Comodato

Augusto Cirla
16 Luglio 2018

Un immobile può essere concesso in uso anche senza pretendere alcun corrispettivo, ma ci sono alcune regole che vanno rispettate se si vuole evitare l'insorgere di problemi quando sarà il momento di richiederne la liberazione. Il mezzo viene individuato dalla legge nel contratto di comodato che, benché essenzialmente gratuito, non viene meno anche se nel contratto sia previsto l'obbligo del comodatario di rimborsare le spese di manutenzione o conservazione del bene oppure dei servizi usufruiti, quali possono essere il riscaldamento o l'ascensore.
Inquadramento

Il contratto di comodato è disciplinato dagli artt. 1803 ss. c.c. ed è il contratto con il quale una parte consegna all'altra una cosa mobile o immobile, affinché se ne serva per un tempo o per un uso determinato, con l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta. Il contratto di comodato è essenzialmente gratuito.

Esso realizza il c.d. prestito a uso, che attribuisce al comodatario il diritto di servirsi della cosa con l'obbligo di restituirla. Crea un diritto di godimento su cosa altrui, per cui una cattiva formulazione del contratto costitutivo può rendere difficile distinguere tale diritto da un'attribuzione liberale di diritti reali di uso o di abitazione.

Elementi distintivi sono la gratuità, la unilateralità e la realità. La sua caratteristica è che il sacrifico economico ricade sul solo comodante, restando a carico del comodatario soltanto gli oneri economici connessi alla utilizzazione e alla custodia della cosa: ciò è perfettamente compatibile con l'esistenza di un sottostante interesse economico del comodante.

Il comodato comunque non è riconducibile a un mero rapporto di cortesia, in quanto suffragato da un interesse giuridicamente rilevante che rende coercibili le relative obbligazioni.

Quanto alla unilateralità, è condiviso il riconoscimento degli effetti obbligatori del comodato: non si tratta di un contratto con prestazioni corrispettive in quanto la prestazione principale è quella del comodatario di conservare, custodire e restituire il bene alla scadenza.

La causa del contratto è individuata nella concessione in godimento senza corrispettivo e va distinta dai motivi che possono riguardare il comodante o il comodatario, come legami affettivi, riconoscenza, solidarietà, i quali restano irrilevanti (Cass. civ.,sez. III, 3 aprile 2008, n.8548). Tale caratteristica distingue il comodato dalla locazione: il comodato è essenzialmente gratuito, l'assenza di corrispettivo è elemento decisivo della causa e diviene determinativo della ricostruzione della fattispecie. Anzi, la rinunzia a percepire il canone da parte del locatore trasforma automaticamente il conduttore in comodatario.

Attraverso il contratto d'uso gratuito il comodatario diventa quindi titolare di un diritto personale di godimento dell'immobile ma non ne ha alcun diritto di proprietà. Egli infatti, può godere dell'immobile ed utilizzarlo gratuitamente fin quando lo prevede il contratto o la parola del comodante se in forma verbale. In ogni caso, non può cedere il diritto a terzi, a meno che non vi sia il parere favorevole del comodante che, in difetto, può richiedere immediatamente la restituzione dell'immobile.

La precisa dizione della norma, secondo cui il comodante consegna un bene (e non, più semplicemente, si obbliga a consegnare) fa sì che si possa classificare il negozio in esame fra quelli reali, poiché per la sua perfezione è necessario non solo il consenso, ma anche la vera e propria consegna della cosa.

È dunque un contratto reale ad effetti obbligatori (art. 1376 c.c.) ed a forma libera (art. 1325 c.c.). Si tratta di un contratto unilaterale, cioè con obbligazioni a carico di una sola parte (art. 1333 c.c.), che trova in genere la sua causa nei rapporti di cortesia e di fiducia esistente tra le parti o nella volontà di sopperire all'altrui esigenza temporanea.

L'uso del contratto di comodato è frequente nell'ambito immobiliare laddove la concessione di un alloggio (talvolta a fronte di un rimborso spese concernente condominio, utenze e quant'altro) si affianca alla locazione dalla quale si distingue proprio per la gratuità del godimento.

La distinzione tra comodato e locazione poggia fondamentalmente sul carattere di essenziale gratuità del comodato, laddove si realizzano gli estremi costitutivi di contratto di locazione quando per il godimento di un bene sia pattuita una controprestazione, in qualsiasi misura e sotto qualsiasi forma.

Il che comporta che, nell'ambito dell'insorto contenzioso finalizzato ad accertare l'esistenza di un rapporto locativo per ottenere la condanna dell'occupante l'immobile al pagamento di un corrispettivo per l'occupazione, compete esclusivamente a quest'ultimo provare che detta occupazione trova invero giustificazione in un rapporto di comodato che ne assicura sia il legittimo godimento del bene e sia il carattere essenzialmente gratuito di esso (Cass. civ., sez. III, 6 agosto 2013, n.18660).Ciò, in base alle regole generali sulla ripartizione dell'onere della prova, secondo cui se spetta all'attore provare il fatto giuridico da cui fa discendere il proprio diritto, è onere invece del convenuto provare i fatti diversi da quelli dedotti dall'attore, che siano incompatibili con essi e tolgano loro efficacia. Ed è appena il caso di osservare come il mancato assolvimento di tale onere, da parte del convenuto, impedisca di dare credibilità alla dedotta sussistenza del comodato tra le parti.

Per contro, il comodante può limitarsi a provare l'esistenza del contratto di comodato e non già la proprietà del bene, anche se il convenuto abbia sollevato un'eccezione di usucapione in proprio favore, non essendo idonea tale pretesa a trasformare in reale l'azione personale esercitata (Cass.civ., sez. I, 9 giugno 2014, n.13975).

In evidenza

Il comodato si differenza dalla locazione in quanto entrambi i contratti consentono al proprietario di un immobile di cederne a terzi la disponibilità, ma nella locazione il tempo è prestabilito, mentre il comodato può essere anche senza alcuna scadenza. Tuttavia, mentre chi riceve in locazione l'unità immobiliare è tenuto a versare un canone periodico al proprietario, il comodatario può rimanere nell'immobile senza versare alcunché, proprio perché questa è la caratteristica di tale contratto.

Uso gratuito del bene

Il «comodato è essenzialmente gratuito» (testuale nell'art. 1803 c.c., rubricato «definizione»), in quanto - come si è visto - se vi fosse un pagamento in denaro, ci troveremmo di fronte ad un altro tipo di contratto e cioè alla locazione. È forse addirittura pleonastico ed errato parlare di comodato gratuito: il comodato è sempre gratuito perché, in alternativa, non è un comodato.

Anche la disciplina dell'obbligazione di restituzione del bene da parte del comodatario risente, a bene vedere, del carattere gratuito del contratto. Come meglio in seguito si dirà, a norma dell'art.1809 c.c. il comodatario è tenuto a restituire la cosa concessagli in comodato e tale prestazione diviene esigibile alla scadenza del termine espressamente convenuto o, in mancanza, quando il comodatario se ne è servito in conformità del contratto. È però sempre data la possibilità al comodante, di fronte ad una sua sopraggiunta urgente necessità di riottenere la disponibilità del bene prima della scadenza o prima che il comodatario abbia cessato di servirsene, di esigerne la restituzione immediata, recedendo dal contratto.

Alla gratuità del rapporto di comodato consegue quindi la discrezionale possibilità del comodante di porvi termine in presenza di una sua necessità, peraltro nemmeno bisognosa di rigorosa prova, di riottenere la disponibilità del bene (art. 1809, comma 3, c.c.).

Esiste tuttavia il comodato c.d. oneroso o modale, che si verifica allorquando chi riceve in comodato il bene si obbliga ad adempiere ad una prestazione che, tuttavia, non assurge a corrispettivo del godimento. Ne è esempio la concessione in comodato della propria villa per il periodo estivo, in cambio della semina dell'erba in giardino e della cura delle siepi.

È possibile che sia posto a carico del comodatario un onere e che, più in generale, derivi al comodante un vantaggio economico indiretto, purché non si tratti di una obbligazione di rilevanza tale da configurare una controprestazione, che trasformerebbe il contratto in una locazione o in un contratto atipico. L'interesse del comodante, anche quando assuma connotati patrimoniali, è comunque indiretto e mediato e non si concretizza nell'attesa giuridicamente tutelata di un corrispettivo patrimoniale, in natura o in denaro.

La natura essenzialmente gratuita del comodato non è comunque contraddetta dall'obbligo di versamento degli obblighi condominiali, in quanto pattuizione accessoria del contratto che non ne snatura il rapporto (Cass. civ.,sez.III, 18marzo 2014, n. 6203).È importante però che detto contributo si mantenga in tali limiti in quanto compatibili con il carattere di essenziale gratuità del comodato e non integri invece una controprestazione in favore del comodante.

La corresponsione di un compenso meramente simbolico non esclude quindi la figura del comodato, la quale, tra l'altro, comprende anche la ipotesi di pagamento dei canoni per luce ed acqua da parte del parente coabitante, quella di versare i tributi e le spese inerenti all'immobile concesso in uso, nonché degli oneri riguardanti la fornitura di energia elettrica e le spese di riparazione del fabbricato

Quanto alle spese di manutenzione ordinaria, ai sensi dell'art. 1808 c.c., comma 1, il comodatario non ha diritto al rimborso delle spese eventualmente sostenute per servirsi della cosa. Il che comporta che, se egli deve affrontare spese anche similari, può liberamente scegliere se provvedervi o meno, ma se decide di affrontarle lo fa nel suo esclusivo interesse, senza poter pretendere alcunché dal comodante. Il carattere di essenziale gratuità del comodato, d'altro canto, non è posto nel nulla per un modus posto a carico del comodatario, venendo meno soltanto se il vantaggio conseguito da questi si pone come corrispettivo del godimento della cosa con natura di controprestazione (Cass. civ.,sez. II, 18 ottobre 2016, n.21023).

In evidenza

Il sostenere spese per tasse o manutenzione, in sé considerato, non integra gli estremi di un atto di interversio possessionis ai sensi dell'art. 1141 c.c. Peraltro, la detenzione di un bene immobile a titolo di comodato precario può mutare in possesso solamente all'esito di un atto d'interversione idoneo a provare, con il compimento di attività materiali, il possesso in opposizione al proprietario concedente

Si può dunque affermare che l'essenziale gratuità del comodato è conciliabile con una qualche utilità che possa derivare al comodante. A questo fine, è necessario distinguere fra interesse e vantaggio, per concludersi che l'interesse a stipulare il contratto è sempre immanente al contratto stesso, quanto meno come intento di fare acquisire un'utilità al comodatario, ed è quindi senz'altro compatibile con il carattere gratuito del contratto, quando l'interesse medesimo non abbia di per sé contenuto patrimoniale ovvero, pur avendolo, si tratti di un interesse secondario del concedente, la cui utilità non venga a trovarsi in rapporto di corrispettività con il beneficio concesso al comodatario.

In sintesi, è necessario che il modus non si ponga come corrispettivo del godimento della cosa e non assuma la natura di controprestazione. L'elemento della gratuità o dell'onerosità del contratto di comodo dato deve quindi valutarsi avuto riguardo alla causa del contratto stesso, intesa come funzione economico-sociale che questo è destinato obbiettivamente ad adempiere.

La forma e la registrazione

Il contratto di comodato gratuito non rientra tra quelli per i quali è richiesta la forma scritta ad substantiam ai sensi dell'art. 1350 c.c. (T.A.R. Lazio -Latina, sez. I, 5 luglio 2017, n. 382) e può essere provato anche per testi e per presunzioni (Cass. civ.,sez. II, 20 marzo 2017, n. 7088).

La forma scritta, tuttavia, risulta consigliabile per attribuire data certa al contratto e quindi per risolvere correttamente eventuali conflitti tra più aventi causa, nonché per dimostrare il titolo in forza del quale l'avente causa si trova nella disponibilità materiale del bene. Infatti, giusto il dettato dell'art. 1380 c.c., tra più acquirenti di un diritto personale di godimento sul medesimo bene, lo stesso spetta a chi per primo lo abbia conseguito e, qualora nessuno dei contraenti abbia conseguito il godimento, viene preferito chi vanta il titolo di data certa anteriore. Per espressa previsione di cui all'art. 1341 c.c., inoltre, si presume che il potere di fatto su un determinato bene, in difetto di prova di esercizio di esso come detenzione, avvenga a titolo di possesso.

Il contratto di comodato, una volta redatto in forma scritta, deve essere poi registrato entro gg.20 dalla data della sua sottoscrizione

Anche i contratti di comodato gratuito stipulati verbalmente, relativi ad immobili, possono essere registrati, esclusivamente per fruire dell'agevolazione IMU/TASI introdotta dalla legge di stabilità 2016. La registrazione del contratto è necessaria, in particolare, per usufruire anche delle detrazioni fiscali per le spese di ristrutturazione edilizia.

In evidenza

Per registrare il contratto di comodato è sufficiente presentare, presso qualunque ufficio territoriale dell'Agenzia delle Entrate, il modello di richiesta di registrazione (modello 69) in duplice copia e la ricevuta del pagamento di 200 euro per l'imposta di registro effettuato con modello F23 (codice tributo 109T). Oltre all'imposta di registro, per i contratti in forma scritta è dovuta l'imposta di bollo, che si assolve con i contrassegni telematici (ex marca da bollo) aventi data di emissione non successiva alla data di stipula. L'importo dei contrassegni deve essere di 16 euro ogni 4 facciate scritte e, comunque, ogni 100 righe. Qualora il contratto di comodato, sia a tempo determinato, questo può essere rinnovato, pagando ad ogni rinnovo l'imposta di registro pari a 200 euro, se invece contratto di comodato d'uso gratuito di un immobile è a tempo indeterminato, l'imposta di registro va pagata una sola volta.

Durata del contratto

Il codice civile prevede due forme di comodato, quello con una durata determinata (art. 1803 c.c.) e quello invece c.d. precario (art. 1810 c.c.).

Il primo riguarda il comodato che sorge con la consegna della cosa per un tempo predefinito o per un uso che consente di stabilirlo.

L'obbligo di restituzione sorge soltanto alla scadenza del termine oppure quando il comodatario se ne sia servito in conformità del contratto, salva la facoltà del comodante di richiedere la restituzione immediata dell'immobile nel caso in cui sopravvenga un suo urgente ed imprevisto bisogno.

Nulla vieta peraltro che la messa in mora del comodatario per la restituzione del bene avvenga mediante notifica dell'atto di citazione in giudizio, salve le conseguenze sul regolamento delle spese del giudizio nel caso in convenuto aderisca immediatamente alla domanda e rilasci il bene (Cass civ.,sez. II, 27 dicembre 2016, n. 27044).

È caratterizzato comunque dalla facoltà del comodante di esigere la restituzione del bene, oltre che alla scadenza pattuita, anche in via immediata, in presenza però di una sua necessità sopravvenuta, urgente ed imprevista (Cass. civ., sez. III, 10 febbraio 2017, n. 3553).

La portata del bisogno non deve essere grave, ma certamente concreto e serio. Deve dunque trattarsi di un motivo che obbiettivamente giustifichi la restituzione e, come tale, non voluttuario e né capriccioso o artificiosamente indotto e, soprattutto, imminente, restando così esclusa la rilevanza di un bisogno non attuale, ma soltanto astrattamente ipotizzabile. In tal senso è stato affermato che il bisogno che giustifica la richiesta del comodante di restituzione del bene deve essere imprevisto e dunque sopravvenuto rispetto al momento della stipula del contratto di comodato, oltre che urgente, senza che rilevino bisogni non attuali, né concreti o solo astrattamente ipotizzabili (Cass. civ., sez. II, 29 settembre 2014, n.20448).

Scaduto il termine di durata del comodato, qualora l'immobile non venga volontariamente rilasciato dal comodatario, il proprietario può agire giudizialmente nei confronti dell'occupante (con ricorso ex art. 447-bis c.p.c.) per fare valere il suo diritto a riottenere la piena disponibile del bene concesso in uso.

Il comodato precario è invece quello senza determinazione di durata ed è disciplinato dall'art. 1810 c.c. in applicazione del quale quando il termine di restituzione non è stato convenuto dalle parti e non può desumersi dall'uso cui il bene deve essere destinato, il comodatario, prescindendo da giusti motivi del comodante, è tenuto a restituire il bene stesso non appena quest'ultimo gliene faccia richiesta. Esso è caratterizzato da una libera facoltà di recesso unilaterale del rapporto riconosciuta in capo al comodante.

Tale figura contrattuale, prevista dal citato articolo sotto la dizione «comodato senza determinazione di durata», non vale ad annullare l'essenzialità del termine del contratto, ma mira a sottolineare soltanto che, in simile ipotesi, il termine possa essere determinato da uno solo dei contraenti mediante l'esecuzione del recesso, evitando in tal modo che il rapporto possa protrarsi all'infinito (Trib. Roma 3 marzo 2017, n. 4537).

Il vincolo di destinazione

Se manca l'indicazione del termine finale, questo può quindi desumersi dall'uso per cui l'immobile è stato concesso in comodato, circostanza quest'ultima apparentemente innocua, ma che assume importante rilievo se si considera che, ad esempio, è ormai fermo il principio per cui, nella previsione di destinazione dell'immobile ad abitazione familiare, la determinazione della durata della concessione va rapportata a tale uso (Cass. civ.,sez. un., 29 settembre 2014, n.20448).

L'esigenza di conservazione della casa familiare nell'interesse della prole fa si che all'immobile venga impresso un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari a favore di tutti i componenti della famiglia e non solo a titolo personale del comodatario. Il diritto all'abitazione, d'altro canto, deve essere ricondotto ai diritti sociali inviolabili di cui all'art. 2 Cost. ed assume pertanto una rilevanza tale da rendere il vincolo di destinazione una garanzia degli interessi della famiglia e, in quanto tale, prevalente rispetto all'interesse delle parti originarie del contratto.

Il che porta ad affermare che il contratto di comodato stipulato con tale vincolo di destinazione dura sino a quando perdurano le esigenze abitative e deve pertanto qualificarsi come contratto a tempo indeterminato nei confronti di tutti i componenti della famiglia, a prescindere da chi ne sia stato effettivamente e formalmente parte (Cass. civ.,sez. III, 25 ottobre 2016, n.21467).

In evidenza

Il coniuge affidatario della prole minorenne, o maggiorenne non autosufficiente, assegnatario della casa familiare in sede di separazione o di divorzio, può opporre al comodante, che chieda il rilascio dell'immobile, l'esistenza di tale provvedimento solo se tra il comodante e almeno uno dei coniugi il contratto in precedenza intercorso abbia contemplato la destinazione del bene a casa familiare. In tal caso il rapporto sorge per un uso determinato ed ha una durata determinabile per relationem ed è destinato a persistere o a venir meno con la sopravvivenza o il dissolversi delle necessità familiari che avevano legittimato l'assegnazione dell'immobile

La volontà di assoggettare il bene concesso in comodato a vincoli d'uso particolarmente gravosi, quali appunto la destinazione a residenza familiare, non può essere presunta, ma va positivamente accertata ed anzi, nel dubbio, va adottata la soluzione più favorevole alla sua cessazione. E così, qualora il vincolo matrimoniale del comodatario sopraggiunga nel corso del rapporto di comodato, occorre la prova che il comodante abbia inteso trasformare la natura del vincolo originariamente impresso al comodato per abitazione del solo figlio in destinazione dell'immobile alle esigenze del gruppo familiare poi costituitosi nel corso del rapporto, non potendosi quindi desumere che tale seconda destinazione derivi dal fatto della preventiva convivenza dei coniugi in regime di famiglia di fatto (Cass. civ.,sez.III, 18 agosto 2017, n.20151).

Per contro, il provvedimento giudiziale ha l'effetto di “cristallizzare” il rapporto preesistente, da un lato, consentendo di qualificare come pregiudizievole alla famiglia, e quindi violativa degli obblighi di assistenza e solidarietà, l'eventuale condotta del coniuge escluso il quale -per motivi meramente conflittuali ed emulativi- si accordi con il comodante, stipulando un accordo per sciogliere anzitempo il rapporto di comodato; dall'altro non interferendo nei diritti del comodante, che rimangono regolati dal medesimo originario titolo negoziale che, in considerazione dell'impressa destinazione d'uso all'immobile alle esigenze del nucleo familiare, determina in tal modo per relationem la durata del contratto, riconducendolo nello schema negoziale del comodato a tempo determinato ex artt. 1803 e 1809 c.c. (Cass. civ.,sez. VI, 12 febbraio 2018, n.3302).

Può dirsi dunque che il comodato di un immobile successivamente adibito, per inequivoca e comune volontà delle parti contraenti, ad abitazione di un nucleo familiare, non può essere risolto in virtù della mera manifestazione di volontà ad nutum espressa dal comodante, dal momento che deve ritenersi impresso al contratto un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all'uso cui la cosa è destinata il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi familiare tra coniugi. Ne consegue che il rilascio dell'immobile, finché non cessano le esigenze abitative familiari cui esso è stato destinato, può essere richiesto, ai sensi dell'art. 1809, comma 2, c.c., solo nell'ipotesi di un bisogno contrassegnato dall'urgenza e dall'imprevedibilità (Cass. civ.,sez.III, 2 febbraio 2017, n.2711).

Nel momento in cui i coniugi vengono però autorizzati a vivere separati, ed in assenza di una assegnazione della casa coniugale, viene meno il rapporto di comodato, fatto che legittima il proprietario a richiedere in ogni momento la restituzione del bene.

La permanenza nell'immobile determina, in tal caso, un'occupazione senza titolo che giustifica la richiesta del pagamento di un'indennità per compensare il mancato godimento del bene (Trib. Livorno 9 febbraio 2017, n.155).

Per l'intera vita del comodatario

Può accadere che il bene immobile venga concesso in comodato per tutta la vita del comodatario. Si parla, in questo caso, di contratto con termine dove, mancando l'elemento accidentale per l'individuazione della precisa durata finale, il comodante ha limitata la possibilità di recuperare quando voglia la disponibilità materiale dell'immobile. Ne consegue che, in tale evidenza, il comodante e i suoi eredi possono sciogliersi dal contratto non liberamente come avviene nel contratto precario, ma soltanto nelle ipotesi in cui il comodatario muti l'uso del bene determinato in contratto ovvero sopraggiunga un serio bisogno del comodante di servirsi del bene stesso (Cass. civ.,sez. III, 18 marzo 2014, n. 6203).

Non sono mancati, per il vero, opinioni contrarie che hanno negato la possibilità che il comodato immobiliare superi il limite trentennale stabilito per la locazione (art. 1573 c.c.), in quanto questo sarebbe espressione generale di un limite alla concessione di diritti personali di godimento. Si sono anche manifestati dubbi sulla legittimità di un comodato - anche precario - la cui cessazione sia legata a eventi non solo futuri, ma anche incerti: in tal modo si protrarrebbe in maniera indeterminata la durata del rapporto, in contrasto con i principi generali sui contratti di durata, per i quali è normalmente previsto il recesso ad nutum, nonché con la disciplina positiva dell'art. 1810 c.c., ed ancora con il carattere di gratuità, che mal si concilia con un sacrificio illimitato del comodante.

La concessione in comodato di un immobile per tutta la vita del comodatario costituisce invero un contratto a termine, di cui è certo l'an ed è incerto il quando (Cass. civ.,sez.III, 3 aprile 2008, n.8548), a fronte del quale il comodante o i suoi eredi possono sciogliersi dal contratto ma soltanto nelle ipotesi descritte dagli artt. 1804, comma 3, 1809 e 1811 c.c. e non liberamente come avviene nel comodato precario. Con l'inserimento di un elemento accidentale, quale l'individuazione di una precisa durata (la massima durata possibile, coincidente con la vita della beneficiaria), il comodante sceglie liberamente, d'accordo con il comodatario, di inserire nel contratto un elemento accidentale - il termine appunto - che limita la sua possibilità di recuperare quando lo ritiene opportuno la disponibilità materiale dell'immobile e al contempo rafforza la posizione del comodatario, garantendogli il godimento di quell'immobile per tutto il tempo individuato con la fissazione del termine e sottraendolo al rischio di subire il recesso ad nutum.

Il termine esiste ed è certo nell'an, coincidendo con il decesso del comodatario, anche se non è predeterminabile come data. In tal modo le parti concludono un contratto di comodato a termine, destinato a prolungarsi anche oltre la vita del comodante e a cessare (salvo le ipotesi dell'art. 1804 c.c. e salvo un urgente ed imprevisto bisogno del comodante) solo con la morte del comodatario, in quanto la previsione, per il suo significato letterale, non avrebbe senso al di fuori di un contratto a termine ed è incompatibile con la previsione di un comodato precario.

Gli obblighi del comodatario

Oltre a quello di restituire il bene ricevuto alla scadenza del comodato, sul comodatario gravano altre obbligazioni. Egli è tenuto, in primo luogo, a custodirlo e a conservarlo con la diligenza del buon padre di famiglia, con quella diligenza cioè normalmente richiesta ad ogni debitore (art. 1176, comma 1, c.c.).

La clausola che pone a carico del comodatario tutti i rischi derivanti dalla gestione della cosa data in comodato ha natura vessatoria (e quindi priva di efficacia ex art. 1341 c.c.), non essendo riproduttiva di alcuna regola legale, posto che ai sensi dell'art. 2051 c.c. anche il comodante risponde dei danni derivanti a terzi dal bene concesso in comodato, conservandone la custodia (Cass. civ.,sez.III, 30giugno 2015, n.13363).

Deve inoltre servirsi del bene secondo l'uso determinato contrattualmente o dalla natura della cosa (art. 1804, comma 1, c.c.). Ed infatti, secondo il combinato disposto degli artt. 1804 -1807 c.c. il comodatario è tenuto a custodire e conservare la cosa con la diligenza del buon padre di famiglia e non risponde del deterioramento causato solo dall'uso conforme della res, senza sua colpa (Trib. Bari25 febbraio 2016, n. 1126).Nell'ambito dell'obbligo di custodia egli è tenuto ad avvertire il proprietario di ogni danno al bene da lui custodito e su di lui incombe quindi l'obbligo di informare il comodante o di eventuali cedimenti, infiltrazioni, carenze degli impianti elettrici e di ogni altro danno verificatosi nell'immobile custodito cui deve però far fronte il proprietario (Cass. civ.,sez. III, 13 gennaio 2015, n.296).

Da ciò deriva l'esclusione della possibilità per il comodatario di vedersi rimborsato il costo, anche in forma di indennità o indennizzo, delle eventuali migliorie da lui apportate al bene se non siano risultate necessarie per fare fronte ad improcrastinabili esigenze di conservazione del bene stesso, sebbene queste abbiano apportato miglioramenti (Cass. civ.,sez.III,30 giugno 2015, n.13339).

Né tanto meno può ravvisarsi, in tal caso, un arricchimento senza causa del comodante ex art. 2041 c.c., stante il chiaro ed insuperabile divieto di rimborso previsto dall'art. 1808 c.c. (Cass. civ., sez.II, 27 gennaio 2012, n. 1216).

Non è neppure invocabile, a titolo di applicazione analogica, l'art. 1592 c.c. in tema di rapporto di locazione, poiché il diritto ad un indennizzo per le migliorie apportate è negato anche al locatario. Si può, invece, riconoscere al comodatario il diritto di rimuovere, se ed in quanto possibile, le addizioni da lui apportate al bene concessogli in uso.

La norma di cui all'art. 1808, comma 1, c.c. ha comunque carattere dispositivo, per cui può essere derogata dalla volontà delle parti del contratto.

Il comodatario non risponde invece del deterioramento del bene dovuto al solo effetto dell'uso per il quale è stato consegnato e senza colpa del comodatario stesso (art. 1807 c.c.) Così il comodante, che avanzi istanza di risarcimento danni per deterioramento dell'immobile conseguente ad un uso eccedente quello negozialmente convenuto, deve provare il fatto costitutivo del suo diritto, e cioè il deterioramento intervenuto fra il momento della consegna e quello della restituzione. Infatti, costituisce onere del comodatario convenuto dimostrare, in via di eccezione e quale fatto impeditivo della sua responsabilità, che quel deterioramento si è verificato per effetto dell'uso conforme al contratto o, comunque, per fatto a lui non imputabile.

Va al riguardo evidenziato che, come si desume dal disposto dell'art. 1808 c.c., mentre spettano al comodante le spese di straordinaria amministrazione e se le stesse sono sostenute dal comodatario questi ha diritto al relativo rimborso solo se necessarie ed urgenti, restano sempre a carico del comodatario le spese sostenute per servirsi della cosa locata.

Si tenga peraltro presente che il rimedio generale della risoluzione per inadempimento non può essere utilizzato in relazione al contratto di comodato, che è contratto essenzialmente gratuito e non perde tale sua caratteristica anche quando, come si è visto, siano previste delle pattuizioni di apprezzabile peso economico a carico del comodatario, in quanto esse rimangono pur sempre pattuizioni accessorie e non snaturano il rapporto, al quale non possono essere applicati rimedi che sono riservati ai contratti a prestazioni corrispettive(Cass. civ.,sez. III, 18 marzo 2014, n.6203).

Diversa è l'ipotesi di restituzione anticipata del bene dato in comodato, cui fa riferimento l'art. 1804 c.c., che è utilizzabile come rimedio per l'inadempimento del comodatario esclusivamente in caso di violazione degli obblighi espressamente richiamati dalla norma, che integrano altrettante ipotesi di abuso della cosa oggetto del comodato e di violazione della fiducia riposta dal comodante nel comodatario: le ipotesi previste dalla norma sono infatti il mancato rispetto dell'obbligo di custodire e conservare la cosa, di fare l'uso della cosa previsto dal contratto o derivante dalla natura del bene, e la concessione del godimento di essa a terzi senza il consenso del comodante.

La responsabilità del comodante

Qualora l'immobile concesso in comodato presenti vizi tali da arrecare danno a chi se ne serve, il comodante è tenuto al risarcimento se, nonostante fosse a conoscenza dei vizi medesimi, non ne abbia avvertito il comodatario (art. 1812 c.c.).

Si tratta di una forma attenuata, rispetto a quella prevista, ad esempio, dagli artt. 1490 ss. e 1578 c.c., di responsabilità per vizi del bene.

L'obbligazione del comodante non consiste nel consegnare un bene esente da vizi - come invece è per il venditore e per il locatore, scusabili solo se provano di avere senza colpa ignorato i vizi (artt. 1494, comma 2, e 1578, comma 2, c.c.) - ma più semplicemente nell'avvisare della presenza di difetti nella cosa consegnata solo se di tali difetti sia venuto a conoscenza. Ciò a motivo del carattere di gratuità del comodato, nel senso che, non ricevendo il comodante alcun vantaggio economico, appare opportuno non gravarlo di una responsabilità particolarmente pesante.

Di conseguenza, si ritiene che l'art. 1812 c.c. si applichi anche alla fattispecie in cui la mancata conoscenza dei vizi della cosa da parte del comodante sia dovuta a colpa grave.

La morte del comodatario e del comodante

Nel contratto di comodato, il decesso del comodatario (art. 1811 c.c.) non sembra sciogliere automaticamente il contratto, ma legittima il comodante alla richiesta di restituzione (“recesso”), a prescindere dalla presenza di un termine non ancora scaduto: la ragione è qui non nel rapporto di immediatezza tra il soggetto e il diritto, ma nel carattere fiduciario del comodato.

In tale fattispecie, l'elemento della fiducia caratterizza esclusivamente in rapporto intercorrente tra comodante e comodatario e non viceversa. Ne consegue che, stante il carattere eccezionale dell'art. 1811 c.c., è riconosciuto solo al comodante la facoltà di richiedere agli eredi del comodatario la restituzione del bene concesso in comodato.

Il contratto di comodato comporta naturalmente, per le parti, obblighi e diritti che, come avviene di norma per tutti gli altri rapporti obbligatori, in caso di morte degli stipulanti si trasferiscono ai loro eredi. Tuttavia, considerata la particolare natura del negozio, sotto il profilo dello speciale rilievo che in esso acquista per il comodante la persona del comodatario, cui requisiti e le cui condizioni lo hanno indotto e consegnarli un proprio bene, perché se ne serva in modo essenzialmente gratuito, l'art. 1811 c.c. dispone che, in caso di morte del comodatario, il comodante, benché sia stato convenuto un termine, può esigere degli eredi di lui l'immediata restituzione della cosa. Da ciò deriva che, allorché si verifica l'evento contemplato, il comodante, che secondo i principi generali dovrebbe rispettare il termine pattuito con suo dante causa e non ancora scaduto, ha facoltà di recedere dal contratto, determinandone la risoluzione mediante idonea manifestazione di volontà, come se si trattasse di comodato a tempo indeterminato. Ma, se tale volontà non viene manifestata, il rapporto prosegue, con le caratteristiche e gli obblighi iniziali, anche rispetto agli eredi degli stipulanti.

Ne deriva che nel caso di comodato gratuito a tempo indeterminato, qualora si verifichi la morte del comodatario, il comodante potrà chiedere la restituzione dell'immobile in qualsiasi momento. In caso di ingiustificato rifiuto del coniuge o erede del comodatario di rilasciare l'immobile concesso in comodato, il comodante potrà esperire un procedimento di ricorso per occupazione sine titulo dinanzi al Tribunale competente territorialmente, nel quale potrà richiedere non solo l'accertamento dell'avvenuta cessazione del contratto di comodato gratuito e il rilascio dell'immobile che ne formava oggetto, ma potrà anche la condanna del resistente al risarcimento dei danni e al pagamento di un'indennità di occupazione, a partire dalla richiesta di rilascio fino al rilascio effettivo.

Più dubbia è l'ipotesi di decesso del comodante: un orientamento ha affermato che da essa sorga, a favore degli eredi, il diritto alla risoluzione del comodato e quindi a pretendere la restituzione del bene in quanto il comodato sarebbe caratterizzato da intuitus personae anche dalla parte del comodante. Il contratto non può consentire la successione di terzi, ancorché eredi delle parti originarie, nel rapporto caratterizzato dall'elemento della fiducia.

La morte del comodante non costituisce di per sé causa estintiva del diritto, e determina - come anche nel caso della morte del comodatario (art. 1811 c.c.) - la risoluzione del comodato, ma sono gli eredi del comodante che possono agire per la risoluzione e pretendere la restituzione della cosa e che subentrano nel diritto che aveva il comodante di ottenere la restituzione del bene ad nutum (Trib. Pisa 27 maggio 2016, n. 721)

Non mancano però le opinioni contrarie che, accogliendo alcune indicazioni dottrinarie, hanno affermato che quando la morte del comodante intervenga prima dello scadere del termine, esplicito o derivante dall'uso, gli eredi sono tenuti a rispettare il termine: essi subentrano nella medesima posizione obbligatoria del comodante, senza che si verifichi lo scioglimento automatico (Cass. civ.,sez.III, 3 aprile 2008, n. 8548).

La fiducia su cui si fonda il comodato è quella che il comodante ripone nel comodatario, per cui solo la morte di quest'ultimo legittima l'immediata restituzione, e sempre se il comodante decida di esercitare la relativa facoltà . Gli eredi del comodante avranno il potere di recedere dal contratto nei casi e nei limiti di legge (artt. 1804, comma 3, 1811 e 1809 c.c.) a seconda della natura e del termine del comodato.

Casistica

CASISTICA

Mutamento di destinazione del bene concesso in comodato

In assenza di qualsiasi iniziativa assunta dai comodanti per contestare il diverso uso dell'immobile, deve ritenersi che gli stessi abbiano inteso autorizzare tacitamente il comodatario ad immettere il coniuge e quindi la figlia nel godimento dell'immobile e che le originarie parti contraenti - genitori e figlio - abbiano ritenuto, di comune intesa, modificare i precedenti accordi contrattuali concernenti l'«uso determinato» (per esigenze lavorative) cui l'immobile originariamente era stato destinato ex art. 1803 c.c., riconoscendo che lo stesso era, invece, diretto a soddisfare le esigenze della famiglia e dunque costitutiva «casa familiare» (Cass. civ.,sez. VI, 12 febbraio 2018, n.3302).

Il bene dato in comodato dal futuro de cuius ad un erede non è qualificabile come donazione

Il godimento in comodato di un immobile concesso durante la propria vita dal de cuius non è qualificabile come donazione soggetta a collazione, atteso che l'utilità per il comodatario consiste nell'uso personale, gratuito e temporaneo della cosa, essendo insito nello schema causale del contratto l'obbligo di restituzione. Tali peculiarità sono incompatibili con l'illimitata rinuncia alla disponibilità del bene che caratterizza la struttura e la finalità della donazione nella quale la predetta utilità costituisce il risultato finale dell'atto posto in essere (Cass. civ.,sez.II, 16 novembre 2017, n.27259).

L'occupazione della casa familiare da parte del figlio convivente con la madre

La lunga convivenza con la madre nell'appartamento rende il rapporto instauratosi riconducibile ad un negozio atipico di tipo familiare, concluso per fatti concludenti. Tale rapporto fa sorgere una forma di detenzione qualificata ma precaria ed equiparabile, ai fini della disciplina, a quella del comodato senza determinazione di durata (Trib.Modena1 febbraio 2018).

Il comodato di alloggio ad uso abitativo e usucapione

Il comodato di alloggio ad uso abitativo costituisce una detenzione e non un possesso atto ad usucapire, tanto nei confronti del comodatario quanto dei familiari con lo stesso conviventi (Cass. civ. sez II, 17 ottobre 2017,n.24479).

Guida all'approfondimento

Boni, Comodato sopravvenuto urgente ed impreveduto bisogno del comodante, in Foro it., 2016, fasc. 4, I, 1242;

Cipruani, Il comodato senza determinazione di tempo: un tertium genus? in Rass. dir. civ., 2008, fasc.4, 1157;

Dosi, Individuazione del contratto come precario in Guida al diritto, 2010, 33;

Ferrari, Il comodato di durata aleatoria, in Foro it., 2009, fasc. 4, I, 1203;

Mendicino, Convivenza e usucapione, in Dir. & giust., 2017, fasc. 16, 8;

Mora, Il comodato modale, Milano, 2001;

Tarantino, Immobile in comodato: si al rilascio e non al risarcimento dei danni, in Dir. & giust., 2014, fasc.1, 94.

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