Smart working quale misura strutturale di conciliazione tra vita professionale e privata dei lavoratori

Stefano Passerini
01 Giugno 2018

L'attuale cambiamento socio/economico vede il welfare aziendale quale novità capace di impattare positivamente sui sistemi organizzativi delle aziende. Le imprese che pongono in essere politiche di conciliazione vita-lavoro e welfare aziendale sono sempre più numerose e riscontrano, in genere, una maggior fidelizzazione e un miglioramento del clima aziendale.
Introduzione

L'attuale cambiamento socio/economico vede il welfare aziendale quale novità capace di impattare positivamente sui sistemi organizzativi delle aziende.

Le imprese che pongono in essere politiche di conciliazione vita, lavoro e welfare aziendale, più in generale, sono infatti sempre più numerose perché hanno compreso come questo possa diventare una leva strategica nella gestione delle risorse umane. Un'azienda più attenta alle esigenze personali/familiari dei propri dipendenti, generalmente, ne riscontra una maggior fidelizzazione, un miglioramento del clima aziendale, della sua percezione sia all'interno verso i suoi dipendenti che all'esterno verso gli stakeholders con i quali interagisce nel mercato (clienti/fornitori).

Nell'ambito delle politiche di welfare, il “lavoro agile” o altrimenti detto “smart working” è una soluzione organizzativa che consente, anche attraverso l'uso delle tecnologie, di lavorare in tempi e spazi diversi da quelli definiti come “sede aziendale” e ”normale orario di lavoro”, contemperando obiettivi aziendali ed esigenze personali di work-life balance.

Il cambiamento organizzativo è elemento centrale dello smart working; infatti, rappresenta un nuovo modello di lavoro che impatta su tutti i concetti classici dell'organizzazione aziendale, forzando un ripensamento del concetto di lavoro stesso, al passo con il progresso tecnologico, con i cambiamenti sociali.

Una chiave del successo è il management che deve essere ingaggiato anzitutto attraverso il superamento della visione pregiudiziale dello smart working quale mero supporto per coloro che hanno esigenze personali.

Stereotipi quali “presenzialismo”, “controllo”, “mansionario”, “adempimento”, vanno superati anzitutto dalle direzioni aziendali, poiché i cambiamenti culturali ed organizzativi passano attraverso l'utilizzo di nuovi paradigmi connessi alla fiducia, agli obiettivi, alla premialità, alla flessibilità, al valore delle differenze e delle competenze e tutto ciò può coinvolgere non solo i “colletti bianchi”, ma anche le “tute blu” che possono lavorare in smart working, di tempo e non di luogo, attraverso un'efficiente flessibilizzazione degli orari di lavoro laddove l'organizzazione produttiva lo consente.

L'impatto organizzativo influisce anche sulla razionalizzazione degli spazi di lavoro che non consistono in una mera revisione del layout aziendale ma sono anche e soprattutto una modalità diversa di concepire il lavoro che mette le persone nelle condizioni di individuare spazi e tempi più coerenti con l'attività che devono svolgere favorendone una sempre maggior responsabilizzazione.

Da almeno un triennio numerosi casi di policy aziendali e regolamenti avevano, di fatto, anticipato la regolamentazione dello smart working, al punto che nel nostro Paese il legislatore ha sentito l'esigenza di una specifica disciplina concretizzatasi nella L. 22 maggio 2017, n. 81 che di seguito andremo ad esaminare.

Uno sguardo all'Europa

Prima di esaminare lo smart working nel nostro Paese, diamo un'occhiata veloce a cosa accade relativamente allo smart working in Europa, dove con la Risoluzione del 13 settembre 2016, inerente la creazione di condizioni del mercato del lavoro favorevoli all'equilibrio tra vita privata e vita professionale, il Parlamento Europeo ha voluto evidenziare l'importante ruolo della conciliazione vita-lavoro per l'Unione Europea. Tuttavia, la Commissione Europea non si è ancora attivata nell'approvazione di una direttiva che dia effetto a questi principi.

Nell'ambito di CEEMET, l'Associazione Europea che raggruppa le Federmeccaniche dei più importanti Paesi del continente, ho avuto occasione di fare una sintetica ricognizione di come è regolamentato lo smart working all'interno dei Paesi che hanno riconosciuto avere almeno uno strumento similare.

È infatti anzitutto emerso che il termine “smart working” è usato solo in Italia in quanto negli altri Paesi europei lo “smartworker” è chiamato semplicemente “lavoratore privo di sede fissa di lavoro” il cui rapporto di lavoro non possiede una disciplina ad hoc.

Alcuni Paesi disciplinano il “telelavoro” che, ancorchè assimilabile allo smart working, come noto è un istituto giuridico diverso, con sue caratteristiche peculiari, mentre lo smart working per la quasi totalità dei Paesi europei è una “situazione di fatto”.

La Gran Bretagna è stato il primo Paese ad aver introdotto una specifica legge sul cd. “flexible working”, i cui contenuti disciplinano istituti ancora una volta diversi dallo smart working come inteso nella legge italiana.

Approvata nel 2014, la Flexible Working Regulation prevede che tutti i dipendenti con anzianità di servizio almeno pari a 26 settimane, abbiano il diritto di richiedere forme di flessibilità che i datori di lavoro possono rifiutare solo a fronte di fondate motivazioni. Tali richieste possono riguardare ad esempio il Job sharing (la possibilità che più soggetti condividano un unico posto di lavoro), il lavoro da casa, il part-time, la settimana di lavoro corta, o orari flessibili individuali.

In Belgio, Agoria (la Federmeccanica belga) ha elaborato delle Linee Guida sul telelavoro.

Nel definire le diverse tipologie di lavoratori in telelavoro ha identificato, fra gli altri, i lavoratori “nomadi” suddivisi in due categorie: “nomadi sconnessi” che passano l'80% del loro tempo presso i clienti o in viaggio e i “nomadi virtuali” che passano l'80% del tempo fuori o presso i clienti ma che utilizzano intensivamente le connessioni internet. Quest'ultima pare la categoria più assimilabile a quello che in Italia si intende come smart working ancorchè non vi sia una coincidenza vera e propria.

Anche Danimarca, Portogallo e Francia presentano articolate normative ma sempre e solo in materia di telelavoro, mentre lo smart working rimane confinato ad “istituto di fatto”, peraltro anche più diffuso che in Italia ma non Regolamentato.

L'Italia e la Legge 22 maggio 2017, n. 81 (artt. 18-23)

In Italia, la legge che disciplina lo smart working, è la L. n. 81/2017, in particolare gli artt. 18-23.

Possiamo, una volta tanto, andare orgogliosi di una norma “snella” che chiarisce alcune delle questioni più importanti in materia pur lasciando margini di flessibilità operativa da esercitare nel rispetto dei principi ispiratori della legge.

Definizione

Anzitutto, l'art. 18 della L. n. 81/2017 nel definire lo smart working chiarisce che non è una nuova tipologia contrattuale, bensì esso consiste in una diversa modalità di esercizio della prestazione di lavoro dipendente.

E infatti lo smart working si può applicare a vari tipi di lavoro subordinato: a tempo indeterminato, a termine, a tempo parziale, in somministrazione ecc.

Pertanto, lo smartworker è un lavoratore subordinato ai sensi degli artt. 2094 e ss. c.c. che esegue la propria prestazione lavorativa “in parte all'interno dei locali aziendali e in parte all'esterno senza una postazione fissa, entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva”.

Forma contrattuale

Con riguardo alla forma, l'art. 19 dispone che il rapporto di lavoro agile debba essere stipulato per iscritto, sia ai fini della regolarità amministrativa che della prova.

Luogo della prestazione

In questo senso, la norma lascia ampia facoltà di scelta al lavoratore che, mediante un'adeguata formazione, l'azienda può utilmente “istruire” affinchè costui sia in grado di operare una scelta consapevole e responsabile dei luoghi in cui eseguire la propria prestazione lavorativa.

Sotto questo profilo, la formazione effettuata a cura del datore di lavoro rappresenta un importante asset di prevenzione e di salvaguardia della salute e della sicurezza dello smartworker.

Il possibile utilizzo di strumenti tecnologici per lo svolgimento dell'attività lavorativa” di cui all'art. 18 della legge comporta che, nell'Accordo individuale, datore di lavoro e smartworker, al fine di preservare la riservatezza del lavoro svolto, ovvero di rinvenire una connessione wi-fi con una potenza idonea a garantire una connessione sempre stabile, possono proficuamente convenire sulla scelta di luoghi chiusi ove la prestazione può essere resa.

Per analoghe ragioni di riservatezza, le parti possono anche, al contrario, convenire relativamente all'esclusione di alcuni luoghi ove lo smartworker possa eseguire la prestazione, per esempio luoghi pubblici, ovvero luoghi aperti al pubblico.

Atteso che clausole contrattuali idonee a definire la perimetrazione dei luoghi ove è possibile ovvero è inibito eseguire la prestazione sono legittime e la loro adozione pratica può in taluni casi risultare efficace e comprensibile, ad avviso di chi scrive, un'adeguata e specifica formazione a cura del datore di lavoro dovrebbe consentire di evitare l'utilizzo di restrizioni di tipo legale nel rispetto della flessibilità dello strumento così come delineato dalla L. n. 81/2017.

Sicurezza sul lavoro

La L. n. 81/2017 contiene disposizioni finalizzate a garantire la salute e la sicurezza del lavoratore specificamente quando quest'ultimo rende la propria prestazione all'esterno dei locali aziendali mediante gli artt. 22 e 23 relativi sia all'aspetto sostanziale del rapporto di lavoro sia a quello assicurativo.

Fermi restando i principi generali di cui al D.Lgs. n. 81/2008 secondo cui il lavoratore è “tenuto a cooperare” nel rendere effettive le misure preventive che il datore di lavoro ha messo in campo per “fronteggiare i rischi connessi all'esecuzione della prestazione all'esterno dei locali aziendali”, in aggiunta, il legislatore ha fissato in capo al datore di lavoro l'obbligo di consegnare ad ogni lavoratore in smart working una "informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro”.

A tal proposito, degno di nota è il modello elaborato a cura dell'Organismo Paritetico Provinciale di Milano (costituito da Assolombarda Confindustria Milano, Monza e Brianza e CGIL, CISL e UIL Milano) che contiene una traccia non vincolante per la redazione annuale di detta Informativa prevista dall'art. 22 della legge in oggetto.

Questo schema di Informativa predisposto dall'OPP di Milano (allegato al presente articolo) intende proporre alle aziende, ed in particolare ai servizi di prevenzione e protezione e rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, indicazioni uniformi per l'adempimento dell'obbligo di legge, con l'obiettivo, altresì, di evitare la redazione di documenti eccessivamente sintetici o, viceversa, ridondanti, consistendo in un documento di due facciate che risponde a principi di “semplicità, brevità e comprensibilità”.


La prima facciata riporta una ricognizione dei rischi generali e specifici riferiti allo svolgimento della prestazione in modalità “agile”, mentre nella seconda, dato il carattere dinamico del documento, è possibile prevedere un “focus tematico” (che varia di anno in anno) su uno o più rischi specifici (es. comportamenti da seguire, scelta del luogo adatto ecc.).


Lo schema suggerisce, inoltre, un richiamo all'Accordo individuale ed alla eventuale policy aziendale, soprattutto se in questa sono indicati aspetti di dettaglio organizzativi, formativi o comportamentali.

L'Informativa deve essere consegnata oltre che allo smartworker, anche all'RLS come previsto dall'art. 22 della legge, poiché questa figura ha un ruolo specifico nel sistema di prevenzione aziendale per l'attuazione degli adempimenti previsti in materia di salute e sicurezza, anche con riferimento al lavoro agile.

Aspetti assicurativi

Per quanto concerne gli aspetti assicurativi dello smart working,il lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dipendenti da rischi connessi alla prestazione lavorativa resa all'esterno dei locali aziendali” (art. 23), ciò a conferma del fatto che lo svolgimento della prestazione di lavoro in smart working non fa venir meno il possesso dei requisiti oggettivi (lavorazioni rischiose) e soggettivi (caratteristiche delle persone assicurate) previsti ai fini della ricorrenza dell'obbligo assicurativo.

In tal senso, la comunicazione all'INAIL dell'Accordo tra le parti relativo allo svolgimento della prestazione lavorativa in modalità di lavoro agile di cui all'art. 23 della L. n. 81/2017 è presupposto fondamentale che consente all'Istituto di procedere ad assicurare la prestazione del lavoratore resa in esterno.

“Il lavoratore ha diritto alla tutela contro gli infortuni sul lavoro occorsi durante il normale percorso di andata e ritorno dal luogo di abitazione a quello prescelto per lo svolgimento della prestazione lavorativa all'esterno dei locali aziendali alle condizioni previste per il cd. infortunio in itinere, quando la scelta del luogo è dettata da esigenze connesse alla prestazione o dalla necessità di conciliare esigenze di vita a quelle lavorative e risponda a criteri di ragionevolezza” (art. 23).

Anche a questo proposito è opportuno rimarcare l'importanza di un adeguato percorso formativo finalizzato a responsabilizzare il lavoratore nella scelta dell'idoneità dei luoghi prescelti con riguardo alle condizioni di sicurezza dal momento che l'Istituto, con riferimento al cd. infortunio in itinere e ai “criteri di ragionevolezza” nella scelta del luogo ove eseguire la prestazione, sta elaborando possibili indicazioni.

Orario di lavoro

La legge prevede che il lavoro agile non debba avere vincoli di orario e che l'Accordo tra le parti debba stabilire che la prestazione venga eseguita “entro i soli limiti di durata massima dell'orario di lavoro giornaliero e settimanale, derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva” (art. 18).

L'Accordo tra le parti inoltre “individua i tempi di riposo del lavoratore nonché le misure tecniche e organizzative necessarie per assicurare la disconnessione del lavoratore dalle strumentazioni tecnologiche di lavoro” (art. 19).

Potere direttivo e potere di controllo

Nell'Accordo possono essere individuate anche “le condotte, connesse all'esecuzione della prestazione lavorativa fuori dai locali aziendali, che danno luogo all'applicazione di sanzioni disciplinari e le relative sanzioni” (art. 21) (esercizio del potere disciplinare del datore di lavoro).

In concreto si tratta di delineare i comportamenti che il lavoratore agile dovrà evitare nello svolgimento dell'attività lavorativa esterna.

A titolo esemplificativo si può citare l'inosservanza delle regole convenute nell'Accordo individuale, con riguardo ad esempio il raggiungimento degli obiettivi da conseguire durante lo svolgimento dello smart working ovvero la violazione dei comportamenti stabiliti a tutela della salute e della sicurezza.

L'art. 21 disciplina altresì l'esercizio del potere di controllo del datore di lavoro sulla prestazione del lavoratore resa fuori dai locali aziendali nel rispetto dell'art. 4 della L. n. 300/1970 (cd. controllo a distanza).

L'attenta osservanza dei limiti imposti dall'art. 4 della L. n. 300/1970 diviene fondamentale proprio dal momento che lo smartworker, per definizione, sfugge alla vista dei propri superiori a causa della sua assenza fisica dall'azienda e perciò, nella pratica, può essere utile, ai fini dell'esercizio del potere di controllo, fissare obiettivi di risultato con misurazione del raggiungimento o meno a cadenza periodica.

Può anche rivelarsi efficace, nel concreto, stabilire un monitoraggio periodico mediante un sistema di reportistica, anche in questo caso periodica, concernente le attività assegnate ed i risultati conseguiti durante le giornate di prestazione in lavoro agile.

In ogni caso il comma 2 dell'art. 4, L. n. 300/1970 esclude l'obbligatorietà dell'Accordo sindacale ovvero dell'autorizzazione amministrativa per l'impiego di strumenti idonei a controllare a distanza i lavoratori nell'esercizio delle loro attività, nell'ipotesi in cui si tratti di “strumenti utilizzati dal lavoratore per rendere la prestazione lavorativa” quali quelli tipici in uso agli smartworkers come tablet, smartphone, personal computer.

Le informazioni di cui il lavoratore agile entra in possesso in virtù dell'esecuzione della propria prestazione attraverso gli strumenti di lavoro sono utilizzabili a tutti i fini connessi al rapporto di lavoro, compreso l'esercizio del potere disciplinare, a condizione che siano rispettati i requisiti di cui al comma 3 dell'art. 4, L. n. 300/1970, consistenti nell'adeguata e preventiva informativa da parte del datore di lavoro circa l'impiego degli strumenti di lavoro e delle modalità di effettuazione dei controlli e nel rispetto del D.Lgs. n. 196/2003 in materia di Privacy durante la raccolta e l'utilizzo delle informazioni.

Il lavoro agile nella contrattazione collettiva

La L. n. 81/2017, come precedentemente evidenziato, ha mosso il baricentro della contrattazione dello smart working verso il livello individuale rispetto a quello collettivo.

Per poter attivare lo smart working è infatti sufficiente la sottoscrizione di un Accordo con il singolo dipendente, ma deve essere tuttavia considerato come, nella quotidianità della vita delle imprese in cui sono presenti rappresentanze sindacali, il rapporto tra impresa e sindacato sia una variabile da considerare.

In questo senso la dimensione relativa alla "qualità degli attori sociali e delle loro relazioni" assume un ruolo fondamentale poiché un istituto come lo smart working presuppone una “maturità gestionale e di rapporti” fondata su relazioni industriali orientate alla cultura del dialogo e della condivisione degli obiettivi e non alla diffidenza ed alla contrapposizione.

Nell'esperienza si riscontrano pertanto situazioni in cui alcune aziende introducono lo smart working, disciplinandolo attraverso un Regolamento aziendale senza prevedere il coinvolgimento delle organizzazioni sindacali, mentre altre aziende, sempre agendo in autonomia, introducono lo smart working ancora una volta attraverso un Regolamento aziendale ma solo in “fase sperimentale”; solo successivamente alla positiva conclusione di detta sperimentazione viene coinvolto il sindacato nell'intento di rendere strutturale lo strumento attraverso un Accordo collettivo.

Vi sono poi aziende che hanno relazioni sindacali consolidate, per le quali il dialogo con il sindacato è una costante, che pertanto collaborano fin dalla progettazione e realizzazione della sperimentazione, supervisionandone le evoluzioni e i risultati, per arrivare a disciplinare successivamente lo smart working nell'ambito di accordi di più ampia portata quali gli integrativi aziendali.

È interessante osservare come nella realtà le imprese che hanno introdotto lo smart working, sia che ciò sia dipeso da un Accordo di II livello ovvero da un regolamento aziendale, quasi sempre hanno evitato soluzioni iper-normative allo scopo di non “ingessare” questa nuova modalità di organizzazione del lavoro e di non depotenziarne gli effetti positivi.

Questo conferma una corretta interpretazione della L. n. 81/2017 la cui ratio è, ad avviso di chi scrive, quella di offrire alle parti un perimetro regolatorio che, nell'ambito di un rapporto di collaborazione consapevole e responsabile, hanno l'opportunità di gestirlo in modo flessibile soddisfacendo reciproci interessi.

L'Accordo sindacale del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiano

In tal senso, è stato costruito il recentissimo Accordo sindacale sullo smart working del 20 aprile 2018 siglato tra Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A. e le organizzazioni sindacali firmatarie del CCNL Mobilità/Area contrattuale attività ferroviarie del 16 dicembre 2016.

Detto Accordo, che oltre a FSI riguarda tutte le Società del Gruppo che applicano il citato CCNL del 16 dicembre 2016, presenta una serie di elementi elementi interessanti che di seguito andiamo ad esaminare.

L'intesa, rispettando il punto 15 dell'art. 23 del CCNL Mobilità/AF che prevede la promozione del lavoro agile, introduce lo smart working quale misura strutturale di conciliazione tra vita professionale e vita privata dei lavoratori.

L'avvio dello smart working, si legge nelle premesse, “agevola la focalizzazione della risorsa e del Responsabile sugli obiettivi/risultati, valorizzando il rapporto fiduciario attraverso un confronto trasparente ed evidenziando come le parti, nell'ambito di un rapporto professionale “adulto”, intendano concentrarsi sulle finalità dello strumento (obiettivi e risultati) mettendo in risalto un modello di relazione fondata sulla fiducia e sulla credibilità reciproca.

Si può ritenere che, sempre per alimentare un clima di rispetto, fiducia e trasparenza, le parti abbiano volutamente omesso di citare, almeno nell'Accordo collettivo, qualsiasi riferimento all'art. 4 della L. n. 300/1970 disciplinante il potere di controllo del datore di lavoro, ricordando i doveri del lavoratore in smart working al successivo punto 21, laddove si dice che “nello svolgimento della prestazione lavorativa in modalità smart working il comportamento della lavoratrice/lavoratore dovrà essere improntato a principi di correttezza e buona fede e la prestazione lavorativa dovrà essere svolta sulla base di quanto previsto nell'art. 56 (doveri) del CCNL della Mobilità/Area AF”.

Sempre nell'ottica di salvaguardare la ”autonomia gestionale” del rapporto responsabile/collaboratore valorizzandone i rispettivi ambiti di responsabilità, il punto 10 dell'Accordo, in tema di regolamentazione dell'orario di lavoro, demanda alle parti del rapporto individuale la distribuzione dell'orario di lavoro, che sarà concordata “tenuto conto delle esigenze della lavoratrice/del lavoratore e delle esigenze organizzative e produttive aziendali”.

In quest'ambito di flessibile autonomia, può altresì “venir concordato un intervallo” per il quale troverà applicazione un'indennità della stessa misura di quella pattuita per altri intervalli lavorativi nell'ambito del Contratto Aziendale di GruppoFS.

E ancora, nel rispetto delle intese regolatorie del regime di flessibilità oraria stabilite tra responsabile/collaboratore, il punto 11 dell'Accordo dispone che “la lavoratrice/il lavoratore sarà tenuto ad essere contattabile da parte dell'Azienda tramite gli strumenti tecnologici da essa forniti durante la/le fasce orarie che saranno concordate tra dipendente e diretto/a responsabile”; il successivo punto 12, analogamente, rinvia ad un'intesa responsabile/collaboratore la determinazione delle giornate di smart working spettanti nonché la loro pianificazione nell'arco della settimana o del mese.

È interessante, inoltre, notare come l'Accordo non espliciti il cd. “diritto alla disconnessione” da parte dello smart worker, lasciando intendere “a contrario”, al punto 14 dell'intesa, laddove si dice che “lo smart working potrà essere effettuato soltanto durante l'orario diurno compreso tra le ore 6.00 e le ore 22.00 e nei giorni feriali”, che al di fuori di questa fascia oraria e della prestazione lavorativa concordata con il proprio Responsabile il lavoratore è “libero” e quindi può non essere connesso; ciò trova conferma anche immediatamente dopo, laddove si esclude espressamente la possibilità di effettuare straordinario durante le giornate lavorative in modalità smart working.

Le parti dedicano infine uno spazio degno di nota alla formazione, sia dei Responsabili che degli smart workers, con particolare riguardo a quella relativa alla sicurezza sul lavoro.

Il punto 19 dell'Accordo dispone che antecedentemente all'inizio dello smart working venga effettuata una “specifica formazione al fine di chiarire gli obiettivi, le caratteristiche e le modalità tecniche di svolgimento della prestazione in regime di smart working”, sia in favore dei Responsabili che delle lavoratrici e dei lavoratori, “anche con specifico riferimento alle disposizioni in materia di tutela della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro”.

Il successivo punto 25 del capitolo “salute e sicurezza sul lavoro” riprende il tema della formazione preventiva ribadendo l'obbligo per l'Azienda di fornire una “formazione specifica in tema di salute e sicurezza, precisando quali sono i comportamenti al cui rispetto la lavoratrice/il lavoratore è tenuto”.

Il punto 31 chiude l'Accordo con la previsione di incontri successivi alla stipula dell'intesa “per individuare ulteriori misure di conciliazione tra vita professionale e vita privata”, confermando come nelle realtà aziendali in cui si è costruito un positivo rapporto azienda-sindacato-lavoratori, le barriere culturali rappresentate dalla resistenza ai cambiamenti, non solo possono cadere più facilmente ma, una volta cadute, lasciano spazio a processi organizzativi innovativi.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario