Manleva verso gli amministratori

Antonio Franchi
27 Aprile 2018

Il contratto (o patto) di manleva costituisce uno degli strumenti giuridici maggiormente diffusi nella pratica degli affari nell'ambito di rapporti contrattuali di ogni tipo e, particolarmente, in tema di rapporti societari, nelle relazioni tra amministratori e soci e amministratori e società, ove riveste particolare importanza l'esigenza di poter prevedere valide pattuizioni per le quali gli amministratori di una certa società siano tenuti indenni dalle responsabilità derivanti dall'attività gestoria da essi svolta durante un determinato periodo.
Inquadramento

Il contratto (o patto) di manleva costituisce uno degli strumenti giuridici maggiormente diffusi nella pratica degli affari nell'ambito di rapporti contrattuali di ogni tipo e, particolarmente, in tema di rapporti societari, nelle relazioni tra amministratori e soci e amministratori e società, ove riveste particolare importanza l'esigenza di poter prevedere valide pattuizioni per le quali gli amministratori di una certa società siano tenuti indenni dalle responsabilità derivanti dall'attività gestoria da essi svolta durante un determinato periodo.

La definizione di manleva

La manleva è un contratto atipico mediante il quale il mallevadore (o garante) assume l'obbligo di sollevare l'altra parte, il mallevato, dalle eventuali conseguenze patrimoniali dannose derivanti da un dato evento o dal fatto dello stesso mallevadore o del mallevato o di terzi.

La disciplina del contratto di manleva

Nel codice civile e, più in generale, nell'ordinamento italiano non esiste una norma regolatrice del contratto (o patto) di manleva, costituendo questo appunto un contratto atipico, la cui legittimità deve essere valutata in relazione al rispetto dei principi di legge e di ordine pubblico vigenti nel nostro ordinamento.

In evidenza: il patto di manleva

Il patto di manleva costituisce un contratto atipico, onde la sua validità, ai sensi degli artt. 1322, 1343 e 1418 c.c., è condizionata al perseguimento di interessi meritevoli di tutela secondo l'ordinamento (Cass. 8 marzo 1980, n. 1534, in Foro it., 1981, I, 2539).

Il contratto o patto di manleva, con il quale si trasferiscono le conseguenze risarcitorie dell'inadempimento in capo ad altro soggetto che, comunque, garantisce il creditore, è un contratto atipico, non disciplinato dall'ordinamento giuridico italiano (Cass. 30 maggio 2013, n. 13613).

L'accordo di manleva costituisce un contratto legalmente atipico (ma socialmente tipico) che può ritenersi valido solo se ed in quanto persegua interessi meritevoli di tutela (Trib. Milano, 20 dicembre 2013, ord.).

Si deve, dunque, verificare se, nel nostro sistema di diritto privato, esistano norme applicabili alla manleva al fine di verificarne la condizioni di validità o, più in generale, istituti tipici ai quali poterla assimilare.

(Segue) L'applicabilità dell'art. 1229 c.c.

Si ritiene che al contratto di manleva non possa applicarsi il divieto posto dall'art. 1229 c.c., in quanto il trasferimento su altri degli oneri patrimoniali originariamente a carico del debitore non lede affatto le ragioni del creditore, che rimane libero di agire in ogni momento verso il debitore stesso. Non si crea, dunque, alcuna forma di irresponsabilità, riversandosi semplicemente le conseguenze patrimoniali del danno su un soggetto diverso dal responsabile e quindi non pregiudicandosi, in alcun modo, il diritto del danneggiato ad un completo risarcimento. Tuttavia, qualora la manleva sia prestata per sollevare il mallevato da responsabilità che possa derivare da suo fatto proprio, la manleva possa essere valida soltanto nell'ipotesi in cui il mallevadore intenda sollevare il mallevato dalla responsabilità che possa derivare da fatto di quest'ultimo verso terzi e non verso lo stesso mallevadore, poiché in tale ultima ipotesi il patto di manleva nella sostanza verrebbe a figurare un'esclusione della responsabilità del debitore (manlevato) verso il creditore (mallevadore). In quest'ultima ipotesi, dunque, la manleva potrà essere rilasciata soltanto per il caso in cui la responsabilità del mallevato sussista per colpa lieve, in applicazione delle previsioni dell'art. 1229 c.c.

In evidenza: sul rapporto tra patto di manleva e clausole di esonero da responsabilità

La disposizione dell'art. 1229 cod. civ., dichiarando l'insanabile nullità di quei patti che escludono o limitano la responsabilità del debitore per dolo e colpa grave, è diretta ad impedire che attraverso tali clausole di esonero dalla responsabilità risulti sconvolto l'equilibrio contrattuale a vantaggio di una delle parti. Questa essendo la portata della disposizione in argomento, un patto di esonero è certamente invalido allorché intervenga tra il creditore ed il debitore e tenda ad esentare quest'ultimo da ogni responsabilità nei confronti del primo. Altrettanto non può invece ritenersi allorché il patto di esonero intercorra tra il debitore ed un terzo e miri, molto più semplicemente, a riversare su quest'ultimo le conseguenze derivanti dalla responsabilità in cui il debitore può incorrere nei confronti del creditore. Gli effetti derivanti dalla stipulazione di tale convenzione sono invero destinati a prodursi al di fuori del rapporto di responsabilità intercorrente tra il creditore e il debitore, rapporto che non resta in alcun modo influenzato o pregiudicato dalla convenzione di manleva intercorsa tra il debitore ed il terzo (Cass. 21 novembre 1988, n. 6267).

Il divieto sancito dall'art. 1229 c.c. di stipulare patti preventivi di irresponsabilità trova la sua “ratio” nell'esigenza di non consentire la indiretta acquiescenza alla violazione di norme fondamentali per la convivenza sociale e di eliminare una remora alla colpa grave e al dolo. Tuttavia, detto divieto, essendo limitato dal generale principio dell'autonomia negoziale, non si estende ai patti con i quali si convenga il trasferimento ad altri dell'incidenza economica del danno, in quanto, in tale ipotesi, il patto non determina alcuna forma di irresponsabilità, ma riversa soltanto su di un altro soggetto le conseguenze patrimoniali dell'illecito, senza violare il diritto del danneggiato (Cass. 8 marzo 1980, n. 1543, cit.).

Questo patto [la manleva] non incorre nella sanzione di nullità prevista dall'art. 1229 c.c., il quale si riferisce al diverso caso dell'esonero della responsabilità nel rapporto con il creditore, mentre non preclude una regolamentazione convenzionale degli effetti patrimoniali dell'illecito, senza pregiudizio del danneggiato (Cass. 23 gennaio 1982, n. 462, in Giur. it. 1982, I, 1, 472).

(Segue) Figure simili alla manleva

La manleva ha una struttura piuttosto simile a quella dell'accollo, l'accordo fra debitore e terzo in base al quale quest'ultimo assume su di sé l'obbligazione di tenere indenne il debitore originario dal peso della prestazione (si veda l'art. 1273 c.c.).

In particolare, l'accollo, qualora non sia previsto un corrispettivo, configura un tipico esempio di c.d. contratto unilaterale, che prevede obblighi a carico del solo proponente e si perfeziona mediante la semplice proposta unilaterale dell'accollante, in assenza di rifiuto del destinatario. L'eventuale accettazione del debitore, pertanto, non aggiunge alcunché alla dichiarazione del terzo, che, nel silenzio del promissario, già di per sé configura un valido contratto di accollo.

Più precisamente, può riscontrarsi una certa somiglianza con l'accollo c.d. interno, con efficacia, dunque, limitata tra debitore e terzo accollante. In funzione di tale accordo, il terzo accollante adempie nei confronti del creditore ad un obbligo altrui (l'obbligo del debitore), senza che all'accollo aderisca il creditore, il quale, pertanto, rimane del tutto estraneo al rapporto tra debitore e terzo.

Tuttavia, la manleva determina l' “accollo” del debito di un altro soggetto, senza che sia necessario che le parti indichino a priori il debito stesso ed il suo ammontare o che quest'ultimo sia comunque determinabile per relationem, essendo sufficiente che le parti indichino gli atti o i fatti dai quali possa sorgere la responsabilità del mallevato e un ammontare massimo, quale tetto soglia oltre il quale il mallevadore non sia più obbligato verso il mallevato stesso.

Viceversa, in ipotesi di accollo, è necessario che le parti indichino il rapporto da cui può nascere il debito e che sia possibile determinare l'ammontare del debito stesso. Nemmeno potrebbe invocarsi una somiglianza con la figura dell'accollo di debito futuro, poiché anch'esso ha per oggetto debiti che, pur essendo futuri ed eventuali, devono comunque essere quantificabili nel loro ammontare (Cass. 3 febbraio 1994, n. 7831; in senso contrario ed a favore della figura del contratto preliminare di accollo Cass. 5 aprile 1966, n. 881, in Giust. civ., 1967, I, 1155; Cass. 9 dicembre 1974, n. 4109, in Foro it., 1975, I, 1141; in maniera contraddittoria, Cass. 8 settembre 1988, n. 5102).

Oltre a quanto detto, poi, non può non tenersi in considerazione la sostanziale differenza esistente tra la funzione di garanzia che connota la natura giuridica della manleva e la diversa funzione solutoria che caratterizza, invece, la figura dell'accollo.

Anche altre figure simili all'accollo, quali l'espromissione e la delegazione di pagamento (entrambe, peraltro, aventi funzione solutoria) presentano caratteristiche diverse rispetto alla manleva. Nell'espromissione, infatti, il rapporto interviene fra il terzo ed il creditore; e nella delegazione di pagamento, il debitore conferisce incarico al terzo, il quale dunque non agisce spontaneamente.

Quanto alle similitudini con la figura della fideiussione, si deve precisare che a seguito del rilascio della manleva il mallevadore sopporta definitivamente l'onere economico della prestazione eseguita a favore del manlevato, giacché l'istituto della manleva, diversamente da quanto accade nella fideiussione, non prevede un diritto di regresso verso il debitore manlevato a seguito del pagamento eseguito dal mallevadore in esecuzione del patto.

Altri elementi di diversità rispetto alla fideiussione sono, poi, costituiti (i) dal fatto che la fideiussione è prestata dal garante verso il creditore, mentre la manleva prevede l'instaurazione di un rapporto tra garante e debitore e (ii) dalla sussidiarietà della fideiussione rispetto all'obbligazione principale, mentre la manleva non presuppone l'esistenza di un'obbligazione principale.

Infine, le garanzie di tipo fideiussorio sono volte ad aumentare le possibilità per il creditore di soddisfacimento delle proprie ragioni, mediante l'assegnazione al creditore stesso di un ulteriore debitore, mentre la manleva costituisce una garanzia in base alla quale vengono trasferite sul garante (mallevadore) le conseguenze derivanti da un dato evento.

Inoltre, il fideiussore ha sempre azione di rivalsa nei confronti del garantito, subentrando anche nelle garanzie che il creditore aveva verso il debitore inadempiente, anche quando, come accade nelle fideiussioni omnibus o nei contratti autonomi di garanzia, non vi è accessorietà tra obbligazione del garante e obbligazione del garantito.

Delle analogie esistono, infine, con il contratto di assicurazione, che ha, tuttavia, struttura giuridica e causa ben diverse da quelle del contratto di manleva.

La causa giuridica del contratto di assicurazione, infatti, consiste nel soddisfare il bisogno attuale dell'assicurato di poter far fronte a quei bisogni che eventualmente saranno provocati dal verificarsi di un evento incerto e non specificamente individuato, né individuabile al momento della conclusione del contratto, mentre, come abbiamo visto, la causa del contratto di manleva consiste nel riversare sul mallevadore gli effetti dannosi derivanti a carico del mallevato sia da eventi di futuro accadimento sia da eventi già verificatisi o individuati o individuabili.

I limiti di ordine pubblico del contratto di manleva

Occorre ora verificare se vi siano delle norme o dei principi generali del nostro sistema di diritto privato, inderogabili, la violazione dei quali costituisca un limite alla validità della manleva.

Si può ragionevolmente affermare che la funzione preventiva o di coazione psicologica immanente alle norme imperative e ai principi generali inderogabili del nostro ordinamento verrebbe meno (soltanto) se la manleva tenesse indenne l'autore in ipotesi di violazione dolosa.

A ben vedere, il principio che sia contraria all'ordine pubblico solo la manleva volta a tenere indenne una parte da danni conseguenti a suoi comportamenti dolosi (o collegati a illeciti dolosi), si può desumere, del resto, anche da altre norme del nostro sistema giuridico fondate su principi di ordine pubblico. Si pensi, ad esempio, alle norme sull'assicurazione, in base alle quali soltanto il comportamento doloso non dà luogo all'indennizzo, previsto anche per il caso di colpa grave (si veda l'art. 1917, comma 1 c.c.).

Potrà, dunque, concludersi validamente un contratto di manleva in tutti i casi nei quali il manlevato riversi sul mallevadore i danni o le responsabilità conseguenti al compimento di azioni colpose o gravemente colpose del manlevato stesso (nei confronti di terzi). Rimarrà, invece, esclusa la possibilità di concludere una valida manleva qualora la responsabilità del soggetto manlevato sia stata causata da un comportamento doloso di quest'ultimo. Si discute, tuttavia, sulla possibilità di rilasciare una valida manleva in relazione a azioni dolose già compiute, giacché, si sostiene, in tale ipotesi non vi è alcuna possibilità per il garantito di influire sull'entità della prestazione del mallevadore.

Ciò posto, occorre adesso verificare se le considerazioni sopra svolte possano applicarsi anche con riguardo alla manleva diretta a coprire le conseguenze patrimoniali di illeciti (e/o sanzioni) penali o amministrativi.

Per quanto riguarda la violazione di norme penali, devono ritenersi applicabili i criteri sopra menzionati, per i quali la manleva deve ritenersi invalida soltanto qualora la responsabilità del soggetto manlevato sia stata causata da un comportamento doloso di quest'ultimo (fermo quanto detto in merito alla possibile validità di una manleva relativa ad azioni dolose compiute in passato).

Con riguardo, invece, alla violazione di norme amministrative, occorre considerare che, in applicazione analogica della normativa secondaria che regola il settore dell'attività assicurativa, non sembra ammissibile nessuna forma di manleva volta alla copertura dei rischi connessi all'irrogazione di sanzioni amministrative pecuniarie. Ciò in quanto un tale accordo di manleva svuoterebbe di contenuto il potere di reazione delle Amministrazioni pubbliche verso gli illeciti amministrativi previsto da disposizioni a tutela dell'interesse pubblico (si vedano l'art. 12 Cod. Ass. Priv. e l'art. 4, comma 3 Reg. ISVAP (ora IVASS) n. 29 del 16 marzo 2009).

Alla regolamentazione del settore assicurativo anzidetta fanno eccezione le norme poste in materia fiscale, in base alle quali «per i casi di violazione commessi senza dolo o colpa grave, la persona fisica, la società, l'associazione o l'ente indicati nel comma 1 possono assumere il debito dell'autore della violazione» (si veda l'art. 11, comma 6 D. Lgs. n. 472/1997, come successivamente modificato).

La causa del contratto di manleva

Come per tutti i contratti, sia tipici sia atipici, anche nel caso del contratto di manleva, affinché esso sia valido, è necessario che sussista una ragione pratica, un interesse concreto che il contratto di manleva sia diretto a soddisfare, tale da giustificare legittimamente l'assunzione di obblighi da parte del mallevadore.

Per quanto il contratto di manleva normalmente non sia caratterizzato dalla presenza di una controprestazione in denaro o altra utilità che si contrapponga alla prestazione del manlevadore consistente nell'assunzione dell'impegno a tenere indenne il manlevato, risulta, tuttavia, difficile riscontrare in tale strumento giuridico una causa di liberalità, il c.d. animus donandi.

Peraltro, a parte le difficoltà di qualificazione della manleva alla stregua della donazione in ragione della mancanza dei requisiti tipici della causa donativa, ulteriori problemi deriverebbero dalla violazione dei principi relativi al divieto di donazione di beni futuri, alla invalidità della promessa di donazione e alla necessità che l'oggetto della donazione sia determinato.

Verificata, dunque, l'impossibilità di configurare il contratto di manleva quale atto di liberalità, si può ragionevolmente ritenere che la causa possa essere individuata nella presenza di accordi ad esso sottostanti o collegati (si vedano Cass. 18 maggio 1954, n. 1580 cit. e Cass. 8 marzo 1980, n. 1543 cit.).

Quanto alla necessità di esplicitare la causa, pur non essendo necessaria l'expressio causae, motivi di opportunità, soprattutto al fine di evitare talora inutili sforzi ermeneutici, inducono a ritenere che sia sempre meglio esplicitare la causa della manleva tutte le volte in cui ciò sia possibile.

La determinabilità dell'oggetto

Una manleva in forma generica - in assenza dell'indicazione, dunque, di un preciso evento o comportamento dai quali possa nascere il futuro debito - deve essere ritenuta nulla per contrasto con l'art. 1346 c.c. in tema di requisiti dell'oggetto del contratto (si veda App. Torino 29 luglio 2009, n. 1093 , per la quale «nessuna liberatoria potrebbe concepirsi né risultare efficace con riguardo ad un fatto che, al momento dell'asserito “sgravio” e della pretesa “manleva”, nemmeno era ancora stato accertato, né nella sua oggettività né nelle conseguenze economiche da essa derivanti in pregiudizio alla società»; Cass. 8 ottobre 2010, n. 20884, per la quale deve essere condiviso “il giudizio negativo del tribunale sull'oggettiva indeterminatezza della predetta pattuizione di manleva, da ritenersi perciò "nulla, annullabile e/o comunque inefficace”; Trib. Milano, ordinanza 20 dicembre 2013, cit.).

Deve, altresì, essere considerata nulla una manleva (che si riferisca a fatti generatori della responsabilità non ascrivibili al mallevadore) che non indichi la previsione di un importo massimo garantito, ponendosi questa in contrasto con l'art. 1938 c.c., in base al quale «la fideiussione può essere prestata anche per un'obbligazione condizionale o futura con la previsione, in quest'ultimo caso, dell'importo massimo garantito».

In evidenza: sull'applicabilità dell'art. 1938 c.c.

[L']art. 1938 (…), pur essendo inserit[o] nella disciplina tipica dello istituto della fideiussione, introduce un principio generale di garanzia e di ordine pubblico economico, suscettibile di valenza generale anche per le garanzie personali atipiche e tra queste quelle di patronage (Cass. 26 gennaio 2010, n. 1520).

In effetti, questa Corte (Cass. Sez. 3, n. 1520 del 26/1/2010) ha avuto modo di ravvisare nel disposto dell'art. 1938 c.c. un principio di carattere generale, nel momento in cui ha affermato che “in tema di fideiussione, l'art. 1938 cod. civ., come modificato dalla L. 17 febbraio 1992, n. 154, nel prevedere la necessità della determinazione dell'importo massimo garantito per le obbligazioni future, pone un principio generale di garanzia e di ordine pubblico economico, valevole anche per le garanzie personali atipiche” (Cass. 23 settembre 2015, n. 18771).

Invero se la legge ritiene non possibile la c.d. fidejussione omnibus, ovvero l'assunzione da parte di un terzo di tutti i debiti del garantito, senza limite, deve ritenersi che tale divieto valga anche per le promesse unilaterali ex art. 1333 c.c.. Non si vede, infatti, ragione per derogarvi, mentre la stessa funzione della lettera di patronage come sopra descritta (garantire una maggiore tutela dei diritti del terzo) implica che il rafforzamento della garanzia per i diritti del terzo non possa giungere a risultati inibiti dall'ordinamento. Sarebbe, altrimenti, facile aggirare tale divieto chiedendo ai garanti di impegnarsi ex art. 1333 c.c., piuttosto che confideiussione. Per cui deve ritenersi che la norma dell'articolo 1938 c.c., seppure diretta a differente istituto, costituisce principio generale della materia applicabile anche ad impegni di natura ed esiti analoghi, seppure fondati su differenti fattispecie negoziali.

Non è dubbio, poi, che la norma appartenga all'ordine pubblico economico della disciplina, sancendo principi non derogabili dalle parti e che si debbono imporre persino sulla diversa volontà dell'una delle parti o di entrambe. (…) Si potrebbe discutere circa la possibilità di applicare per analogia i correttivi posti in materia di fideiussione ex art. 1938 c.c., per evitare la declaratoria di invalidità della garanzia. Cosicché la indeterminatezza della garanzia unilateralmente assunta con la lettera di patronage non costituirebbe di per sé nullità nei casi e nei limiti in cui sia individuabile ex origine l'entità dell'indebitamento che si vuole garantire. Ma nel caso in esame non appare possibile tale individuazione, dato il contenuto generico della lettera di patronage e non risultando diverse comunicazioni tra le parti, nemmeno puramente ricognitive (Trib. Roma 18 dicembre 2002, in Giur. merito 2003, 1661).

In effetti, appare del tutto ragionevole che il principio posto dall'art. 1938 c.c. debba applicarsi anche alla figura della manleva, giacché attraverso la conclusione di un tale tipo di pattuizione (garanzia personale atipica) il mallevadore (garante), come abbiamo visto, viene ad assumere dei debiti futuri il cui importo potrebbe essere non noto e non prevedibile (si veda Trib. Milano, ordinanza 20 dicembre 2013 cit., per il quale «infine, si deve por mente al fatto che, con riferimento ad istituti affini quali l'assicurazione e la fideiussione, il legislatore ha avuto cura di richiedere espressamente che siano specificati contrattualmente “i limiti” del danno assicurato (artt. 1882 e 1905 c.c.) e non ha accordato tutela ad un accordo di garanzia “omnibus” cui non acceda l'indicazione del limite quantitativo della garanzia stessa (art. 1938 c.c.)». L'ordinanza del Tribunale di Milano è stata confermata con successiva ordinanza del medesimo Tribunale in data 7 maggio 2014).

Peraltro, mi pare che potrebbe aversi una valida manleva anche in assenza della previsione di un tetto massimo garantito, nell'ipotesi - pur di difficile applicazione concreta - in cui i rapporti dai quali possa nascere la posizione debitoria siano ben circoscritti o circoscrivibili (o comunque noti al mallevadore), in maniera tale che non possano sorgere responsabilità o situazioni debitorie per importi nuovi e non prevedibili

Rimane, tuttavia, da precisare che l'applicazione del principio posto nell'art. 1938 c.c. debba ritenersi dovuta soltanto nell'ipotesi in cui l'evento che faccia scattare l'obbligazione del mallevadore sia estraneo alla sua sfera di controllo e di influenza, giacché qualora l'evento originatore della responsabilità del manlevato derivi da fatto del mallevadore o sia sotto il controllo o l'influenza di quest'ultimo, l'obbligazione di manleva non costituirebbe una vera e propria garanzia, bensì rappresenterebbe una c.d. garanzia generica, semplicemente rafforzativa della posizione giuridica originariamente assunta dall'obbligato (mallevadore) (si veda Trib. Milano 6 maggio 2016).

Risulta, infatti, ovvio che in una tale ipotesi il mallevadore sia perfettamente consapevole del rischio cui si esponga per effetto del rilascio della manleva e, dunque, non sia necessaria l'applicazione della regola sancita nell'art. 1938 c.c.

Viene, infatti, ad aversi una reale ipotesi di garanzia soltanto in quelle situazioni nelle quali l'obbligato difetti del potere di produrre l'evento al quale ha interesse il creditore e vi sia l'accollo del rischio in ordine al verificarsi di un tale tipo di evento.

L'obbligo di avviso a carico del manlevato

Grava sul manlevato l'obbligo di comunicare al mallevadore gli accadimenti che importino l'intervento di quest'ultimo, in applicazione dei principi generali sulla diligenza nell'adempimento delle obbligazioni e delle previsioni in materia di assicurazione qui applicabili in via analogica (si vedano: artt. 1176, comma 1; 1227, comma 2; 1913, comma 1; 1915 c.c.).

Ulteriormente, ritengo che gravi sul manlevato l'obbligo di attivarsi per evitare o diminuire il danno sofferto dal terzo (o da egli stesso), così venendosi a eliminare o ridurre il correlativo peso della prestazione posta a carico del mallevadore.

Pertanto, in caso di aggravio dell'onere indennitario del mallevadore per l'inerzia del manlevato, il primo potrà efficacemente chiedere al Giudice una eliminazione o riduzione degli obblighi derivanti dalla manleva a proprio carico (a seconda che il mancato avviso sia dipeso da dolo o da colpa).

La manleva prestata agli amministratori della società

Il campo dei rapporti fra società, soci e/o terzi (ad esempio, i creditori della società) e amministratori e sindaci della società è uno dei settori nei quali sovente vengono ad utilizzarsi manleve con oggetto indeterminabile, nelle quali non è indicato (e spesso nemmeno noto o prevedibile) il rapporto specifico, fonte di responsabilità. Si pensi, appunto, alla manleva rilasciata agli amministratori di una società per qualunque azione proposta dalla società, dai soci o dai terzi.

In questo specifico ambito, tuttavia, affinché la manleva sia rilasciata validamente, dovranno applicarsi tutti i criteri enunciati nei precedenti capitoli.

Ulteriori aspetti che qui meritano di essere presi in analisi, nella specifica ipotesi della manleva rilasciata dalla società al proprio amministratore (o direttore generale), sono rappresentati, poi, dall'iter autorizzativo/deliberativo che deve essere seguito internamente alla società per il rilascio di tale tipo di garanzia.

In funzione dell'attribuzione nel nostro ordinamento del potere di gestione della società al consiglio di amministrazione, si ritiene che nulla possa opporsi a che il consiglio di amministrazione deliberi che la società rilasci una manleva per qualunque azione promossa dai soci o dai terzi contro uno o tutti i membri del consiglio stesso; ciò naturalmente nel rispetto della normativa dettata in tema di conflitto di interessi degli amministratori (si vedano gli artt. 2391 e 2475-ter c.c.).

Inoltre, per quanto attiene ai rapporti amministratori/assemblea e alla possibilità di deferire all'organo assembleare decisioni su temi specifici, l'attuale art. 2364 n. 5) c.c. non ammette tale possibilità, prevedendo che l'assemblea possa deliberare soltanto sugli oggetti «attribuiti dalla legge alla competenza dell'assemblea, nonché sulle autorizzazioni eventualmente richieste dallo statuto per il compimento di atti degli amministratori». Ciò che, peraltro, vale soltanto per le S.p.A., giacché nelle S.r.l. la disciplina è rimasta, in questo argomento, essenzialmente quella del testo previgente la riforma del 2003. In effetti, il nuovo art. 2479, comma 1 c.c. prevede che «i soci decidono sulle materie riservate alla loro competenza dall'atto costitutivo, nonché sugli argomenti che uno o più amministratori o tanti soci che rappresentano almeno un terzo del capitale sociale sottopongono alla loro approvazione».

E' qui ora interessante notare che, anche qualora l'assemblea abbia legittimamente autorizzato il rilascio della manleva (per qualunque azione proposta dai soci o dai terzi), naturalmente ciò non può valere quale impedimento all'instaurazione di un'azione di responsabilità da parte della società, qualora le attività commesse dall'amministratore in danno dei soci o dei terzi siano risultate dannose anche per la società.

Occorre, poi, considerare che, qualora la manleva abbia per oggetto responsabilità verso la società e sia rilasciata dalla società con deliberazione assembleare, essa viene a costituire una rinuncia all'azione di responsabilità. In tale ipotesi, infatti, non si ha un trasferimento di oneri patrimoniali in capo ad altri, bensì l'abdicazione a far valere il proprio diritto di credito al risarcimento del danno, già maturato nel proprio patrimonio in funzione degli effetti pregiudizievoli prodottisi a carico della società per effetto della mala gestio dei suoi amministratori. Si applicheranno, dunque, le norme e i criteri che regolano la validità della delibera di rinuncia all'azione sociale di responsabilità verso gli amministratori, con la conseguenza che saranno valide soltanto le deliberazioni per le quali l'assemblea sia chiamata a giudicare in concreto la condotta degli amministratori e ad effettuare a posteriori un controllo sull'incidenza del pregiudizio causato dagli amministratori medesimi sugli interessi della società (si veda Trib. Milano 10 febbraio 2000, in Giur. comm. 2001, II, 326; Trib. Milano 2 dicembre 2005, in Società, 2006, 12, 1525).

Riferimenti

Normativi

  • Artt. 1229, 1269, 1272, 1273, 1322, 1917, 1936, 1938, 2364, 2391, 2392, 2393, 2476, 2479 c.c.;
  • D. Lgs. 7 settembre 2005, n. 209;
  • Regolamento Isvap 16 Marzo 2009, n. 29.

Giurisprudenza

  • Cass. 8 settembre 1988, n. 5102;
  • Cass. 3 febbraio 1994, n. 7831;
  • Cass. 27 luglio 1994, n. 7030;
  • Trib. Milano 10 febbraio 2000;
  • Trib. Roma 18 dicembre 2002;
  • App. Torino, 29 luglio 2009, n. 1093;
  • Cass. 26 gennaio 2010, n. 1520;
  • Cass. 28 aprile 2010, n. 10215;
  • Cass. 8 ottobre 2010, n. 20884;
  • Cass. 30 maggio 2013, n. 13613;
  • Trib. Milano 20 dicembre 2013;
  • Cass. 23 settembre 2015, n. 18771;
  • Trib. Milano 6 maggio 2016.
Sommario