Giudizio tributario, prova testimoniale ammessa
22 Maggio 2018
Massima
Il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi, con valore di elemento indiziario, va riconosciuto nel giudizio tributario. Il divieto di prova testimoniale di cui all'art. 7 del D.Lgs. n. 546/1992 si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica l'impossibilità di utilizzare, ai fini della decisione, le dichiarazioni che gli uffici finanziari sono autorizzati a richiedere ai privati nella fase amministrativa di accertamento. Si prende spunto dalla recente sentenza n. 6616/2018 della Corte di Cassazione per fare il punto sulla ammissibilità o meno della prova testimoniale nel processo tributario. Il caso
Il contribuente ha impugnato l'avvisato di accertamento per Irpef, addizionali ed Irap anno di imposta 2007 emessa in seguito a controllo automatizzato eccependo l'infondatezza del recupero disposto dall'Agenzia delle entrate. I giudici di primo grado hanno respinto il ricorso, mentre quelli di appello lo hanno accolto ritenendo illegittimo il recupero a tassazione disposto dall'Amministrazione finanziaria. Quest'ultima ha proposto ricorso per Cassazione eccependo la violazione dell'art. 7, comma 4, del D. Lgs. n. 546/1992, che dispone il divieto della prova testimoniale nel giudizio tributario; la decisione della CTR avrebbe conferito rilievo probatorio a dichiarazioni rese da terzi, che possono assumere valenza indiziaria, senza che tali indizi fossero suffragati da ulteriori riscontri.
La Suprema Corte, investita della controversia, ha ritenuto che nel processo tributario il divieto di prova testimoniale posto dall'art. 7 del D. Lgs. n. 546/1992 si riferisce alla prova testimoniale da assumere con le garanzie del contraddittorio e non implica, quindi, l'impossibilità di utilizzare, per la decisione. A parere dei giudici le dichiarazioni che gli organi dell'Amministrazione finanziaria sono autorizzati a richiedere “anche ai privati” nella fase di accertamento, assurgono a elementi indiziari che possono concorrere a formare il convincimento del giudice. Quanto precede vale in modo analogo per il contribuente, il quale, nel caso in esame, aveva prodotto, già in sede di accertamento con adesione, un considerevole numero di dichiarazioni di terzi.
La questione
Si deve partire dalla natura giuridica del rito tributario che, com'è noto, è un processo documentale per cui dall'introduzione del D.Lgs. n. 546/1992, entrato in vigore nel 1996, non sono ammessi la prova testimoniale e il giuramento. Indubbiamente la natura potestativa e l'esigenza di speditezza si conciliano razionalmente con tale disposizione che nega espressamente sia il giuramento che la prova testimoniale. Ma occorre notare che i dubbi sulla legittimità del divieto costituzionale della testimonianza nell'ambito del processo tributario permangono a distanza di anni dall'introduzione di quest'ultimo.
Poteri del giudice tributario L'articolo 7, comma 4, del D.Lgs. n. 546/1992 dispone che “Non sono ammessi il giuramento e la prova testimoniale”, sancendo, quindi, un divieto perentorio in merito all'ammissibilità delle prove testimoniali nel processo tributario. Il suddetto principio di divieto comunque è soggetto a limitazioni che la giurisprudenza ha riconosciuto nel corso degli anni. Tale divieto risulta venire meno in presenza di dichiarazioni rese dai terzi (es. l'atto notorio contenente le dichiarazioni rese dal genitore del contribuente;), ponendosi il problema circa la loro utilizzabilità nel processo tributario. Secondo un indirizzo giurisprudenziale ormai consolidato, le dichiarazioni di terzi sono ammesse nel processo fiscale, non a titolo di fonti di prova in senso proprio, ma piuttosto a titolo di sussidio all'accertamento, che deve, comunque, essere sostenuto da ulteriori elementi. Il giudice tributario deve attribuire a tali dichiarazioni (es: acquirenti di appartamenti), pur non assurgendo a prova decisiva, il ruolo di elemento indiziario, da valutare unitamente agli altri elementi, ad esempio le presunzioni, la documentazione acquisita, le movimentazioni finanziarie, la mancata contestazione dell'Amministrazione. In altri termini, le dichiarazioni testimoniali, se non possono costituire prova nel processo tributario, in virtù del divieto contenuto nell'art. 7, comma 4, D.Lgs. n. 546/1992, possono confermare il quadro accusatorio in mano al giudice. Le soluzioni giuridiche
I giudici di legittimità hanno affermato che l'attribuzione della valenza della dichiarazione di terzo estesa anche al contribuente è in linea con il principio del giusto processo (art. 6 della Convenzione dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali – CEDU), relativamente all'irrogazione nel processo tributario di sanzioni assimilabili a quelle penali. Secondo la Corte tale dichiarazione può essere usata facendo delle distinzioni sulla natura confessoria o meno della stessa; la confessione se considerata attendibile – diversamente da una dichiarazione semplice priva di natura confessoria che può rappresentare un mero elemento indiziario – può essere idonea da sola a motivare l'avviso di accertamento, in quanto dotata dei requisiti di gravità, precisione e concordanza. A parere della Suprema Corte, nel caso che occupa, la valenza delle dichiarazioni indiziarie era stata riconosciuta, peraltro, dalla stessa CTR non già sulla base del solo numero in sé delle dichiarazioni, ma sulla rappresentatività delle stesse rispetto al numero complessivo delle operazioni in accertamento e, quindi ina modo implicito, sull'assenza di contestazione delle dichiarazioni medesima da parte dell'amministrazione finanziaria. Alla luce di quanto sopra, ribadendo l'ammissibilità delle dichiarazioni di terzo nel giudizio tributario, la Corte ha respinto il ricorso dell'Ufficio con relativa condanna alle spese processuali.
Giurisprudenza La giurisprudenza di legittimità, richiamando un principio espresso dai giudici delle leggi (sent. n, 18/2000), ha ritenuto che il potere di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale, con il valore degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice non sono idonei a costituire da soli, il fondamento della decisione, deve essere riconosciuto non solo all'Amministrazione, ma anche al contribuente, con lo stesso valore probatorio. In tal modo viene data concreta attuazione ai principi del giusto processo, come riformulati nel nuovo testo dell'art. 111 Cost, al fine di garantire il principio della parità delle parti processuali nonché l'effettività esercizio del diritto di difesa (Cass. n. 18065/2016) Tale potere va riconosciuto non solo all'Amministrazione ma anche al contribuente, con lo stesso valore probatorio, dando in tal modo concreta attuazione al principio del giusto processo di cui all'art. 111 Costituzione Le dichiarazioni rese dai terzi hanno un'efficacia diversa da quelle testimoniali, dovendosi necessariamente riconoscere anche al contribuente lo stesso potere di "introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale”, in attuazione del principio del giusto processo come riformulati nel nuovo testo dell'art. 111 della Costituzione, per garantire il diritto delle parti nonché l'effettività del diritto di difesa (cfr. Cass. civ., n. 5018/2015; n. 11785/2014). Le dichiarazioni del terzo hanno valore meramente indiziario, valore posto a garanzia del contribuente che non cambia con la trasposizione nel processo verbale di constatazione 8Cass. nn. 25291/2017; 7271/2017) La giurisprudenza di merito, rispetto alla inammissibilità nel processo tributario della prova testimoniale, ha ritenuto che le dichiarazioni di terzi, raccolte in sede procedimentale, hanno natura di informazioni acquisite durante le indagini amministrative e valore indiziario utilizzabile insieme agli altri elementi della stessa natura per formare il convincimento del giudice (cfr. CTR Lazio n. 2284/2015).
Nel processo tributario le dichiarazioni rese dal terzo, acquisite dai verificatori durante le attività ispettive, hanno valore di mero indizio e concorrono a formare il convincimento del giudice solo se vengono confermate da altri elementi di prova (cfr.. Cass. civ., n. 9876/2011). In assenza di ulteriori indizi raccolti nel corso della verifica fiscale, quindi, l'accertamento che si fondi esclusivamente su tali dichiarazioni è illegittimo, costituendo le stesse presunzioni semplici, sfornite di quei caratteri di gravità, precisione e concordanza tali da potersi configurare come prove (CTR Lombardia n. 2376/2017). Osservazioni
Il perdurare di tale divieto non conferisce dignità al processo tributario caratterizzato dal principio della soccombenza e dalla valenza della prova documentale. Appare condivisile, quindi, l'orientamento espresso dal giudice di legittimità nella decisione in oggetto secondo cui è ammessa, al fine di garantire la parità delle parti processuali, la possibilità per il contribuente e l'ufficio la possibilità di introdurre dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale con valenza di elementi indiziari (rectius: atto notorio contenente le dichiarazioni rese dal genitore del contribuente).
Il divieto della prova testimoniale è da considerare una norma di natura eccezionale che non può applicarsi oltre i casi considerati; tuttavia si auspica che in una prossima imminente riforma del rito tributario sia presa in esame la possibilità di inserire la prova testimoniale. Quanto precede al fine di poter porre le parti processuali su un piano di assoluta parità, in attuazione del principio del giusto processo In tal senso recentemente è stata avanzata una proposta emendativa anche dal Consiglio nazionale dell'ordine degli avvocati affinché sia introdotta la prova testimoniale, anche al fine di conferire ancora di più la natura di mero processo al giudizio tributario, al pari degli altri processi civile e amministrativo. |