Particolare tenuità del fatto tra abitualità, continuazione e condotte plurime
28 Giugno 2018
Massima
La causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p. non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato configura un'ipotesi di comportamento abituale per la reiterazione di condotte penalmente rilevanti, ostativa al riconoscimento del beneficio, essendo il segno di una devianza non occasionale. Tuttavia, l'art. 131-bis c.p. può essere applicato quando le condotte ascritte all'imputato, pur naturalisticamente plurime, vadano di fatto a costituire una condotta inscindibile per l'unitario contesto spazio-temporale nel quale si collocano. Il caso
Tizia, dipendente della società che aveva in concessione i servizi cimiteriali nel Comune di Pesaro, veniva accusata del reato di cui agli artt. 81 e 314 c.p. per aver utilizzato uti dominus l'utenza assegnata alla società effettuando, nell'arco di 3 mesi, più telefonate per ragioni riconducibili al suo esclusivo interesse personale. Il giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Pesaro riteneva l'offesa al bene protetto di particolare tenuità in ragione del ridotto numero di telefonate e della durata non estesa delle stesse, e conseguentemente dichiarava non luogo a procedere per la ricorrenza della causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p. Avverso tale pronuncia interponeva ricorso per cassazione il Procuratore generale presso la Corte d'appello di Ancona deducendo la violazione di legge con riferimento all'art. 131-bis c.p. evidenziando che anche il reato continuato configura un'ipotesi di reato abituale incompatibile con la succitata causa di non punibilità. In altri termini, il ricorrente osservava che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto non può essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione. La Corte, pur aderendo all'orientamento maggioritario condiviso dal ricorrente in ordine ai rapporti tra continuazione e particolare tenuità del fatto, rigettava il ricorso sul presupposto della non ricorrenza, nel caso di specie, degli estremi del reato continuato. Infatti, il Collegio evidenziava che l'unitario contesto spazio-temporale di estrinsecazione delle azioni compiute dall'imputata, ancorchè naturalisticamente plurime, costituiva una condotta inscindibile, e come tale incompatibile con l'istituto del reato continuato e con i suoi limiti all'applicazione della causa di non punibilità introdotta dal Legislatore del 2015. La questione
Le questioni in esame sono due:
Le soluzioni giuridiche
Sui rapporti tra reato continuato e particolare tenuità del fatto, la giurisprudenza si è soffermata più volte sull'attribuzione di un preciso significato al requisito della non abitualità del comportamento, costituendo uno dei principali nodi interpretativi emersi nella prassi all'indomani della novella del 2015. Occorre infatti premettere che la questione relativa all'abitualità del comportamento, con particolare riferimento alla disposizione di cui all'art. 131-bis, comma 3, c.p., appare delicata dal momento che il Legislatore non ha definito il relativo concetto, limitandosi a menzionare una serie di ipotesi in cui il comportamento è considerato abituale ai fini dell'esclusione della causa di non punibilità. In particolare, si fa riferimento al caso in cui l'autore del reato sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza, ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché al caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Sul punto, l'interpretazione giurisprudenziale maggioritaria, condivisa anche dalla pronuncia in esame, è ferma nel ritenere che la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all'art. 131-bis c.p. non possa essere dichiarata in presenza di più reati legati dal vincolo della continuazione, in quanto anche il reato continuato, essendo manifestazione di una devianza non occasionale, integra un'ipotesi di comportamento abituale per la reiterazione di condotte penalmente rilevanti, ostativa al riconoscimento del beneficio (Cass. pen., Sez. VI, 13 dicembre 2017, n. 3353; Cass. pen., Sez. V, 15 maggio 2017, n. 48352; Cass. pen., Sez. VI, 14 novembre 2016, n. 4852; Cass. pen., Sez. II, 15 novembre 2016, n. 1; Cass. pen., Sez. III, 1° luglio 2015, n. 43816). Fondamento di tale esegesi è la circostanza che il riconoscimento della continuazione, implicando la valorizzazione di un comune e unitario schema ideativo criminoso, incide sulla valutazione del disvalore complessivo della progressione criminosa ma non esclude l'oggettiva reiterazione delle condotte, ognuna delle quali penalmente rilevante, che è ostativa al riconoscimento del beneficio della non punibilità. A diversa conclusione è invece precedentemente pervenuta una minoritaria giurisprudenza di merito e di legittimità, la quale osserva che non vi può essere una costante identificazione tra continuazione e abitualità nel reato, atteso che il Legislatore delegato, nell'introdurre la nuova causa di non punibilità, ha preferito ricorrere ad un concetto diverso da quello di occasionalità, scelta che si giustifica con la volontà di assicurare all'istituto un più esteso ambito di operatività, escludendovi solo quei comportamenti espressivi di una seriazione dell'attività criminosa e di un'abitudine del soggetto a violare la legge (Cass. pen., Sez. II, 29 marzo 2017, n. 19932; trib. Grosseto, 6 luglio 2015, n. 650; trib. Milano, 16 aprile 2015, n. 4195). Nel quadro ermeneutico così delineato la pronuncia in commento viene a collocarsi senza intenti di rottura ma solo di ulteriore specificazione di un arresto giurisprudenziale dominante.
Invece, ben più interessante, innovativa e dirompente si rivela la seconda questione oggetto della pronuncia in esame, non a caso oggetto di una più diffusa motivazione. Infatti, la Corte, recependo gli impulsi di una più recente linea interpretativa, osserva che non osta al riconoscimento del beneficio in esame la consumazione di plurime condotte naturalistiche perfezionatesi in un unitario contesto spazio-temporale, trattandosi, a ben vedere, non già di condotte plurime avvinte dal vincolo della continuazione, bensì di un'unica condotta inscindibile (Cass. pen., Sez. V, 15 gennaio 2018, n. 5358; Cass. pen., Sez. V, 31 maggio 2017, n. 35590). Tale innovativo paradigma interpretativo, progenitore di cospicui esiti pratici, supera l'obiter dictum, invero ambiguo e dalla lettura polivalente, con cui le Sezioni unite della Suprema Corte hanno valorizzato il peculiare utilizzo dell'espressione condotte plurime, non trattandosi di una mera e sciatta ripetizione di ciò che è stato definito reiterato o abituale; di talché, deve ritenersi che il Legislatore abbia voluto far riferimento a fattispecie concrete nelle quali si sia in presenza di ripetute, distinte condotte implicate nello sviluppo degli accadimenti (Cass. pen., Sez. unite, 25 febbraio 2016, n. 13681). In particolare, tale esegesi normativa, non ponendosi in diretta contrapposizione con il principio di diritto affermato dalla Sezioni unite ma piuttosto eludendolo, valorizza la distinzione tra continuazione c.d. diacronica, ossia delitti commessi in esecuzione di un disegno criminoso unitario ma in momenti spazio-temporali distinti fra loro, e continuazione c.d. sincronica, ovvero reati espressivi di una identità soggettiva-ideativa e di una comunanza materiale sotto il profilo spazio-temporale dell'azione. La reiterazione di condotte delittuose in distinte occasioni, presupponendo singole volizioni a sostegno di ciascuna azione, dimostra una pervicacia criminale che, secondo l'insegnamento della Suprema Corte espresso nella sua più autorevole composizione, non consente di stimare il fatto come occasionale (Cass. pen., Sez. unite, 25 febbraio 2016, n. 13681). Invece, l'unitarietà del contesto in cui sono poste in essere le diverse condotte illecite conferisce unità sostanziale alla volontà criminosa che le sorregge ed esprime un minor disvalore del fatto, in quanto l'agente si pone una sola volta contro l'ordinamento. In altri termini, la volontà criminosa quando regge una singola azione od anche più azioni ma poste in essere nel medesimo contesto spazio temporale, non è incompatibile con il concetto di estemporaneità dell'azione illecita rispetto alla positiva personalità del reo, posto alla base della disciplina della causa di non punibilità ex art 131-bisc.p. Osservazioni
A ben vedere la pronuncia in esame, oltre ad avvalorare ulteriormente la lettura dominante sull'applicabilità dell'istituto della particolare tenuità del fatto al reato continuato, si appropria dei risultati interpretativi della recente giurisprudenza sulla continuazione c.d. sincronica per addivenire a una soluzione inattesa là dove considera le condotte naturalistiche plurime, ma parti di un unitario contesto spazio-temporale, come un'unica condotta inscindibile. In particolare, tale sentenza, dilatando significativamente la concezione di unitarietà di contesto, supera il problema della continuazione quale indice di non occasionalità nella devianza (e del relativo sottotema tra continuazione c.d. sincronica e diacronica) e l'inciso ambiguo delle Sezioni unite della Suprema Corte sulla condotte naturalisticamente plurime, sussumendo in una condotta unitaria un'azione protrattasi più volte nel corso di 3 mesi. Se dal punto di vista dogmatico la soluzione adottata dalla Suprema Corte nella pronuncia in commento non convince pienamente, sul piano applicativo merita adesione. Sotto il profilo dogmatico, soffermandosi rapidamente sul tema della teoria generale dell'azione, la concezione normativa della condotta definisce unica la condotta anche a fronte di una pluralità di azioni sul piano epifenomenico, a condizione che la reiterazione della condotta sia contestuale e diretta verso la stessa persona offesa, ovvero anche persone distinte quando le plurime azioni contestuali attingano beni non altamente personali. Ciò considerato, non appare del tutto persuasivo desumere l'unitarietà del contesto di spazio e di tempo da un piano fenomenico in cui si protraggono plurime azioni per 3 mesi, poiché in dottrina la contestualità è tradizionalmente intesa in termini ben più circoscritti, ovvero come accentuata prossimità di azioni caratterizzate da un frazionamento materiale dell'attività esecutiva che rimane, per ragioni di occasionalità o di contingenza, unitaria. In altri termini, la discontinuità spazio-temporale priverebbe di interdipendenza i singoli atti esecutivi, da valutarsi così in modo frazionato ed isolato. Tuttavia, avuto riguardo alle finalità deflattive e di politica-criminale perseguite dal Legislatore del 2015, appare condivisibile tanto la soluzione della condotta unica inscindibile, adottata dalla pronuncia in esame, quanto quella della continuazione c.d. sincronica come espressione di una deliberazione criminosa unitaria ed occasionale, in quanto consentono entrambe di applicare l'istituto di cui all'art. 131-bis c.p. in presenza di plurime condotte naturalistiche. Infatti, introducendo la causa di non punibilità di cui all'art. 131-bis c.p., il Legislatore ha inteso perseguire obiettivi di deflazione processuale, il cui conseguimento risulterebbe notevolmente limitato, qualora si affermasse l'automatica esclusione del beneficio in presenza di più condotte naturalistiche, siano esse espressive di una condotta normativamente unitaria o di una deliberazione criminosa occasionale. Inoltre, entrambe le suindicate interpretazioni appaiono in linea con il principio del favor rei, che impone di interpretare restrittivamente una norma (l'art. 131-bis, comma 3, c.p.) che limita l'applicazione un istituto che opera a favore dell'imputato. Sul punto, va sottolineato che illuminata dottrina aveva già da tempo suggerito di valorizzare il principio del favor rei nella ricostruzione dogmatica del reato continuato, in modo tale da considerare il reato unico o plurimo in ragione delle conseguenze favorevoli che ne conseguono per il reo: e dunque come reato unico per tutti quegli aspetti che possono andare a favore del reo, come quello della operatività di una causa di non punibilità. A ciò si aggiunga, sotto il profilo degli obiettivi di politica criminale, che diversa e maggiore è la capacità a delinquere dimostrata da un soggetto che, in contesti ed in tempi diversi, magari in un lasso di tempo ampio, reitera la condotta criminosa, sia pure nell'ambito di un medesimo disegno criminoso, rispetto a chi, eseguendo lo stesso piano, agisce in un frangente temporale unitario. Per di più, ancor meno riprovevole è la condotta di colui che compie materialmente più azioni nello stesso contesto spazio-temporale, contro la stessa persona (salvo che il bene attinto non sia altamente personale) e con identità di volizione. In tale angolo visuale, non sembra operazione interpretativa censurabile quella che estende la nozione di contestualità della condotta e valorizza la concezione sostanziale della volontà criminosa. In fondo, colui che consuma più delitti nelle medesime circostanze di tempo e di luogo è come se si ponesse una volta soltanto contro l'ordinamento; la sua condotta criminosa può allora essere stimata anche come estemporanea e dunque non sintomatica di pervicacia criminale. Del resto, diversamente ragionando dovremmo giungere a risultati assai poco ragionevoli, ritenendo inapplicabile la causa di non punibilità in esame a colui che, ad esempio, sottraendoli dagli scaffali di un supermercato si impossessi di più oggetti per un valore commerciale complessivo estremamente esiguo, ritenendola invece applicabile a colui che si limita ad impossessarsi di un solo bene, anche se di maggior valore. |