Petitum e inammissibilità del ricorso per cassazione: cosa si può chiedere al giudice di legittimità

Marco Siragusa
30 Luglio 2018

Sebbene il tema dell'utilizzo della “sanzione di inammissibilità” sia oggetto di una approfondito dibattito per l'utilizzo che se ne fa in chiave deflattiva rispetto “all'assedio” della Corte di legittimità, la questione oggetto di questo contributo è circoscritta ai c.d. requisiti oggettivi che l'atto di ricorso deve contenere.
Massima

Il ricorso per cassazione è inammissibile se il ricorrente formula delle richieste di assoluzione dell'imputato o di riduzione della pena non consentite nella sede di legittimità. In tali casi, il petitum formulato è estraneo all'ambito decisionale del giudizio.

Il caso

La Corte d'appello di Sassari, giudicando sull'appello del procuratore generale e dell'imputato, ha riformato in pejus la sentenza del tribunale. Avverso la sentenza della Corte territoriale è stato proposto ricorso per cassazione con richiesta di riforma, assoluzione dell'imputato o in ogni caso riduzione della pena comminata.

La questione

Sebbene il tema dell'utilizzo della “sanzione di inammissibilità” sia oggetto di una approfondito dibattito per l'utilizzo che se ne fa in chiave deflattiva rispetto “all'assedio” della Corte di legittimità, la questione oggetto di questo contributo è circoscritta ai c.d. requisiti oggettivi che l'atto di ricorso deve contenere.

Ci occuperemo quindi della forma del ricorso per cassazione.

L'argomento è tanto più rilevante laddove si osservi che, a seguito della c.d. riforma Orlando (l. 103/2017 in vigore dal 3 agosto 2017), è stato modificato l'art. 581 c.p.p. e la sanzione di inammissibilità è stata estesa a “copertura” di tutti i requisiti formali dell'atto, tra i quali, per quel che qui rileva, le richieste (lett. c) dell'art. 581 c.p.p.).

Dunque, ed esemplificando, ci domanderemo se le richieste (i petita) dell'atto d'impugnazione devono essere conformi al modello legale del giudizio che si domanda.

Le soluzioni giuridiche

Il sistema processuale è retto dalla correlazione tra il chiesto e il pronunciato.

Ciò significa che la sentenza non può pronunciare ultra petita, ma anche che essanon può “discostarsi” dal modello legale del giudizio, pena la sua abnormità.

Il ricorso per cassazione ha due possibili soluzioni: il rigetto (del ricorso) o l'annullamento (della sentenza impugnata). Al primo dei possibili “esiti” appartiene anche la pronuncia che dichiara inammissibile il ricorso per cassazione.

Piaccia o no, la Corte di cassazione «non è giudice del processo e neppure di tutta la sentenza: è giudice della legalità della sentenza» (F.M. IACOVIELLO).

Se ne ha riprova dalla formulazione dell'art. 615, comma 2, c.p.p.: come dimostra l'ipotetica negativa contenuta nella disposizione, la Cassazione «se non provvede…» ad annullare senza rinvio (art. 620 c.p.p.) ovvero «ai soli effetti civili» (art. 621 c.p.p.) ovvero «con rinvio» (art. 623 c.p.p.), «dichiara inammissibile o rigetta il ricorso».

La costruzione del periodo è assimilabile a quella prevista dall'art. 405 c.p.p. che disciplina, nel rispetto del principio costituzionale di non colpevolezza, l'azione penale: «… quando non deve chiedere l'archiviazione», il pubblico ministero «esercita l'azione penale».

Mutatis mutandis, quando non deve dichiarare inammissibile o rigettare il ricorso, la corte di cassazione provvede con l'annullamento.

La regola di giudizio è dunque la dichiarazione di inammissibilità o il rigetto del ricorso, il che dimostra, laddove ve ne fosse bisogno, che l'atto di impugnazione innanzi al giudice di legittimità è a critica vincolata e soggetto alla rigorosissima osservanza dei requisiti di forma previsti dal sistema generale delle impugnazioni, oltre che all'osservanza specifica dei casi di ricorso previsti dalla legge all'articolo 606, comma 1, lett. da a) a e) nonché al comma 3.

La pronuncia in commento ha statuito che il ricorso con il quale si chieda alla corte di cassazione «l'assoluzione dell'imputato […] quanto meno ai sensi dell'art. 530, comma 2, cod. proc. pen.» ovvero «[…] la riduzione della pena», non soddisfi i requisiti legali e di forma che i “tipi” di pronunce del giudice di legittimità possono assumere, «[dovendo] le conclusioni formulate […] porsi in linea con la specificità dei casi di ricorso per cassazione e l'osservanza di uno schema di redazione dell'atto che sia funzionale ad una corretta introduzione del giudizio di legittimità».

La sentenza si segnala, inoltre, per l'esplicito riferimento al protocollo d'intesa tra la Corte di cassazione e il Consiglio nazionale forense del 17 dicembre 2015, disciplinante le regole redazionali dei motivi di ricorso per cassazione in materia penale (il protocollo è reperibile sul sito del Consiglio nazionale forense).

Osservazioni

La prima osservazione alla quale sarà bene rispondere attiene ai rapporti tra la (medesima) sanzione di inammissibilità comminata dall'art. 581 c.p.p., riformato, e quella prevista dall'art. 591 c.p.p., rimasto invariato a seguito della riforma Orlando.

In effetti, in epoca pre-riformatrice, l'art. 581 c.p.p. prescriveva tra i requisiti formali dell'impugnazione le richieste, mentre l'art. 591 c.p.p. ne sanzionava la mancanza (o la erroneità) con l'inammissibilità («l'impugnazione è inammissibile […] quando non sono osservate le disposizioni degli artt. 581 […]»). Sicché, ora che la sanzione ha trovato “cittadinanza” nel riformato articolo 581 c.p.p., si pone innanzitutto il problema di stabilire in quale rapporto sia il combinato disposto delle due norme e, soprattutto, se l'ampliamento sanzionatorio origini da un superfluo refuso interpolativo (c.d. sanzione di inammissibilità al quadrato) ovvero abbia un significato diverso e ulteriore.

In effetti, la prima interpretazione avrebbe effetti sostanzialmente abroganti della modifica apportata dal Legislatore all'art. 581 c.p.p. Il che non è accettabile, per il principio interpretativo a salvaguardia della norma vigente.

Ne segue che appare maggiormente convincente la tesi (Emanuele Fragasso jr) di chi sostiene che il Legislatore abbia inteso rafforzare l'osservanza dei requisiti di forma dell'atto (di impugnazione) come dimostra «proprio [la] ri-scrittura dell'intera norma [art. 581 c.p.p.] e [la] mancata interpolazione [con] l'art. 591 c.p.p.».

Nessuna duplicazione della sanzione dunque: il Legislatore «ha privilegiato […] la chiarezza e la precisione espressiva» e il «ditterio in claris non fit interpretatio spiega la superfetazione linguistica». Detto altrimenti: s'è inteso rendere più rigido il sistema delle impugnazioni, anche con riferimento ai requisiti di forma dell'atto, «in virtù dell'inserimento dell'imperativo dell'enunciazione specifica nella proposizione reggente dell'art. 581», con la conseguenza che il rapporto tra le due previsioni sanzionatorie è di genere (art. 591 c.p.p.) a specie (art. 581 c.p.p.)

Quest'ultima lettura pare, peraltro, più aderente all'intentio legis e conforme ai lavori preparatori della riforma.

Sotto altro aspetto, va osservato come la “regola protocollare” sul modello di ricorso per cassazione non abbia effetti vincolanti.

Tuttavia, “l'assedio alla Corte” del quale si accennava in premessa, le carenze di organico e l'utilizzo della sanzione di inammissibilità in chiave deflattiva del carico di ruolo, consigliano di confrontarsi con i princìpi protocollari. Tanto più ove si tenga conto del “precedente protocollare”: la lettera che il 17 giugno 2013, che l'allora primo presidente della Corte di cassazione, Giorgio Santacroce, inviò al presidente del C.N.F, Guido Alpa.

Quella missiva aveva come focus i giudizi di legittimità civile – che, nel recente passato, hanno anticipato le modifiche del settore penale – e segnalava la necessità di un reciproco «impegno di tutti gli operatori del diritto […] ad adottare prassi virtuose»; segnalava poi come sia la sentenza sia le impugnazioni dovessero caratterizzarsi per chiarezza e sinteticità, stabilendo un rapporto corrispettivo tra l'atto impugnato e l'atto impugnante che, non a caso, regolamenta oggi il nuovo sistema delle impugnazioni penali (artt. 546 e 581 c.p.p., come riformati dalla l. 103/2017).

In conclusione, giova osservare: la motivazione della sentenza in commento è “autosufficiente” perché si fonda sulla declaratoria di inammissibilità del ricorso per carenza dei requisiti di forma. Il che non spiega per quale motivo la sentenza abbia affrontato anche “il merito” dei motivi di ricorso – essenzialmente riconducibili a dedotte violazioni della legge sostanziale e a vizi della motivazione –, analogamente ritenendoli inammissibili.

In altri termini se, come riteniamo, i vizi formali dell'atto di impugnazione sono assorbenti rispetto alla pronuncia di inammissibilità adottata, appare superfluo, nell'economia della motivazione, l'esame dei singoli motivi di ricorso.

La pronuncia in commento lascia quindi irrisolto il dubbio se la erroneità delle richieste (i petita) prevalga sulla fondatezza – o sulla non fondatezza - dei motivi di ricorso. Detto altrimenti: che ne è di un ricorso per cassazione ritenuto fondato ma formulato con richieste errate? Soggiace alla tagliola della inammissibilità formale oppure può essere altrimenti “salvato”?

Il nuovo statuto delle impugnazioni, come disciplinato dalla riforma Orlando (l. 103/2017), induce a ritenere che l'atto di impugnazione viziato nella forma si “candidi” necessariamente all'esito sanzionatorio della inammissibilità, con la conseguenza che “agli operatori del diritto” è richiesta maggiore attenzione nel “confezionamento” dell'atto.

Guida all'approfondimento

Emanuele FRAGASSO jr, Inammissibilità: sanzione o deflazione, AA.VV, Atti del Convegno di Roma, 19-20 maggio 2017, a cura dell'Osservatorio Cassazione U.C.P.I, Milano, 2018, 77 e ss.

Francesco Mauro IACOVIELLO, La Cassazione penale, fatto, diritto e motivazione, Milano 2013.

Marco Maria ALMA, Domenico CHINDEMI, Ricorso penale per cassazione, Milanofiori Assago, 2017.