solo amministratore e non anche al socio che ha ricevuto il pagamento.

E' evidente che attraverso un'eccessiva estensione applicativa del concorso eventuale di persone nel reato, si vanifica, di fatto, la scelta di escludere il concorso necessario del socio.

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