Nel processo tributario il Giudice non è obbligato a nominare un interprete
19 Luglio 2018
Massima
Nel nostro ordinamento non sussiste un principio generale di presunzione di ignoranza della lingua italiana nei confronti dei Cittadini stranieri. Ne consegue che rispetto agli atti stragiudiziali – quali i processi verbali di constatazione e gli avvisi di accertamento – gli stessi Cittadini stranieri hanno facoltà di farsi assistere, a proprie spese, da un interprete e farsi tradurre i relativi atti. Nel processo tributario non trova applicazione l'art. 122 c.p.c. il quale dispone che il Giudice possa nominare un interprete. È inoltre legittimo assolvere l'obbligo di motivazione degli atti tributari anche “per relationem” mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti quando gli stessi ne riproducano il contenuto essenziale e siano comunque conosciuti dal Contribuente. Il caso
La Guardia di Finanza effettuava una verifica fiscale nei confronti di una attività commerciale gestita in Sicilia da un Cittadino straniero di nazionalità Cinese a conclusione della quale redigeva un processo verbale di constatazione. La competente Agenzia delle Entrate, richiamando le risultanze del p.v.c., emetteva un avviso di accertamento che notificava al Contribuente – Cittadino straniero.
Quest'ultimo impugnava il provvedimento di accertamento dinnanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Messina eccependone la nullità per mancata traduzione sia dell'avviso che del p.v.c. in esso richiamato, nonché per carenza di motivazione atteso che il provvedimento impugnato faceva riferimento alle risultanze del pvc, anch'esso non tradotto e non allegato. I primi Giudici ritenevano infondate le doglianze del Ricorrente e rigettavano il ricorso.
Il Contribuente gravava quindi la sentenza dinnanzi alla Commissione Tributaria Regionale Sicilia – sezione staccata di Messina, eccependo la nullità dell'avviso di accertamento per mancata preventiva nomina di un interprete e mancata traduzione dell'atto nonchè per difetto di motivazione del provvedimento originariamente impugnato considerato che lo stesso veniva motivato “per relationem” rispetto al pvc elaborato dai Militari.
I Giudici del gravame rigettavano l'appello argomentando preliminarmente che “non sussiste nel nostro sistema un principio di presunzione di ignoranza della lingua italiana in capo agli stranieri i quali, rispetto agli atti stragiudiziali (quale è la verifica fiscale ed il successivo avviso), hanno facoltà – a proprie spese – di farsi assistere ad un interprete e farsi tradurre i relativi atti consequenziali”.
Ritenevano, inoltre, legittimo l'avviso di accertamento che rinvii la propria motivazione alle risultanze del pvc, osservando “che è pacifica la validità della motivazione per relationem rispetto ad un verbale di constatazione notificato o semplicemente consegnato…ovvero mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale”. Le questioni
I profili di maggiore rilievo giuridico esaminati dai Giudici territoriali sia nella sentenza di prima istanza che in quella di gravame nella sostanza sono stati due:
I Giudici del gravame hanno reputato legittima la motivazione di un avviso di accertamento che faccia riferimento ad un processo verbale di constatazione purchè quest'ultimo atto sia stato notificato o semplicemente consegnato al contribuente, ritenendo possibile assolvere all'obbligo di motivazione degli atti tributari anche “per relationem” mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, quando l' avviso stesso ne riporti gli elementi essenziali. A tale proposito hanno affermato che “la consegna del processo verbale di constatazione è equipollente alla notificazione in quanto idonea a soddisfare l'esigenza di certezza, stante la medesima efficacia di piena conoscenza dell'atto da parte dell'interessato per cui non sussiste l'obbligo di allegazione qualora l'atto sia comunque conosciuto dal contribuente”.
Le soluzioni giuridiche
L'art. 122 del c.p.c. (Uso della lingua Italiana. Nomina dell'interprete) dispone che “in tutto il processo è prescritto l'uso della lingua italiana. Quando deve essere sentito chi non conosce la lingua italiana, il Giudice può nominare un interprete”.
Il successivo art. 123 (Nomina del traduttore) dispone che “Quando occorre procedere all'esame di documenti che non sono scritti in lingua italiana, il giudice può nominare un traduttore”.
A parere del Collegio territoriale però nel processo tributario non possono trovare applicazione le richiamate disposizioni del processo civile in tema di “uso della lingua italiana” in quanto “solo nell'ambito del processo civile l'art. 122 c.p.c. che prescrive l'uso della lingua italiana in tutto il processo, prevede che ‘quando deve essere sentito chi non conosce la lingua italiana, il giudice può nominare un interprete'”.
Pertanto, non sussistendo un principio di presunzione di ignoranza della lingua italiana in capo ai Cittadini stranieri rispetto sia ai p.v.c. che agli avvisi di accertamento, questi potranno a propria spese farsi assistere da un interprete e farsi tradurre i relativi provvedimenti utili per la difesa nei confronti del Fisco.
A parere dei Giudici messinesi, inoltre, non sussisterebbe alcun obbligo di allegazione del processo verbale all'avviso di accertamento anche qualora quest'ultimo atto fondi la propria motivazione nel p.v.c., poichè la materiale “consegna del processo verbale di constatazione” ha natura equipollente alla notifica “in quanto idonea a soddisfare l'esigenza di certezza, stante la medesima efficacia di piena conoscenza dell'atto da parte dell'interessato”. Anche sotto il profilo sostanziale la motivazione dell'avviso di accertamento “per relationem”, con espresso rinvio alle conclusioni contenute nel processo verbale della Guardia di Finanza, sarebbe legittima “significando che l'Ufficio stesso, condividendone le conclusioni ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio”. Osservazioni
I processi di globalizzazione economica e di migrazione di massa che caratterizzano l'economia contemporanea con un continuo fiorire di attività economiche gestite da Cittadini stranieri, rendono estremamente attuali le problematiche riguardanti le conoscenze linguistiche delle Parti processuali affrontate dai Giudici messinesi con la sentenza in esame.
La Corte di legittimità, esaminando una fattispecie analoga a quella in commento ha recentemente avuto modo di pronunciarsi sulla obbligatorietà dell'uso della lingua italiana negli atti del processo tributario e sulla non obbligatorietà per il Giudice della nomina di un traduttore, statuendo che l'uso della lingua italiana “è obbligatoria per gli atti processuali in senso proprio e non anche per i documenti prodotti dalle parti, relativamente ai quali il giudice ha, pertanto, la facoltà, e non l'obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore ex art. 123 cod. proc. civ., di cui si può fare a meno allorché non vi siano contestazioni sul contenuto del documento o sulla traduzione giurata allegata dalla parte e ritenuta idonea dal giudice, mentre, al di fuori di queste ipotesi, è necessario procedere alla nomina di un traduttore, non potendosi ritenere non acquisiti i documenti prodotti in lingua straniera”. (Cass. civ., sez. trib., 17 giugno 2015, n. 12525).
Con una meno recente statuizione sul tema la Corte aveva già chiarito che “Qualora nel processo tributario sia coinvolto un contribuente appartenente ad una minoranza linguistica riconosciuta, se gli atti processuali personali vengono assunti in lingua italiana anziché nella lingua madre della parte alloglotta, ovvero gli atti provenienti dalla difesa tecnica, che devono essere redatti in italiano, non sono tradotti, occorre accertare, nel merito, sia se la parte processuale che riceve la tutela conosce la lingua italiana, sia se la mancata traduzione ha in qualche modo inciso sul suo diritto di difendersi in quel processo; si tratta di presupposti di fatto, la cui verifica è demandata, previa necessaria specifica denuncia dell'interessato, in via esclusiva al giudice del merito, con l'effetto che se questi, con valutazione insindacabile in sede di legittimità, li esclude, la violazione in sè della tutela accordata dall'ordinamento interno al cittadino di minoranza linguistica resta priva di rilevanza. (Cass. civ., sez. trib., 10 giugno 2004, n. 11038).
Riferimenti giurisprudenziali
La obbligatorietà dell'uso della lingua italiana nel processo tributario era già stata affermata dalla V sezione della Corte nomofilattica, con sentenza n. 6093 del 12 marzo 2013. Con tale statuizione era stato chiarito che “Il principio della obbligatorietà della lingua italiana, previsto dall'art. 122 c.p.c., si riferisce agli atti processuali in senso proprio e non anche ai documenti esibiti dalle parti, sicchè, quando siffatti documenti risultino redatti in lingua straniera, il giudice, ai sensi dell'art. 123 c.p.c., ha la facoltà, e non l'obbligo, di procedere alla nomina di un traduttore, di cui può farsi a meno allorché trattasi di un testo di facile comprensibilità, sia da parte dello stesso giudice che dei difensori. Ne consegue che non è configurabile la nullità di una consulenza tecnica di ufficio regolarmente redatta in lingua italiana benché fondata su pubblicazioni in inglese”.
Sull'altra questione esaminata nella sentenza in commento - ovvero la possibilità di motivare gli avvisi di accertamento “per relationem” rispetto ai processi verbali di accertamento - la Corte di legittimità ha avuto modo di affermare che “…la consegna del processo verbale di constatazione è equipollente alla notifica richiesta dal comma 14 dell'art. 9 Legge n. 27 dicembre 2002 n. 289, in quanto idonea a soddisfare l'esigenza di certezza, sottesa alla forma speciale prescritta dal legislatore nella disposizione richiamata, stante la medesima efficacia di piena conoscenza dell'atto da parte dell'interessato. (Cass. civ., sez. trib., 30 giugno 2011, n. 14366). Tale principio è stato ritenuto valido non soltanto per i provvedimenti accertativi, ma anche per quelli di rettifica ed esattoriali.
Ed infatti, con riferimento agli atti di rettifica il giudice nomofilattico ha affermato che ”in tema di atto amministrativo finale di imposizione tributaria, nella specie relativo ad avviso di rettifica di dichiarazione IVA da parte dell'Amministrazione finanziaria, la motivazione per relationem, con rinvio alle conclusioni contenute nel verbale redatto dalla Guardia di Finanza nell'esercizio dei poteri di polizia tributaria, non è illegittima, per mancanza di autonoma valutazione da parte dell'Ufficio degli elementi da quella acquisiti, significando semplicemente che l'Ufficio stesso, condividendone le conclusioni, ha inteso realizzare una economia di scrittura che, avuto riguardo alla circostanza che si tratta di elementi già noti al contribuente, non arreca alcun pregiudizio al corretto svolgimento del contraddittorio.(Cassazione civile, sez. trib., 13/10/2011, n. 21119).
Con riferimento alla motivazione “per relationem” dei provvedimenti esattoriali la suprema Corte ha statuito che “Il difetto di motivazione della cartella esattoriale, che faccia rinvio ad altro atto costituente il presupposto dell'imposizione senza indicarne i relativi estremi di notificazione o di pubblicazione, non può condurre alla dichiarazione di nullità, allorché la cartella sia stata impugnata dal contribuente il quale abbia dimostrato in tal modo di avere piena conoscenza dei presupposti dell'imposizione, per averli puntualmente contestati, ma abbia omesso di allegare e specificamente provare quale sia stato in concreto il pregiudizio che il vizio dell'atto abbia determinato al suo diritto di difesa.(Cassazione civile, sez. un. 14/05/2010, n. 11722).
|