Se l’azienda non esegue l’ordine provvisorio di riammissione del lavoratore licenziato deve risarcire

La Redazione
09 Maggio 2018

Il datore di lavoro che viene meno all'ordine provvisorio di riammissione del lavoratore licenziato deve corrispondere un'indennità risarcitoria ai sensi dell'art. 18 St. Lav, che coerentemente correla l'indennità ad una condotta contra ius del datore di lavoro.

Con la sentenza n. 86/2018 la Corte Costituzionale si è espressa per la prima volta sul Jobs Act.

La pronuncia trae origine dalla questione di legittimità costituzionale dell'art. 18 co. 4 St. Lav. (come sostituito dall'art. 1, co. 42, lett. b), della L. n. 92/2012) sollevata dal Tribunale di Trento con riferimento al primo comma dell'art. 3 Cost.

Il giudice di Trento ha ritenuto che il novellato art. 18 attribuisca “irragionevolmente, natura risarcitoria, anziché retributiva, alle somme che il datore di lavoro è tenuto a corrispondere in relazione al periodo intercorrente dalla pronuncia di annullamento del licenziamento e di condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro provvisoriamente esecutiva”.
Infatti, il Tribunale, nel sollevare la questione di legittimità ha sostenuto che vada attribuita natura retributiva all'indennità, in applicazione della lex contractus riaffermata dal provvedimento, con l'equiparazione alla effettiva utilizzazione delle energie lavorative del dipendente.

Inoltre, il rimettente ha ravvisato una disparità di trattamento tra il datore che reintegra e quello che corrisponde l'indennità.

A tal proposito, la Corte ha affermato che «se è pur vero che l'ordine di reintegrazione del lavoratore illegittimamente licenziato ripristina, sul piano giuridico, la lex contractus, ciò non è vero anche sul piano fattuale, poiché la concreta attuazione dell'ordine di reintegrazione non può prescindere dalla collaborazione del datore di lavoro poiché ha per oggetto un facere infungibile» .

Ciò posto, continuano i Giudici, «ove il datore di lavoro non ottemperi l'ordine di reintegrazione, tale comportamento, riconducibile ad un illecito istantaneo ad effetti permanenti, perpetuerebbe le conseguenze dannose del licenziamento intimato contra ius, da cui propriamente deriva una obbligazione risarcitoria del danno stesso da parte del datore nei confronti del dipendente non reintegrato».

La Corte Costituzionale ha affermato che, obbligare il datore a corrispondere un'indennità avente natura risarcitoria, <<non è irragionevole, come sospetta il remittente, bensì coerente al contesto della fattispecie disciplinata, connotata dalla correlazione di detta indennità ad una condotta contra ius del datore di lavoro e non ad una prestazione di attività lavorativa da parte del dipendente>>.

Allo stesso modo i Giudici hanno ritenuto che non sussista una disparità di trattamento tra il datore di lavoro che adempia all'ordine di reintegrazione e quello che non ottemperi corrispondendo solo un'indennità al lavoratore.

Alla luce di queste considerazioni, la Corte Costituzionale ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale, pronunciandosi sulla legittimità dell'art. 18 Sta. Lav..

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