Ricorso in Cassazione di società cancellata: chi paga le spese?

Redazione scientifica
06 Giugno 2018

Nell'ipotesi di proposizione di ricorso per cassazione da parte dell'ex rappresentante della società cancellata dal registro delle imprese, la sua inammissibilità - derivante dalla non operatività di alcun mandato per la peculiarità del giudizio di legittimità e comunque per la necessità che quello sia conferito da un soggetto esistente e capace di stare in giudizio - comporta che sia condannato alle spese in proprio il soggetto che, spendendo la giuridicamente impossibile qualità di legale rappresentante del soggetto non più esistente, ha conferito il mandato, ove l'avvocato si sia limitato ad autenticare la relativa sottoscrizione.

Il caso. Una società in nome collettivo, originaria convenuta ed attrice in riconvenzionale, risultava cancellata dal registro delle imprese, sicchè, al momento in cui è stato proposto, il ricorso per cassazione risulta formato da un soggetto la cui giuridica esistenza era ormai irrimediabilmente venuta meno.

Ciò preclude l'esame nel merito delle doglianze dispiegate dalla ricorrente e il ricorso va dichiarato inammissibile.

Chi paga le spese processuali? A parere del Collegio, risulta a questo punto necessario identificare il soggetto tenuto a corrispondere le spese alla parte vittoriosa, atteso che il mandato speciale è stato conferito da una persona, nella spesa ma inesistente o giuridicamente impossibile qualità di legale rappresentante di una società già estinta.

L'avvocato non è tenuto ad accertare se la società è ancora viva. Nel caso di specie, la spendita della qualità di legale rappresentante della società cancellata si è avuta solo nell'intestazione del ricorso per cassazione, non anche nella formula di conferimento del mandato. Pertanto, essendosi limitato il difensore ad autenticare la sottoscrizione della ricorrente, il mandato deve ritenersi essergli stato conferito da costei in proprio e l'intervenuta cancellazione non poteva dirsi oggetto di verifica preliminare da parte dell'avvocato che autenticava quella sottoscrizione. Infatti, ricordano i Giudici, non è uno specifico dovere professionale dell'avvocato «verificare costantemente e diuturnamente la persistenza della qualità di legale rappresentante di società rivestita da una persona fisica», già a lui nota per la difesa nei gradi precedenti, anche al momento in cui ella, presentandosi a lui, gli conferisce il mandato per agire in Cassazione.

Condannata alle spese è la ricorrente, ex rappresentante della società cancellata. Ne consegue che, l'inammissibile attività processuale attivata con il ricorso va riferita alla soccombente ricorrente ed a lei va fatto esclusivo carico di ogni conseguenza di quella, tra cui la condanna alle spese in favore della controparte.

Principio di diritto. Alla luce di tali considerazioni, la Suprema Corte condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, in applicazione del seguente principio di diritto: «nell'ipotesi di proposizione di ricorso per cassazione da parte dell'ex rappresentante della società cancellata dal registro delle imprese, la sua inammissibilità - derivante dalla non operatività di alcun mandato per la peculiarità del giudizio di legittimità e comunque per la necessità che quello sia conferito da un soggetto esistente e capace di stare in giudizio - comporta che sia condannato alle spese in proprio il soggetto che, spendendo la giuridicamente impossibile qualità di legale rappresentante del soggetto non più esistente, ha conferito il mandato, ove l'avvocato si sia limitato ad autenticare la relativa sottoscrizione».

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