Procedimento per decreto e verifiche necessarie per determinare il criterio conversione della pena detentiva in pecuniaria

04 Luglio 2018

Nell'ambito del procedimento monitorio, ai fini della determinazione del valore giornaliero di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria occorre necessariamente procedere all'indagine patrimoniale sulle condizioni economiche complessive dell'imputato e del suo nucleo familiare? La questione è inedita in quanto sorta su un terreno normativo recentemente novellato.
Massima

Nel procedimento per decreto, ai fini della quantificazione della pena pecuniaria sostitutiva di quella detentiva non è necessario l'espletamento di specifiche e mirate attività di verifica sulla capacità economica dell'imputato e dei suoi familiari e ciò a maggior ragione quando il ragguaglio sia effettuato in misura corrispondente al minimo stabilito dalla legge.

Il caso

La procura della Repubblica presso il tribunale di Pisa richiedeva l'emissione di un decreto penale di condanna nei confronti di Tizio, imputandolo del reato di cui agli artt. 81 c.p., 31 e 44 lett. b) d.P.R. 380/2001.

Nella richiesta di provvedimento monitorio, la pena detentiva veniva convertita in quella pecuniaria applicando un tasso di conversione di 75 euro per ciascun giorno di arresto.

Il giudice per le indagini preliminari, con ordinanza del 16 ottobre 2017, disponeva la restituzione degli atti al pubblico ministero osservando che non erano state effettuate indagini sulle condizioni economiche complessive dell'imputato e del suo nucleo familiare e che tale omissione impediva al giudice la necessaria valutazione di congruità della pena richiesta.

Avverso tale pronuncia interponeva ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Pisa, deducendo l'abnormità del provvedimento che imponeva surrettiziamente al magistrato requirente l'effettuazione di indagini patrimoniali fuori dai casi previsti dalla legge.

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile sul presupposto che il provvedimento impugnato non rientra nella categoria giurisprudenziale dell'abnormità, e come tale, in mancanza di uno strumento correttivo tipico, deve ritenersi incensurabile in sede di legittimità.

Tuttavia, la Suprema Corte, scendendo nel merito della questione, osserva che la conversione della pena detentiva in quella pecuniaria non necessita di un approfondito accertamento sulle condizioni economiche dell'imputato e dei suoi familiari perché in mancanza di tale indagine al giudice è comunque consentito di operare la conversione secondo il tasso mimino in ragione dei principi generali del favor rei e del favor libertatis, e al fine di disincentivare le opposizioni al provvedimento monitorio.

La questione

La questione in esame è la seguente: nell'ambito del procedimento monitorio, ai fini della determinazione del valore giornaliero di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria occorre necessariamente procedere all'indagine patrimoniale sulle condizioni economiche complessive dell'imputato e del suo nucleo familiare?

Le soluzioni giuridiche

La questione è inedita in quanto sorta su un terreno normativo recentemente novellato.

Va, infatti, premesso che il nuovo comma 1-bis dell'art. 459 c.p.p., introdotto dalla l. 103/2017 (c.d. riforma Orlando), derogando a quanto disposto dall'art. 135 c.p. in ordine al criterio generale di conversione fra pene pecuniarie e pene detentive, dispone che nel procedimento per decreto il computo vada effettuato entro la più vantaggiosa forbice che va da 75 a 225 euro, in luogo della (ben più gravosa) cornice che va da 250 euro (ex art. 135 c.p.) fino a 2.500 euro (ex art. 53, comma 2, l. 689/1981), a cui continuano ad essere assoggettati gli imputati giudicati con rito ordinario.

La nuova disposizione, oltre a prevedere un inedito tasso di trasformazione della pena detentiva in quella pecuniaria, stabilisce anche che il giudice, nel determinare il valore di conversione all'interno della suddetta forbice debba tenere conto della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare.

In verità, la previsione non è del tutto nuova perché già l'art. 53, comma 2, l. 689/1981 prevedeva (e prevede tutt'ora) che la sostituzione della pena detentiva in quella pecuniaria avvenga sulla base dell'individuazione di un valore giornaliero da moltiplicare per i giorni di pena detentiva e che tale valore sia determinato tenendo conto delle condizioni patrimoniali dell'imputato e del suo nucleo familiare.

Tuttavia, nel procedimento monitorio, l'indagine patrimoniale sull'imputato e relativo nucleo familiare non veniva eseguita perché ritenuta un dispendio eccessivo di risorse investigative rispetto alla modesta gravità dei reati da accertare.

Nell'impianto originario del codice di rito, però, spettava al pubblico ministero determinare la pena nella richiesta di emissione del decreto penale. Al giudice residuava il potere di ritenerla illegale o incongrua e rigettare la richiesta. Il comma 1-bis dell'art. 459 c.p.p., invece, attribuisce al giudice il potere di individuare il valore di conversione. Dunque, non vi sono dubbi che la riforma abbia attribuito al giudice quell'onere di valutazione che prima spettava al pubblico ministero (ovviamente solo nei casi in cui sia richiesta una pena pecuniaria in sostituzione di pena detentiva).

Alla luce del nuovo assetto normativo si pone dunque il problema se il giudice possa rigettare la richiesta di emissione del decreto penale qualora il fascicolo investigativo non contenga informazioni sulle capacità patrimoniali dell'imputato e del suo nucleo familiare necessarie per valutare la congruità della pena richiesta.

Al problema tenta di fornire una risposta al sentenza in commento. Infatti, al di là dei profili di impugnabilità del provvedimento emesso dal giudice a quo, con la conseguente questione - nuovamente affrontata di recente dalle Sezioni unite della Suprema Corte (cfr. Cass. pen., Sez. unite, 18 gennaio 2018, n. 20569) – della ricorribilità in Cassazione degli atti abnormi, di maggior interesse appare la questione attinente al nuovo comma 1-bis dell'art. 459 c.p.p. (introdotto dall'art. 1, comma 53, l. 103/2017) nella parte in cui prevede che «nel caso di irrogazione di una pena pecuniaria in sostituzione di una pena detentiva, il giudice, per determinare l'ammontare della pena pecuniaria, individua il valore giornaliero» tenendo conto «della condizione economica complessiva dell'imputato e del suo nucleo familiare».

Sul punto, il giudice pisano ha ritenuto che il Legislatore abbia voluto affidare al Giudice del procedimento monitorio la determinazione di una pena effettiva ed efficacemente dissuasiva sulla base di una attenta ed approfondita valutazione della capacità patrimoniale dell'imputato e dei suoi familiari. Da ciò conseguirebbe che incombe sul magistrato requirente un preciso onere di allegazione e di prova sulle condizioni economiche dell'imputato e del suo nucleo familiare, con la conseguenza che, ove tale incombente probatorio non sia soddisfatto, il giudice del decreto dovrebbe restituire gli atti al magistrato richiedente.

I giudici di legittimità, invece, hanno osservato che la soluzione della questione in esame implica un raffronto tra il citato, nuovo comma dell'art. 459 c.p.p. e il successivo art. 460, comma 2, c.p.p., nella parte in cui prescrive che con il decreto di condanna il giudice applica la pena nella misura richiesta dal pubblico ministero. Ne consegue che la nozione di misura della pena identifica l'oggetto del vincolo per il giudice del decreto, che infatti meramente applica la pena già stabilita dal magistrato richiedente, mentre il concetto di “irrogazione” suggerisce un potere giudiziale discrezionale. Ad avviso della pronuncia in esame, tali prescrizioni normative risultano soltanto in apparenza in contrasto. Infatti, secondo il Collegio, la misura della pena vincolante per il giudice è quella detentiva indicata dal Pubblico Ministero richiedente, utilizzata come metro per la conversione, che il giudice applica, mentre la pena irrogata è quella sostituita all'esito del calcolo, con la conseguenza che il giudice del decreto può rideterminare discrezionalmente il valore giornaliero di conversione che, moltiplicato per i giorni di pena detentiva indicati vincolativamente dal pubblico ministero, individua l'ammontare della pena pecuniaria sostitutiva. In altri termini, la commisurazione della pena nel procedimento monitorio si scinde in due diversi passaggi logici – segnalati lessicalmente dall'uso di verbi diversi – in cui la fase di “applicazione” è quella attinente alla “richiesta” del pubblico ministero, mentre la fase di “irrogazione” è quella riservata al giudice.

Ciò premesso, la Corte ha osservato che il giudice del decreto, libero di poter determinare autonomamente il tasso giornaliero di conversione, non deve necessariamente fondare la sua decisione sulla base di una completa indagine sulla capacità economica dell'imputato e della sua famiglia, considerato anche che l'art. 459, comma 1-bis,c.p.p. deroga all'art. 135 c.p. in modo favorevole all'imputato. Pertanto, ad avviso della terza Sezione, ai fini della quantificazione della pena sostituita, non occorre procedere all'espletamento di specifiche attività di verifica e ciò soprattutto quando il ragguaglio sia operato in misura corrispondente al minimo stabilito dalla legge. Infatti, continua ad osservare il Collegio, la pena si rivelerebbe incongrua soltanto quando (evenienza invero rara nella prassi) dalla lettura del fascicolo processuale si ravvisino elementi indicativi di capacità economiche maggiori rispetto a quelle ritenute dal pubblico ministero richiedente. Del resto, la facoltà riconosciuta dalla legge al giudice del procedimento monitorio ben può essere esercitata sulla base di circostanze non specifiche ma obiettivamente apprezzabili in quanto rappresentate nel fascicolo processuale, della preventiva considerazione delle quali il pubblico ministero può eventualmente anche dare atto nella richiesta di decreto penale. Diversamente ragionando, concludono i giudici di legittimità, si perverrebbe ad esiti inaccettabili in cui, in presenza di qualsiasi reato rispetto al quale la pena detentiva sia astrattamente convertibile in pena pecuniaria, dovrebbero essere svolti specifici accertamenti sulle capacità economiche del reo e del suo nucleo familiare, vanificando così l'intento deflattivo che animava il Legislatore della riforma.

Osservazioni

La soluzione adottata dalla pronuncia in commento appare convincente e merita adesione in quanto si armonizza alle altre norme di sistema, e alla lettura dominante delle stesse, e addiviene a quei risultati pratici di deflazione avuti di mira dal Legislatore della riforma.

Infatti, l'introduzione del comma 1-bis nell'art. 459 c.p.p., intervenendo sul criterio di ragguaglio tra pene detentive e pecuniarie sganciando la conversione dal parametro generale di cui all'art. 135 c.p. per regolarla in modo autonomo e più favorevole, persegue indubitatamente finalità deflattive di riduzione delle opposizioni ai decreti penali di condanna. In tale contesto di valorizzazione delle istanze di economia processuale, emergenti anche dai lavori preparatori della riforma Orlando, la preventiva specifica verifica delle condizioni economiche dell'imputato e della sua famiglia, richiedendo una dispendiosa attività di indagine, finirebbe, quale eterogenesi dei fini, per realizzare il risultato opposto rispetto a quello perseguito dal Legislatore, disincentivando le procure d'Italia ad adottare un rito che è nato proprio per scopi deflattivi. Del resto, quale ulteriore incentivo alla definizione monitoria del procedimento, va rammentato che la pena pecuniaria irrogata in sostituzione di quella detentiva può essere rateizzata secondo le modalità fissate dall'art. 133-ter c.p., sebbene, a ben vedere, il richiamo a tale disposizione appaia superfluo dato che quest'ultima norma già prevedeva espressamente l'applicabilità al procedimento monitorio.

Poiché il procedimento monitorio è destinato, per struttura, a definire procedimenti per fatti bagatellari, appare inverosimile che il pubblico ministero conduca indagini sulle condizioni economiche dell'imputato (e men che meno del suo nucleo familiare), mentre il Giudice non ha elementi per integrare le sue conoscenze su tale aspetto dato che l'ordinamento non gli consente di svolgere accertamenti d'ufficio e la difesa, dal canto suo, non può apportare contributi data la natura eventuale e differita del contraddittorio nel procedimento per decreto. Dunque, se il Giudice dovesse restituire gli atti al Pubblico Ministero richiedente tutte le volte in cui, mancando nel fascicolo indagini sulle condizioni economiche dell'imputato e del suo nucleo familiare, il procedimento monitorio subirebbe un aggravio destinato a disincentivarne l'utilizzo da parte delle procure, e ciò a prescindere da qualsiasi considerazione sulla legittimità o meno di un ordine di indagini coatte implicito nel provvedimento restitutorio.

In definitiva, la decisione in esame, nella misura in cui autorizza il giudice ad emettere il decreto anche in assenza di indagini patrimoniali, si pone in linea con la prassi, già diffusa in molti uffici giudiziari, di indiscriminate conversioni al minimo per conseguire gli obiettivi deflattivi perseguiti dalla riforma. Del resto, tale soluzione si pone in armonia con i principi di speditezza del procedimento penale, del favor rei e del favor libertatis.

Peraltro, l'esegesi della Suprema Corte appare anche sistematicamente orientata. In primo luogo, va detto che il riferimento alle condizioni economiche dell'imputato era già contenuto nell'art. 133-ter c.p. che disciplina il potere discrezionale del giudice nella dosimetria della pena. Dunque la riforma aggiunge soltanto il riferimento alle condizione economiche del nucleo familiare dell'imputato. In secondo luogo, e ancor più significativamente, va osservato che la questione sottesa alla pronuncia in esame non costituisce un problema del tutto nuovo: l'art. 53, comma 2, l. 689/1989 aveva introdotto una disciplina del tutto sovrapponibile a quella in esame, prevedendo, limitatamente alla determinazione delle sanzioni pecuniarie sostitutive, l'innovativo modello dei tassi giornalieri. Infatti, come illustrato nella decisione in commento, con riferimento a tale omologa disposizione non si è mai pervenuti alla conclusione del Giudice di merito, pur facendosi riferimento al necessario apprezzamento sulla equità e adeguatezza della pena sostituita. Inoltre, la preventiva indagine patrimoniale sulle condizioni economiche dell'imputato non è stata affrontata in riferimento all'art. 133 c.p., che pur stabilisce che il Giudice, nell'esercizio del suo potere discrezionale per la determinazione della pena, deve tenere conto delle condizioni di vita individuale e familiare del reo.

Si aggiunga che la scissione evidenziata nella pronuncia in esame fra la misura della pena detentiva da applicare col decreto, demandata al pubblico ministero e il tasso di conversione della stessa in pena pecuniaria, rimesso alla discrezionalità del Giudice del procedimento monitorio, consente agli uffici dei giudici per le indagini preliminari di operare la conversione secondo i nuovi criteri economici introdotti dalla riforma Orlando anche in relazione alle richieste, non ancora evase, depositate prima della novella, senza la necessità di restituire gli atti alle Procure, come invece hanno ritenuto di fare molti uffici giudiziari.

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