Se nel contratto è indicato un valore commerciale superiore al valore di acquisto, come deve essere liquidato l'indennizzo?
19 Luglio 2018
L'assicurato, che abbia garantito il proprio veicolo contro il rischio dell'incendio indicando in polizza non il minore prezzo di acquisto bensì il maggiore valore commerciale, ha diritto, nel caso in cui si verifichi l'evento, alla liquidazione dell'indennizzo in misura pari al valore commerciale ovvero l'assicuratore si libera dagli obblighi liquidando l'indennizzo in misura pari al prezzo di acquisto, anche se abbia commisurato il premio sul valore commerciale?
Con il contratto di assicurazione, l'assicuratore si obbliga a rivalere l'assicurato del danno ad esso prodotto da un sinistro, nei limiti stabiliti dai medesimi contraenti ovvero dalla legge. Tra questi ultimi vi è quello previsto dall'art. 1905 c.c., a mente del quale «l'assicuratore è tenuto a risarcire, nei modi e nei limiti stabiliti dal contratto, il danno sofferto dall'assicurato in conseguenza del sinistro». La norma appena richiamata definisce il c.d. principio indennitario; principio che delimita la misura dell'indennizzo cui ha diritto l'assicurato al verificarsi del rischio assicurato e che si desume dalla lettura combinata di questa disposizione e degli artt. 1907, 1908 e 1909 c.c. In particolare, prevede l'art. 1908 c.c. che, accertando il danno, alle cose perite o danneggiate non si può attribuire un valore superiore a quello che avevano al tempo del sinistro. Il comma 2 della norma in esame ammette che le parti stabiliscano il valore delle cose assicurate già al momento della conclusione del contratto, purché mediante stima accettata per iscritto; chiarisce, però, il comma 3 che non equivale a stima la mera dichiarazione di valore delle cose assicurate indicata nella polizza ovvero in altri documenti contrattuali. Si ritiene che questi principi non tollerino eccezioni e che le norme in esame abbiano natura imperativa, anche se questa tesi è stata talvolta messa in discussione quando il valore assicurabile sia stato stabilito ex ante mediante una stima accettata: in tal caso, l'assicurato avrebbe diritto ad un indennizzo pari al valore assicurato anche qualora questo non sia corrispondente al danno effettivo e cioè al valore della cosa al momento del sinistro.
Tuttavia recentemente la giurisprudenza ha optato per una interpretazione più rigida della norma e del principio indennitario, avendo affermato che «l'articolo 1908 c.c., rubricato "valore della cosa assicurata", prevede che, nell'accertare il danno, non si può attribuire alle cose perite o danneggiate, o rubate in caso di assicurazione contro il furto, un valore superiore a quello che avevano al tempo del sinistro. Il fatto che, il comma 2 della predetta norma, preveda che il valore possa essere stabilito al momento della conclusione del contratto con stima accettata dalle parti, non vuol dire che si possa derogare alla norma imperativa innanzi descritta di cui all'art. 1908, comma 1, c.c., ma vuol dire solo che l'accertamento non del danno, ma del valore del bene assicurato nel momento della stipula della polizza, può esser fatto d'accordo dalle parti, fermo restando che, quando si tratterà di accertare non astrattamente il valore, ma il danno, ovvero la somma occorrente per risarcirlo, si dovrà di nuovo verificare, nell'ipotesi di perdita totale come nel caso del furto, quel valore medesimo così come attribuibile al momento della perdita» (Trib. Roma, 12 settembre 2013 n. 18110; in senso difforme, invece, App. Milano 13 settembre 2005 n. 2092, secondo la quale la «violazione del principio indennitario che informa il sistema dell'assicurazione contro i danni è insito nell'istituto (ndr la stima accettata), il quale rappresenta una deroga a quel principio espressamente contemplato al precipuo scopo di sollevare l'assicurato dal gravoso onere di provare il valore delle cose assicurate in caso di avveramento dell'evento)». In ogni caso, se non vi è una stima accettata, l'assicuratore sarà tenuto a liquidare un indennizzo commisurato al valore della cosa accertato al momento del sinistro ed è lo stesso legislatore a prevedere e disciplinare l'eventuale divergenza originaria del valore assicurabile rispetto al valore assicurato: invero, qualora questo sia inferiore si avrà sottoassicurazione, regolata dall'art. 1907 c.c., a mente del quale «se l'assicurazione copre solo una parte del valore che la cosa assicurata aveva nel tempo del sinistro, l'assicuratore risponde dei danni in proporzione della parte suddetta, a meno che non sia diversamente convenuto»; laddove invece il valore assicurato sia superiore al valore assicurabile si avrà sovrassicurazione, i cui effetti sono disciplinati dall'art. 1909 c.c., a sensi del quale non è valido il contratto se vi è stato dolo dell'assicurato mentre negli altri casi l'assicurazione avrà «effetto fino alla concorrenza del valore reale della cosa assicurata», fermo il diritto del contraente ad una proporzionale riduzione del premio per l'avvenire. Venendo al quesito, vi è da stabilire innanzitutto se vi sia sovrassicurazione qualora l'assicurato, pur avendo acquistato un bene ad un prezzo anche sensibilmente inferiore al suo valore di mercato, lo abbia poi assicurato tenendo conto di quest'ultimo valore. L'art. 1908 c.c. non specifica affatto cosa debba intendersi per valore della cosa, ossia se questo debba determinarsi avendo riguardo all'esborso sostenuto per il suo acquisto ovvero se si possa (o addirittura si debba) prescindere del tutto dal prezzo di acquisizione.
Sarei orientato a privilegiare questa seconda opzione sulla scorta di due semplici osservazioni: a) non è affatto detto che l'assicurato abbia corrisposto un prezzo per l'acquisto della cosa, ben potendo darsi il caso che gli sia stata trasferita a titolo gratuito; b) tanto non significa che il proprietario non abbia interesse all'assicurazione, discendendo questo interesse dalla volontà e/ o esigenza di preservare la consistenza del suo patrimonio (Cass. civ., sez. III, sent., 17 giugno 2013 n. 15107), che non può non identificarsi nel valore posseduto dal bene assicurato nel momento dell'evento.
Dunque, in un caso del genere solo apparentemente vi sarebbe divergenza tra valore assicurato e valore assicurabile poiché certamente vi sarebbe corrispondenza tutte le volte in cui il prezzo di acquisto – inferiore rispetto al valore commerciale – sia solo la conseguenza di un buon affare. La perdita o integrale distruzione del bene (come nel caso di incendio totale) darebbe dunque diritto all'assicurato di ottenere l'indennizzo commisurato non al valore di acquisizione del bene bensì al valore di mercato, tanto più se poi questo valore è stato assicurato e su questo l'assicuratore ha calcolato il premio. Tuttavia, ed allo scopo di prevenire eventuali contestazioni nel momento in cui, avveratosi il rischio, si deve liquidare l'indennizzo, sarebbe prudente che l'assicurato, in casi del genere, facesse accertare preventivamente il detto valore mediante stima per iscritto accettata dalle parti.
Una tale soluzione avrebbe il conforto di un recente precedente giurisprudenziale di merito. In quel caso la Corte territoriale, adita in appello dall'assicurato che lamentava di avere avuto liquidato l'indennizzo non in misura pari al valore assicurato bensì pari al valore più basso di acquisto, confermò la sentenza impugnata affermando che «in materia di assicurazione contro i danni vige il principio indennitario, in base al quale l'assicuratore è tenuto ad indennizzare l'assicurato del danno dallo stesso sofferto per l'evento cui fa riferimento la garanzia assicurativa, danno pari al valore che la cosa assicurata aveva al momento dell'evento (art. 1908 c.c., comma 1) e non al valore della cosa assicurata quale dichiarato nella polizza o in altri documenti (art. 1908 c.c., comma 3). Pertanto, il fatto che il bene in questione sia stato assicurato il 14 ottobre 1999 per un massimale di L. 18.000.000 è irrilevante a fronte del fatto (incontestato e documentalmente provato) che il C. ha acquistato lo stesso 22 giorni prima (il (OMISSIS) di tale data al prezzo di Euro 2.091,22 (corrispondente a L. 4.049.167) e che il furto del medesimo è avvenuto 16 giorni dopo la stipulazione del suddetto contratto di assicurazione» (App. Bari 8 agosto 2012 n. 908). Si è però affrettata ad aggiungere la Corte che l'appellato «non ha mai sostenuto di avere acquistato il veicolo ad un prezzo inferiore a quello di mercato (corrispondente al valore dello stesso nelle condizioni in cui si trovava)» e che inoltre non era più ammissibile la prova testimoniale tendente a dimostrare che egli aveva, medio tempore, revisionato e posto in buone condizioni tale auto: con ciò facendo intendere che diverso avrebbe potuto essere l'esito se nel processo fosse stata acquisita la prova dell'effettivo e maggiore valore del bene. In definitiva, sembra potersi concludere nel senso che il valore cui deve farsi riferimento ai fini della liquidazione dell'indennizzo sia sempre quello di mercato ma che questo possa essere legittimamente contestato dall'assicuratore qualora sia accertato successivamente un diverso ed inferiore prezzo di acquisto del bene, gravando quindi sull'assicurato l'onere di provare l'effettivo danno se non avrà avuto cura, alla stipula del contratto, di fare accertare il valore assicurabile mediante stima accettata. E sarà estremamente prudente per l'assicurato cautelarsi ricorrendo alla stima accettata anche per non incorrere nel rischio che l'assicuratore eccepisca la dolosa sovrassicurazione e neghi l'indennizzo ai sensi dell'art. 1909, comma 1, c.c.
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