Royalties: daziabilità condizionata al requisito del controllo

Daria Pastorizia
13 Luglio 2018

Ai fini della determinazione del valore doganale di prodotti fabbricati in base a modelli e con marchi oggetto di contratto di licenza che siano importati dalla licenziataria, il corrispettivo delle royalties va aggiunto al valore di transazione qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei corrispettivi dei diritti di licenza. È questo il principio di diritto con cui la Corte di Cassazione, con la sentenza 6 aprile 2018, n. 8473, forma il primo orientamento di legittimità sul punto. Ponendosi in linea di continuità con quanto espresso dalla Corte di Giustizia nella causa C-173/15, la Suprema Corte offre per la prima volta la propria interpretazione circa la controversa nozione di controllo e la sua rilevanza ai fini della daziabilità delle royalties e, pur pronunciandosi sulla normativa previgente, traccia una linea d'indirizzo valevole anche nella vigenza del nuovo Codice doganale dell'Unione.
Massima

In tema di diritti doganali, ai fini della determinazione del valore dei prodotti fabbricati in base a modelli o mediante marchi oggetto di contratto di licenza che siano importati dalla licenziataria, il corrispettivo dei relativi diritti deve essere aggiunto al valore di transazione, a norma dell'art. 32 del Regolamento del Consiglio CEE n. 2913/1992, come attuato dagli artt. 157, 159 e 160 del Regolamento della Commissione CEE n. 2454 del 1993, qualora il titolare dei diritti immateriali sia dotato di poteri di controllo sulla scelta del produttore e sulla sua attività e sia il destinatario dei corrispettivi dei predetti diritti.

Il controllo in questione assume un'accezione ampia e necessariamente casistica, rilevando sia il legame societario tra il licenziante e il produttore sia tutte le circostanze di fatto idonee a configurare un'ingerenza del primo sul secondo che ecceda le mere verifiche in ordine alla qualità del prodotto.

Il caso

L'Agenzia delle Dogane rettificava le dichiarazioni doganali concernenti le importazioni operate da una società di capitali italiana perché, ai fini della determinazione del loro valore doganale, non era stato addizionato al prezzo pagato il corrispettivo che la società era tenuta a versare al titolare dei diritti immateriali dei quali era licenziataria, nella misura prevista dal relativo contratto di licenza.

Con gli avvisi di rettifica l'Ufficio irrogava anche le sanzioni previste dall'art. 303, comma 3, del Testo Unico delle leggi doganali.

La società impugnava gli avvisi e gli atti d'irrogazione delle sanzioni, ottenendone dapprima una pronuncia di annullamento da parte della Commissione tributaria provinciale di Varese, avverso la quale interponeva gravame l'Agenzia delle Dogane dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Lombardia. Questa accoglieva parzialmente l'appello dell'Ufficio, condividendo nel merito le ragioni della società contribuente in relazione alla carenza dei presupposti per la daziabilià delle royalties.

Per la parziale riforma della sentenza di appello l'Agenzia delle Dogane proponeva ricorso per Cassazione a cui la società replicava con controricorso e ricorso incidentale

La questione

La questione sottoposta all'attenzione dei Giudici di legittimità attiene alla determinazione del valore in dogana delle merci importate che, dovendo riflettere il loro valore economico reale, deve quindi considerarne tutti i fattori economicamente rilevanti (in termini, da ultima, Corte di Giustizia 20 dicembre 2017, causa C-529/16, Hamamatsu), ivi compresi i diritti di licenza, destinati ad incidere sulla determinazione del valore doganale qualora i corrispondenti beni immateriali siano incorporati nella merce, così esprimendone o contribuendo ad esprimerne il valore economico.

E invero, qualora il prezzo effettivamente pagato o da pagare per le merci importate non ne includa il relativo importo, l'art. 32 del Codice doganale comunitario (Regolamento CEE 12 ottobre 1992, n. 2913), in vigore fino al 1° maggio 2016, stabilisce espressamente che al prezzo si addizionano “... c) i corrispettivi e i diritti di licenza relativi alle merci da valutare, che il compratore è tenuto a pagare, direttamente o indirettamente, come condizione della vendita delle merci da valutare ...” (sulle condizioni d'inclusione delle royalties nel valore in dogana, S. Armella, Diritto doganale dell'Unione Europea, Ed. II, Milano, 2017; M. Fabio, Manuale di diritto e pratica doganale, Assago, Ed. VI, 2017; S. Mayr – B. Santacroce, Valore in dogana e transfer pricing, Assago, 2014).

La questione dirimente su cui la Suprema Corte di Cassazione è stata interrogata con riferimento alla fattispecie in esame è, dunque, quella concernente la configurabilità del versamento dei diritti di licenza come condizione di vendita della merce.

A tal fine, nel silenzio della norma e facendo ricorso più di una volta all'indirizzo offerto dalla Corte di Giustizia sul punto, i Giudici di legittimità hanno dapprima proceduto ad una interpretazione del concetto di “condizione di vendita”, successivamente hanno definito i contorni della controversa nozione di “controllo” (in diritto e in fatto) tra il fornitore estero ed il licenziate ed, infine, hanno rilevato l'imprescindibile esigenza di un'analisi casistica volta a valutare la sussistenza e la rilevanza di tale controllo ai fini della daziabilità delle royalties nella singola fattispecie oggetto di esame.

Le soluzioni giuridiche

Posto che né l'art. 32, paragrafo 1, lettera c), del Codice doganale comunitario (CDC) né l'art. 157, paragrafo 2, del Regolamento CEE 2 luglio 1993, n. 2454 (Disposizioni di attuazione – DAC) precisano cosa debba intendersi per “condizione di vendita” delle merci da valutare, a riempire la lacuna soccorre l'interpretazione che della disciplina ha fornito la Corte di Giustizia con la sentenza pronunciata nella causa C-173/15. Facendo leva sul punto 12 del Commento n. 3 del Comitato del Codice doganale (sezione del valore in dogana) relativo all'incidenza dei corrispettivi e dei diritti di licenza sul valore in dogana, la Corte di Giustizia ha ritenuto che l'identificazione della condizione di vendita si traduce nella verifica se il venditore sia disposto o meno a vendere le merci senza che sia pagato il corrispettivo del diritto di licenza.

In altri termini, quindi, il pagamento delle royalties è una “condizione di vendita” delle merci da valutare qualora, nell'ambito dei rapporti contrattuali tra il venditore - o la persona ad esso legata - e l'acquirente, l'assolvimento del corrispettivo del diritto di licenza rivesta un'importanza tale per il venditore che, in difetto, quest'ultimo non sarebbe disposto a vendere.

Occorre dunque verificare la sussistenza di un legame, diretto o indiretto, tra il fornitore estero della licenziataria e il titolare del diritto di licenza, ovvero, come chiarito al punto 68 della citata sentenza della Corte di Giustizia, “verificare se la persona legata al venditore eserciti un controllo, sul medesimo o sull'acquirente, tale da poter garantire che l'importazione delle merci, assoggettate al suo diritto di licenza, sia subordinata al versamento, a suo favore, del corrispettivo o del diritto di licenza ad esse afferente”.

Al fine di operare la suddetta verifica i Giudici di legittimità richiamano dapprima le Note interpretative in materia di valore in dogana contenute nell'allegato 23 delle DAC all'art. 143, paragrafo 1, lettera e) secondo cui “si considera che una persona ne controlli un'altra quando la prima sia in grado di esercitare, di diritto o di fatto, un potere di costrizione o di orientamento sulla seconda”.

Successivamente, per meglio delineare i contorni del concetto di controllo, la Suprema Corte sottolinea l'utilità degli indicatori contenuti nel Commento n. 11 del Comitato del Codice doganale (Sezione del valore in dogana) contenuto nel documento TAXUD/800/2002, nella versione italiana del 2007, sull'applicazione dell'art. 32, paragrafo 1, lettera c), del Codice doganale (ormai parte dell'acquis communautaire, ossia del diritto materiale dell'Unione, con valore di soft law).

Come precisato dalla Corte di Giustizia nella causa C-173/15, punto 45, sebbene non giuridicamente cogenti,le semplificazioni ivi contenute, costituiscono strumenti importanti per garantire un'uniforme applicazione del Codice doganale da parte delle autorità doganali degli Stati membri e possono, quindi, essere di per sé considerate strumenti validi per l'interpretazione di detto Codice.

Nel dettaglio, il documento in questione annovera numerose ipotesi potenzialmente idonee a configurare la presenza di un controllo “di fatto” tra fornitore estero e licenziante; tra di esse, in via esemplificativa, vi sono i casi in cui:

(i) il licenziante sceglie il produttore e lo impone all'acquirente;

(ii) il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla produzione (per quanto attiene ai centri di produzione e/o ai metodi di produzione);

(iii) il licenziante esercita, direttamente o indirettamente, un controllo di fatto sulla logistica e sulla consegna delle merci all'acquirente;

(iv) il licenziante decide a chi il produttore può vendere le merci o impone delle restrizioni per quanto concerne i potenziali acquirenti;

(v) il licenziante fissa le condizioni del prezzo al quale il produttore/venditore vende le proprie merci o il prezzo al quale l'importatore/l'acquirente rivende le merci;

(vi) il licenziante sceglie i metodi di produzione da utilizzare/fornisce dei modelli ecc.;

(vii) il licenziante sceglie/limita i fornitori dei materiali/componenti;

(viii) il licenziante limita le quantità che il produttore può produrre;

(ix) il licenziante non autorizza l'acquirente a comprare direttamente dal produttore, ma attraverso il titolare del marchio (licenziante) che potrebbe agire anche come agente di acquisto dell'importatore;

(x) il produttore non è autorizzato a produrre prodotti concorrenti (privi di licenza) in assenza del consenso del licenziante;

(xi) le merci fabbricate sono specifiche del licenziante (cioè nella loro concezione/nel loro design e con riguardo al marchio di fabbrica);

(xii) le caratteristiche delle merci e la tecnologia utilizzata sono definite dal licenziante.

Considerata l'evidente vastità dell'accezione della nozione di “controllo”, che involge sia il legame societario tra il licenziante e il produttore sia le circostanze fattuali idonee a configurare un'ingerenza del primo sul secondo, i Giudici di legittimità evidenziano l'imprescindibile esigenza che la ricerca di tale condizione venga sempre calata nel caso di specie al fine di valutare se e quando ricorra uno o più degli indicatori evidenziati.

Ebbene, nel caso sottoposto al giudizio della Corte di Cassazione in commento, sulla base delle specifiche pattuizioni contenute nei contratti stipulati tra le parti, esaminati e valorizzati dagli ermellini, questi hanno ritenuto che tutta la filiera produttiva e distributiva fosse di fatto controllata dalla licenziante e, ritenuti sussistenti nel caso di specie gli estremi per configurare il requisito del controllo in capo a quest'ultima, la Suprema Corte ha concluso per la necessaria addizione nel valore doganale anche del corrispettivo delle royalties.

Osservazioni

La sentenza in commento si impone nel panorama giurisprudenziale come la prima pronuncia di legittimità che, sull'onda dell'indirizzo espresso dalla Corte di Giustizia nella causa C-173/15, offre una interpretazione della controversa nozione di controllo e della sua rilevanza ai fini della daziabilità delle royalties, assumendo estrema rilevanza in relazione alle operazioni di importazioni in ambito comunitario poste in essere specialmente da parte di gruppi multinazionali.

Prima di tale arresto, la questione è stata oggetto di attenzione da parte di numerose Corti tributarie di merito, sempre più frequentemente alle prese con l'analisi di operazioni di vendita internazionale di beni fabbricati mediante marchi oggetto di contratto di licenza caratterizzate dalla presenza di tre soggetti: il titolare del marchio/licenziante, il licenziatario/importatore e il fornitore estero del bene.

È infatti connaturata nell'attuale prassi dei grandi marchi la tendenza ad esternalizzare sia la produzione dei beni, affidandola a soggetti terzi localizzati in genere nei Paesi del Far East, sia la commercializzazione e la distribuzione degli stessi nei diversi mercati nazionali.

Ebbene, le Commissioni tributarie, già prima della pronuncia in commento, hanno rilevato la necessità di operare una valutazione casistica della sussistenza della condizione di controllo tra il licenziante e il produttore imposta per la daziabilità delle royalties, fondando così il proprio giudizio sulla ricostruzione analitica dei singoli schemi contrattuali in essere tra i soggetti coinvolti nell'operazione nonché di tutte le circostanze di fatto idonee a individuare o meno un rapporto di appartenenza o di dipendenza consolidata tra le parti ovvero un potere di orientamento sul fornitore del bene.

Ex pluribus, la CTR Liguria, Genova, Sez. III, con la sentenza 22 marzo 2017, n. 415, ha respinto l'appello proposto dall'Ufficio delle Dogane proprio perché nel caso di specie “non è stato dimostrato che il loro pagamento (n.d.a. delle royalties) al licenziante costituisse obbligo e condizione alla vendita non essendo stato provato che il venditore, diverso dal licenziante, altrimenti non avrebbe provveduto alla vendita. Appare, di contro, inesistente il necessario controllo fra il licenziante e il venditore tale da giustificare il suddetto pagamento di royalties con le conseguenze derivanti”.

Giova rilevare che il requisito in questione può essere configurato sia in caso di “controllo di diritto” sia in caso di “controllo di fatto”.

La giurisprudenza comunitaria ha individuato il cd. “controllo di diritto” del licenziante sul fornitore come espressione del legame societario che pone il primo nella condizione di conoscere ed incidere nell'attività di gestione dell'altro (v., Corte di Giustizia, causa C-173/15).

In questo senso assume rilievo quanto stabilito dall'art. 127 del Regolamento di esecuzione del Codice doganale dell'Unione (CDU) in virtù del quale due persone sono considerate “legate” se è soddisfatta una delle seguenti condizioni:

a) l'una fa parte della direzione o del consiglio di amministrazione dell'impresa dell'altra e viceversa;

b) hanno la veste giuridica di associati;

c) l'una è il datore di lavoro dell'altra;

d) un terzo possiede, controlla o detiene, direttamente o indirettamente, il 5% o più delle azioni o quote con diritto di voto delle imprese dell'una e dell'altra;

e) l'una controlla direttamente o indirettamente l'altra;

f) l'una e l'altra sono direttamente o indirettamente controllate da un soggetto terzo;

g) esse controllano assieme, direttamente o indirettamente, un soggetto terzo;

h) sono membri della stessa famiglia.

In assenza del legame di diritto appena illustrato, le Corti tributarie di merito hanno rilevato la possibilità di individuare la sussistenza del cd. “controllo di fatto” alla luce di una serie di circostanze fattuali caratterizzanti le singole fattispecie esaminate, dalle quali sia possibile evincere in modo ragionevole ed univoco l'ingerenza del licenziante e il suo potere di orientamento esercitato sulle attività svolte dal produttore, e purché – a mente dell'art. 143 par. 1, lett. e) DAC – tale controllo non ecceda le mere verifiche in ordine alla qualità dei prodotti, che rientrano nella moderna prassi commerciale, specie in territori - come ad esempio il Far East – dove è assai elevato il rischio di contraffazione e di violazione dei diritti essenziali dei lavoratori impiegati nel processo produttivo.

Sul punto, merita di essere richiamata la sentenza 19 novembre 2013, n. 174 della Commissione tributaria regionale della Lombardia, Milano, Sez. VII con cui il Collegio ha anzitutto precisato che “la questione relativa all'obbligo di inclusione nel valore doganale delle cd. royalites pagate dall'importatore a soggetto diverso dal fabbricante deve essere decisa in relazione al particolare tipo di rapporto contrattuale che eventualmente intercorra fra lo stesso importatore ed il licenziante (con particolare riferimento al fatto che il pagamento di detti diritti di licenza sia "condizione di vendita" nel rapporto fra importatore e produttore)”. Tanto premesso, a fronte dell'analisi svolta sulle specifiche pattuizioni contrattuali tra le parti, i Giudici di appello hanno rilevato, in particolare, che le clausole di cui al contratto di licenza in questione conferivano al titolare del marchio il potere di effettuare un controllo sui produttori ma che l'oggetto di tale controllo non esulava da quello di qualità.

Inoltre, la possibilità riservata al licenziante di concedere la licenza di utilizzo a terzi e di vendere direttamente od indirettamente i prodotti di seconda scelta o difettosi, confermava la sussistenza di una scelta del fornitore non limitata od imposta dal licenziante e la conseguente assenza della già menzionata condizione di vendita subordinata al pagamento dei diritti di licenza. Per queste ragioni, e quindi “tenuto conto delle particolari pattuizioni intervenute fra le parti”, in riforma dell'impugnata sentenza n. 3/4/2012 della CTP Varese, il Collegio milanese di secondo grado ha concluso che gli elementi desumibili dagli atti non fossero tali da far considerare sussistente un controllo fra il licenziante ed il produttore che andasse al di là di quello attinente alla qualità della merce prodotta.

Sulla base delle medesime premesse ma giungendo ad una soluzione favorevole all'Ufficio, la CTP Milano, nella sentenza 1 marzo 2011, n. 51, ha ritenuto “non attinente nella presente controversia la nozione di controllo contenuta nell'art. 2359 del codice civile, visto che i termini e le condizioni del controllo discendono dagli accordi contrattuali stipulati tra gli interessati”. Il Collegio, inoltre, con riferimento all'individuazione del requisito del controllo, ha precisato che “si tratta dell'esercizio di un potere di costrizione o di orientamento di fatto (art. 143, par. 1, lettera e) CDC e all. 23) che nella generalità dei casi il licenziante si riserva nei confronti del licenziatario/produttore o del produttore/venditore”.

Appare altresì opportuno evidenziare che le Commissioni tributarie hanno attribuito agli indicatori di controllo di cui al Commentario 11 del Comitato del Codice doganale comunitario contenuto nel documento TAXUD/800/2002 una rilevanza “condizionata”: essendo tali indicatori delle mere presunzioni essi non assumono alcun rilievo laddove presi in considerazione singolarmente e, quand'anche si assistesse alla combinazione di più di due di essi, la prova non ne scaturirebbe automaticamente,ma solo se, al prudente apprezzamento del giudice, si riscontrassero quei caratteri di gravità, precisione e concordanza qualificanti questo tipo di prova e che evidentemente non ammettono la presenza di elementi con essi incompatibili (in questo senso, CTP Verona, 22 dicembre 2017, n. 494; CTP Vicenza, 22 agosto 2012, n. 57).

Sulla scorta di tali considerazioni, con la richiamata sentenza n. 51/2011, la Commissione tributaria provinciale di Milano ha accolto le ragioni dell'Agenzia delle Dogane rilevando che, alla luce dell'esame delle clausole contrattuali di licenza, “esistono nelle fattispecie considerate, tutti o gran parte degli indicatori che consentono di affermare che il pagamento del corrispettivo è una condizione di vendita”.

Seppur pronunciati nel quadro della normativa previgente, i principi espressi dalla sentenza della Suprema Corte in commento tracciano una linea d'indirizzo indubbiamente valida anche (e a maggior ragione) nella vigenza del nuovo Codice doganale dell'Unione Europea. A far data dal 1° maggio 2016, infatti, l'esistenza del descritto legame tra licenziante e fornitore è prevista come condizione da sola sufficiente perché le royalties debbano essere incluse nel valore doganale dei beni importati.

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