I tempi della riproposizione in appello di domande (ed eccezioni) non accolte
09 Maggio 2018
Premessa
L'ordinanza n. 29499/2017, dopo aver constatato l'erroneità della pronuncia di inammissibilità dell'appello incidentale (attesa la bastevolezza della riproposizione delle domande ex art. 346 c.p.c. – v. Cass. civ., Sez. Un., 19 aprile 2016, n. 7700, in Guida al dir., n. 30/2016, 55) ed aver tuttavia rilevato la tardività della costituzione in appello della ricorrente per cassazione, ha chiesto alle Sezioni Unite se, con riferimento al rito vigente ante novella del 2005, la riproposizione ex art. 346 c.p.c., da parte dell'appellato vittorioso, delle domande non accolte possa essere svolta sino all'udienza di precisazione delle conclusioni di cui all'art. 352 c.p.c., o se debba, piuttosto, essere compiuta entro i venti giorni antecedenti l'udienza di citazione. Il contrasto tra dottrina e giurisprudenza
Al quesito se la riproposizione, da parte dell'appellato vittorioso, delle domande (ed eccezioni) non accolte debba essere compiuta entro precisi limiti temporali non si è univocamente risposto. La giurisprudenza ha seguito, anche successivamente all'entrata in vigore delle l. nn. 353/1990 e 534/1995, un orientamento prevalentemente liberale, favorevole allo svolgimento dell'attività di cui all'art. 346 c.p.c. sino all'udienza di precisazione delle conclusioni (v., da ultima, Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2017, n. 18388). Militavano, a favore di detto indirizzo, sia l'omesso rinvio, dell'art. 347 c.p.c., alle decadenze di cui agli artt. 167 e 180 (nella versione vigente ratione temporis), sia l'assenza di corrispondenza in jure positivo tra primo grado e giudizio di appello (non rinvenendosi, in quest'ultimo, quella scissione, allora riscontrabile in primo grado, tra udienza di prima comparizione e udienza di trattazione della causa). Di diverso avviso è stata, invece, insieme a certa giurisprudenza (v., da ultima, Cass. civ., Sez. III, 22 novembre 2016, n. 23727, in Dir. e giust., 22.11.2016), la dottrina maggioritaria, che, per esigenze di par condicio delle parti del giudizio di appello e di simmetrica disciplina dei due gradi di merito, ha escluso la riproponibilità di domande non accolte per la prima volta all'udienza di precisazione delle conclusioni (v., ad es., Attardi, Le nuove disposizioni sul processo civile, Padova, 1991, 151; contra, Balena, Il sistema delle impugnazioni civili nella disciplina vigente e nell'esperienza applicativa: problemi e prospettive, in Foro it., 2001, V, 125-126). Nel rimettere la quaestio alle Sezioni Unite, la pronuncia n. 29499/2017 ha avallato – con specifico riguardo alle domande, e non anche alle eccezioni, non accolte, e in relazione al regime dettato dalla l. n. 534/1995 – l'indirizzo rigorista. In particolare, stando al dictum in epigrafe, mentre le eccezioni sarebbero riproponibili sino all'udienza di precisazione delle conclusioni, le domande sarebbero riformulabili soltanto con la comparsa di costituzione e risposta depositata nei venti giorni antecedenti l'udienza di cui all'art. 350 c.p.c.. In conclusione
Il principio di preclusione, che, sbarrando l'ingresso allo «stillicidio delle difese ritardate in malafede»(Calamandrei, Osservazioni e proposte sul Progetto di Codice di procedura civile, I, Roma, 1938, 49), preserva l'ordinato svolgimento del giudizio, è soggetto ai limiti – imposti dall'incisivo effetto, che allo stesso si correla, di consumare facoltà e poteri processuali – della doverosa tipizzazione espressa (art. 111, comma 1, Cost., nonché artt. 152 c.p.c. e 173 c.p.p.; in questo senso, Carratta, Il fondamento del principio di preclusione nel processo civile, in Marafioti-Del Coco (a cura di), Il principio di preclusione nel processo penale, Torino, 2012, 26), della salvaguardia delle prerogative difensive delle parti (Carratta, op. ult. cit., 29, che evidenzia la dovuta congruità delle norme che prevedono decadenze), della contestuale immanenza al sistema di un meccanismo che consenta la rimessione in termini al verificarsi di fatti non imputabili (v., con riguardo al cd. overruling, Cass. civ., Sez. Un., 11 luglio 2011, n. 15144, in Foro it., 2011, 12, I, 3343 e Cass. civ., Sez. Un., 12 ottobre 2012, n. 17402, in Giust. civ. Mass., 2012, 10, 1203, che pur avallano il discutibile distinguo tra mutamento giurisprudenziale “prevedibile” e “non prevedibile” – v., sul punto, le condivisibili considerazioni di Consolo, Le Sezioni Unite tornano sull'overruling, di nuovo propiziando la figura dell'avvocato “internet-addicted” e pure “veggente”, in Giur. cost., n. 4/2012, 3166). Ora, non è dato rinvenire, nell'ordito codicistico, una norma che espressamente correli, al mancato esercizio – nei venti giorni antecedenti l'udienza – della facoltà di riproporre domande (ed eccezioni), la sua consumazione. Il dato testuale milita in senso contrario all'operatività di barriere preclusive. Se la rubrica dell'art. 346 c.p.c. parla in termini di «decadenza dalle domande e dalle eccezioni non riproposte», l'enunciato normativo prevede una generica presunzione di rinuncia a domande ed eccezioni assorbite e non riformulate, senza fornire coordinate temporali (v., analogamente, con riferimento al processo tributario, l'art. 56 d.lgs. n. 546/1992; Cass. civ., sez. trib., 12 agosto 2004, n. 15641, in Giust. civ. Mass., 2004, 7-8). A contrario, dall'art. 343 c.p.c. si desume che il termine decadenziale dei venti giorni anteriori all'udienza non vale per le attività diverse dall'appello incidentale. L'art. 347 c.p.c. è norma in bianco (Andrioli, Commento al codice di procedura civile, II, Napoli, 1956, 461), che non menziona preclusioni. Indici testuali non si evincono neppure dagli artt. 348-bis e 348-ter c.p.c., che riguardano i soli appelli principale e incidentale, e non l'attività di riproposizione di cui all'art. 346 c.p.c., e si collocano in un momento, logicamente e cronologicamente, antecedente rispetto alla disamina delle domande ed eccezioni assorbite in primo grado (che presuppongono il positivo esito del giudizio di “ragionevole probabilità” di accoglimento). Nulla si legge neanche nell'art. 352 c.p.c., che, pur promuovendo – con l'applicazione del modulo di cui all'art. 281-sexies c.p.c. – il principio di concentrazione, non impone la costituzione in giudizio dell'appellato venti giorni prima dell'udienza di citazione. La congruità e, quindi, la ragionevolezza del predetto termine dipende, poi, dal bilanciamento tra gli aggravati oneri processuali dell'appellato e i correlati benefici difensivi dell'appellante. E, se difficilmente i tempi del giudizio possono migliorare in virtù dell'anticipazione, nel senso che si è detto, dell'attività di cui all'art. 346 c.p.c., parimenti complesso è immaginare particolari benefici per l'appellante. Questi è, infatti, comunque onerato a dire ‘tutto e subito' nella citazione in appello (art. 342 c.p.c.); può, poi, controbattere alle domande riproposte ex adverso (e riformulare a sua volta eventuali domande o eccezioni già svolte in primo grado e assorbite, che si correlino all'attività ex art. 346 c.p.c. di controparte) nella stessa udienza in cui ha luogo la riproposizione avversaria e, a seguire, negli scritti conclusionali (rispetto ai quali la trattazione orale è recessiva: Cass. civ., sez. I, 13 marzo 2009, n. 6205, in Giust. civ., 2009, 7-8, I, 1510). Le domande ‘riproposte' – espressione di un'attività altra dall'esercizio di poteri impugnatori – non sono estranee al materiale di causa, né ignote alle altre parti, che sulle stesse hanno già preso posizione in primo grado. Neppure sembra trascurabile l'incidenza, sulla parte incolpevole, di un cambiamento in corso delle regole del gioco. L'introduzione di preclusioni processuali, di là dalle ipotesi espressamente previste, deve fare, inevitabilmente, i conti con la tutela della parte che, legittimamente confidando nell'indirizzo pretorio consolidato, non abbia riproposto domande (ed eccezioni) prima dell'udienza di precisazione delle conclusioni.
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