Sbavature di calamo a proposito di specificità dei motivi di ricorso e “filtro”

23 Maggio 2018

Con la pronuncia in commento la Suprema Corte affronta la questione dell'onere di specificità dei motivi di ricorso, previsto a pena di inammissibilità dall'art. 366, n. 4, c.p.c..
Massima

Ove col ricorso per cassazione si denunci la violazione o la falsa applicazione di norme di diritto, processuali o sostanziali, il principio di specificità dei motivi di cui all'art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c. deve essere letto in correlazione col disposto dell'art. 360-bis n. 1 c.p.c.; è pertanto inammissibile per difetto di specificità, ai sensi dell'art. 366, comma 1, n. 4 c.p.c. in relazione all'art. 360-bis n. 1 c.p.c., il motivo di ricorso che, nel denunciare la violazione di norme di diritto, ometta di raffrontare la ratio decidendi della sentenza impugnata con la giurisprudenza della Corte e, ove la prima risulti conforme alla seconda, ometta di fornire argomenti per mutare giurisprudenza.

Il caso

Un privato conviene in giudizio una società onde sentirla condannare al risarcimento del danno per la perdita di panorama e di soleggiamento, derivata a un fabbricato di sua proprietà, posto in una nota località turistica, dalla sopraelevazione - asseritamente abusiva - di un complesso alberghiero.

Nella resistenza della convenuta, l'adito tribunale accoglie la domanda e la decisione viene confermata dalla Corte d'appello.

La società ricorre per cassazione, censurando la decisione, tra l'altro, per violazione degli artt. 871, 872, 2697, 2043 e 1226 c.c., essendo stato il danno liquidato equitativamente in modo arbitrario.

La questione

Il profilo affrontato dall'ordinanza mette assieme due istituti.

Il primo attiene all'onere di specificità dei motivi di ricorso, previsto a pena di inammissibilità dall'art. 366, n. 4, c.p.c.: «Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità (..): 4) i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l'indicazione delle norme di diritto su cui si fondano, secondo quanto previsto dall'articolo 366-bis» (Tale ultima disposizione – l'art. 366-bis – è stata abrogata, come noto, dall'art. 47, comma 1, lett. d), della l. 18 giugno 2009, n. 69).

Il secondo attiene al cd. filtro del precedente (art. 360-bis, n. 1, c.p.c.), che la legge n. 69/2009 ha introdotto in sostituzione dell'anteriore filtro a quesiti: «Il ricorso è inammissibile: 1) quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l'esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l'orientamento della stessa».

Le soluzioni giuridiche

La Suprema Corte reputa inammissibile il motivo (così come tutti gli altri), imputando alla ricorrente di non aver osservato il principio di specificità ai sensi dell'art. 366, n. 4, c.p.c. in ordine al possibile raffronto tra la regola giuridica applicata dal giudice di merito e la giurisprudenza della Corte rilevante ai sensi dell'art. 360-bis c.p.c..

Il provvedimento in rassegna reputa di poter compenetrare il significato (e la funzione) delle due previsioni, affermando che il motivo di ricorso, per essere specifico nel senso di cui all'art. 366, n. 4 c.p.c., ove la pronuncia impugnata risulti conforme alla giurisprudenza di legittimità, deve contenere argomenti per contrastare l'indirizzo giurisprudenziale seguito in concreto; sicché difetta di specificità un motivo che si limiti a denunciare la violazione o falsa applicazione di norme di diritto, senza prendere chiaramente in esame il contenuto precettivo delle norme che si assumono violate, lette alla luce dell'interpretazione della giurisprudenza della Corte.

Nel contempo sarebbe aspecifico - secondo il Collegio - il motivo che, pur tenendo conto di tale giurisprudenza, non si curi di raffrontare con essa la ratio decidendi della decisione impugnata. O ancora il motivo che, pur avendo operato tale raffronto, all'esito del quale risulti che la sentenza impugnata ha deciso in modo conforme alla giurisprudenza della Corte, ometta poi del tutto di offrire argomenti per contrastarla.

In tutti questi casi - si dice - il motivo formula critiche non intelligibili, perché non consente di comprendere in cosa risieda il preteso errore di diritto del giudice a quo, e in cosa consista la denunciata violazione della legge sostanziale o processuale. Sicché un motivo del genere andrebbe dichiarato inammissibile per difetto di specificità ai sensi dell'art. 366 n. 4 c.p.c., risultando esso inidoneo (con riferimento a quanto preteso dall'art. 360-bis n. 1 c.p.c.) al raggiungimento dello scopo di ottenere la cassazione della decisione impugnata.

L'ordinanza puntualizza che una tale inammissibilità non dipende «dalla manifesta infondatezza del motivo rispetto alla giurisprudenza della Corte, come quella di carattere "meritale" prevista dall'art. 360-bis n. 1 c.p.c.», ma «dalla incompleta redazione del motivo, che risulta privo del carattere della "specificità" necessario per costituire una "vera" ed "intellegibile" critica della decisione impugnata: si tratta, dunque, di una inammissibilità di carattere "processuale", che discende dalla violazione del precetto di cui all'art. 366 n. 4 c.p.c.».

Osservazioni

In disparte il lessico (l'aggettivo “meritale” si ritrova, a volte, in qualche approssimativo passaggio della lingua curiale, ma non trova riscontro nel vocabolario italiano), la tesi sostenuta nell'ordinanza non ha il minimo fondamento.

Motivata in quindici cartelle dense di ripetizioni, questa tesi finisce col confondere in un indistinto esame istituti aventi ciascuno una propria funzione. Ed è bene sottolinearlo con una certa forza, perché la Cassazione, gravata da pendenze non riscontrate in nessun altro ordinamento, di tutto ha bisogno fuorché della confusione di concetti.

La ratio del principio di specificità dei motivi (art. 366, n. 4 c.p.c.) riflette la portata del ricorso per cassazione quale mezzo di impugnazione ordinaria a critica vincolata e a cognizione limitata ai motivi fatti valere in giudizio. E per quanto sia improprio discorrere di un vero effetto devolutivo in sede di legittimità, resta che l'elencazione tassativa dei motivi serve solo a circoscrivere l'ambito dei vizi denunziabili in cassazione.

Per tale via, essa segna il limite della cognizione della Corte.

Ciò spiega l'affermazione, costante in giurisprudenza, secondo la quale i motivi per i quali si chiede la cassazione della sentenza non possono essere affidati a deduzioni generali o ad affermazioni apodittiche, con le quali la parte non prenda concreta posizione, articolando specifiche censure esaminabili dal Giudice di legittimità, sulle singole conclusioni tratte dal giudice del merito in relazione alla fattispecie decisa.

Invero il ricorrente ha l'onere di indicare con precisione gli asseriti errori contenuti nella sentenza impugnata in quanto, per la natura di giudizio a critica vincolata propria del processo di cassazione, il singolo motivo assolve alla funzione condizionante il devolutum della sentenza impugnata, con la conseguenza che il requisito fondamentale non può ritenersi soddisfatto qualora il ricorso per cassazione (principale o incidentale) sia basato sul mero richiamo dei motivi di appello. É ovvio, difatti, che una tale modalità di formulazione del motivo renderebbe impossibile individuare la critica mossa a una parte ben identificabile del giudizio espresso nella sentenza impugnata, e sarebbe carente nella specificazione delle deficienze e degli errori asseritamente individuabili nella decisione.

Sennonché questo con l'art. 360-bis, n. 1, c.p.c. non ha niente da spartire.

L'art. 360-bis, n. 1, così come le Sezioni Unite hanno da ultimo riconosciuto (v. Cass. civ., Sez. Un., 21 marzo 2017, n. 7155), e come – sia consentito dire – noi avevamo sostenuto fin dal 2010 (cfr. F. Terrusi, Il filtro di accesso al giudizio di cassazione: la non soddisfacente risposta delle sezioni unite, in Giust. civ. 2011, 403 e seg.; di recente, volendo, F. Terrusi, Sesta sezione e art. 360-bis c.p.c., in La riforma del giudizio di cassazione, a cura di A. Didone e M. Di Marzio, Milano 2017, 135 e ss.), si correla alle ben distinte ragioni del “filtro” interno alla Corte, e dunque serve alla funzione selettiva dei ricorsi.

Le ragioni del “filtro” sono legate non alla identificazione del quid disputandum, ma alla questione della nomofilachia, che, nella costante giustapposizione tra ius constitutionis e ius litigatoris, implica la possibilità di determinare con tendenziale immediatezza innanzi tutto l'ordine delle priorità decisionali.

In relazione al ius constitutionis - che rileva per la cd. nomofilachia positiva (cfr. in particolare F.P. Luiso, Il vincolo delle Sezioni semplici al precedente delle Sezioni Unite, in Giur. it. 2003, 821, n. 8) - la questione giuridica evinta dal ricorso si impone solo se la decisione possa infine risultare paradigmatica in vista della soluzione di casi simili, e se possa con ciò determinare un adeguamento (quando non un mutamento) della giurisprudenza della Corte di legittimità.

La prospettiva che ha legittimato nel sistema processuale l'art. 360-bis c.p.c. è dunque propriamente questa: che, ove la controversia possa essere risolta in base a principi delineati da una giurisprudenza già consolidata, la questione di diritto posta dal ricorso per cassazione può considerarsi, per lo meno nelle linee generali, già risolta; sicché essa non assume più una diretta rilevanza sul piano del ius constitutionis ma rimane legata al perseguimento del solo specifico scopo per il quale il ricorso è stato proposto dalla parte (ius litigatoris).

Ebbene in questa ben delimitata prospettiva la procedura del “filtro” in Cassazione, ancorata a selezionare i ricorsi col fine di promuovere la funzione nomofilattica, postula l'elevazione a sistema dei precedenti arresti della stessa Corte. E dunque prevede di dichiarare il ricorso inammissibile, e non semplicemente “manifestamente” infondato, quando il provvedimento ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l'esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l'orientamento della Corte stessa.

Ne consegue che ove ciò sia - vale a dire ove il motivo di ricorso si risolva in una generica critica alla decisione di merito che si sia uniformata alla giurisprudenza della Corte, senza indicazione di argomenti idonei a mutare o per altra via a confermare (dopo ulteriore ponderata riflessione) quella giurisprudenza - il ricorso è inammissibile perché inidoneo a superare il “filtro” (art. 360-bis, n. 1).

Altro è questo, altro è dire che il motivo è a tal punto generico da non consentire neppure di identificare il disputandum (art. 366, n. 4 c.p.c.).

In tal caso l'inammissibilità attiene all'impossibilità di determinare l'ambito della cognizione della Corte, per l'elementare ragione che anche la valutazione ai fini del filtro postula un motivo comunque specifico ai fini dell'art. 366 c.p.c..

La sbavatura insita nell'argomentare dell'ordinanza in rassegna, quando non la plateale confusione di concetti, è quindi evidente.

É tuttavia opportuna una chiosa conclusiva.

Solo a pagina 15 della motivazione l'ordinanza ha cura di indicare in cosa consistesse il motivo di ricorso di cui si discuteva.

Lo fa dicendo che il ricorrente aveva lamentato che la Corte d'appello avesse «liquidato equitativamente il danno in modo arbitrario», gravando la decisione per violazione di norme di diritto (artt. 871, 872, 2697, 2043 e 1226 c.c.).

Se ne desume che la parte ricorrente aveva prospettato la cassazione della sentenza in contrasto col principio – questo sì assolutamente costante – per cui la valutazione equitativa del danno, in quanto inevitabilmente caratterizzata da un certo grado di approssimatività, è suscettibile di rilievi in sede di legittimità sotto il profilo del vizio della motivazione: se difetti totalmente la giustificazione che quella statuizione sorregge, se la decisione macroscopicamente si discosti dai dati di comune esperienza o se sia radicalmente contraddittoria (Cass. civ., 26 gennaio 2010, n. 1529, Cass. civ., 19 maggio 2010, n. 12318, Cass. civ., 19 ottobre 2015, n. 21087 e molte altre).

Sol per tale ragione - e dunque con pochissime righe - il motivo avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile.

É davvero paradossale, invece, che l'ordinanza in rassegna abbia dedicato quindici cartelle a una questione niente affatto rilevante in vista della soluzione del ricorso, così infrangendo entrambi i principi ai quali andrebbe associato il paradigma decisionale di una Corte Suprema: quello di efficienza, che postula la capacità di operare in tempi rapidi in modo proporzionato alla rilevanza del problema da risolvere; e quello di efficacia, che suppone di operare con decisioni certe e non mutevoli, correttamente interpretando ciò che è conforme all'interesse principale.

Guida all'approfondimento
  • AA.VV., Il giudizio di legittimità dopo le riforme, in Le riforme del processo civile, a cura di A. Didone, Milano 2014;
  • AA.VV. La riforma del giudizio di cassazione, a cura di A. Didone e M. Di Marzio, Milano 2017.

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