L'atto di dotazione di un bene in un trust liquidatorio sconta l'imposta di donazione proporzionale

30 Luglio 2018

Legittimo l'accertamento notificato al notaio rogante l'istituzione di un trust che richiede il pagamento dell'imposta di successione e donazione nella misura dell'8 per cento, dovendosi ritenere che, coerentemente con la natura e l'oggetto del tributo, sono rilevanti i vincoli di destinazione in grado di determinare effetti traslativi in vicende non onerose.
Massima

Legittimo l'accertamento notificato al notaio rogante l'istituzione di un trust che richiede il pagamento dell'imposta di successione e donazione nella misura dell'8 per cento, dovendosi ritenere che, coerentemente con la natura e l'oggetto del tributo, sono rilevanti i vincoli di destinazione in grado di determinare effetti traslativi in vicende non onerose, collegati al trasferimento di beni e diritti, che realizzano un incremento stabile, misurabile in moneta, di un dato patrimonio con correlato decremento di un altro.

Il caso

La Cassazione, con la sentenza 13626/2018, ha rigettato il ricorso proposto da un notaio al quale era stato notificato un avviso di liquidazione per il pagamento dell'imposta di successione e donazione nella misura dell'8% in luogo dell'imposta di registro in misura fissa assolta in sede di autoliquidazione in relazione all'atto istitutivo di un trust.

Nello specifico si trattava di un trust liquidatorio con cui una spa conferiva alcune sue partecipazioni in alcune SRL allo scopo di alienarle per provvedere al pagamento della propria esposizione debitoria.

L'avviso si basava sul disposto degli artt. 2 comma 47 e 49 lett.c) del D.L. n. 262/2006 che sottopone all'imposta di donazione la costituzione di vincoli di destinazione, con applicazione dell'aliquota dell'8%, trattandosi di beni devoluti a soggetti diversi da quelli previsti nelle lettere a), a-bis) e b).

Sia la CTP che la CTR Toscana rigettavano le doglianze del professionista che, con il successivo ricorso in Cassazione denunciava, tra l'altro, violazione dell'art. 2 comma 47 del D.L. 3 ottobre 2006, n. 262, per avere la CTR ritenuto che il trust sia un istituto necessariamente ricompreso tra i vincoli di destinazione, con conseguente applicazione dell'imposta di donazione.

Tra l'altro nello stesso atto istitutivo si leggeva che il presente trust non rientra nell'ambito applicativo del D.Lgs. 31 ottobre 1990 n. 346 non trattandosi di liberalità; il trasferimento delle quote al trustee è soggetto pertanto alla applicazione dell'imposta di registro in misura fissa, ai sensi dell'art. 11 della Tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986.

La questione

La pronuncia tratta del carico tributario da applicare nei confronti di un atto di dotazione di un bene in un trust: le problematiche si pongono in particolare per quanto concerne il requisito della capacità contributiva, immediata secondo la tesi dell'Agenzia delle Entrate (con conseguente tassazione proporzionale), differita secondo la tesi dei notai e dei contribuenti (la tassazione proporzionale sarebbe in questo caso differita agli atti di attribuzione dei beni ai beneficiari).

Le soluzioni giuridiche

Nel rigettare il ricorso la Cassazione da una parte richiama le premesse della sentenza n. 21614/2016 secondo cui l'unica imposta espressamente istituita dalla legge del 2006 è stata la reintrodotta imposta sulle successioni e sulle donazioni alla quale per ulteriore espressa disposizione debbono andare anche assoggettati i «vincoli di destinazione», con la conseguenza che il presupposto dell'imposta rimane quello stabilito dall'art. 1 D.lgs. n. 346/1990 del reale trasferimento di beni o diritti e quindi del reale arricchimento dei beneficiari.

La pronuncia in oggetto si riferiva alla peculiare ipotesi del trust autodichiarato per cui la conclusione fu nel senso che in assenza di ogni trasferimento di beni o ricchezza, il trust autodichiarato non soddisfa il presupposto impositivo dell'imposta sulle donazioni e, ove concerni il trasferimento di immobili, dovrà scontare le imposte ipotecarie e catastali in misura fissa e non proporzionale.

Diverso è il caso relativo alla pronuncia in commento in cui si fa riferimento ad un trust liquidatorio: la lettura della normativa fiscale legata alla capacità contributiva ex art. 53 Cost. fa ritenere legittima l'applicazione dell'imposta prevista dal TU n. 346/1990 qualora, come nella specie, il trasferimento a favore dell'attuatore faccia emergere la potenziale capacità economica del destinatario (immediato) del trasferimento. Coerentemente con la natura e l'oggetto del tributo, sono rilevanti i vincoli di destinazione in grado di determinare effetti traslativi in vicende non onerose, collegati al trasferimento di beni e diritti, che realizzano un incremento stabile, misurabile in moneta, di un dato patrimonio con correlato decremento di un altro.

Nel caso di specie i contraenti vollero il reale trasferimento delle quote e dei relativi diritti al trustee, sia pure ai fini della liquidazione, e quindi il reale arricchimento del beneficiario. Da qui l'applicazione dell'imposta sulle donazioni regolata dal D.L. n. 262/2006, con aliquota dell'8%

In altri termini viene tassato il presupposto stabilito dall'imposta di successione/donazione.

Sconfessato il precedente orientamento secondo cui la costituzione di un vincolo di destinazione su beni (nel caso di specie attraverso l'istituzione di un trust), costituisce di per sé ed anche quando non sia individuabile uno specifico beneficiario autonomo presupposto impositivo in forza dell'art. 2, comma 47, L. n. 286/2006, che assoggetta tali atti, in mancanza di disposizioni di segno contrario, ad un onere fiscale parametrato sui criteri di cui alla imposta sulle successioni e donazioni (cfr. Cass. civ., n. 4482/2016).

Secondo tale ultima pronuncia la tassazione della "ricchezza in sé", in quanto evidenziata dall'atto di disposizione, non si pone in contrasto con l'art. 53 della Costituzione. L'atto negoziale esprime infatti una "capacità contributiva" ancorché non determini (o non determini ancora) alcun vantaggio economico diretto per qualcuno (anche in quel caso si trattava di un trust autodichiarato).

La gran parte della tassazione indiretta colpisce, del resto, la manifestazione di ricchezza e non (necessariamente) l'arricchimento. Anche nella compravendita l'imposta di registro coinvolge la manifestazione di ricchezza delle parti, senza che si indaghi se ed in quale misura esse abbiano tratto dall'operazione vantaggio economico; che ben può non sussistere se i beni sono ceduti a prezzo di mercato.

Osservazioni

Il trust, com'è noto, è uno strumento di segregazione patrimoniale di derivazione anglosassone - fondato su un concetto di “proprietà relativa” o “dual ownership” privo di equivalenze concettuali negli ordinamenti di civil law - volto al raggiungimento delle finalità che il settlor gli ha prescritto di realizzare.

Esso si sostanzia in un rapporto giuridico tra il disponente (settlor o grantor) ed il trustee, nell'ambito del quale il primo trasferisce taluni beni o diritti a favore del secondo, il quale li amministra, con i diritti ed i poteri di un vero proprietario, nell'interesse del beneficiario o per uno scopo prestabilito.

In particolare, la creazione del vincolo fa sì che i beni costituiti in trust:

  • non siano aggredibili dai creditori personali del trustee;
  • non concorrano alla formazione della massa ereditaria del defunto in caso di morte del trustee;
  • non rientrino, ad alcun titolo, nel regime patrimoniale legale della famiglia del trustee;
  • non siano legittimamente utilizzabili per finalità divergenti rispetto a quelle predeterminate nell'atto istitutivo del trust.

Le problematiche maggiori in seno alla giurisprudenza si sono registrate in tema di trust autodichiarato, ovvero quella tipologia di segregazione nella quale il settlor e il trustee coincidono nella stessa persona poiché il trust è istituito dallo stesso settlor che nomina se stesso quale trustee. Di intuitiva evidenza che, in questo caso, la costituzione del trust non determina alcun trasferimento ma si concretizza nella sola apposizione di un vincolo di destinazione su taluni beni del patrimonio del settlor, i quali, a causa della loro destinazione in trust, dovrebbero essere isolati rispetto al suo restante patrimonio.

L'art. 2 del D.L. 3 ottobre 2006 n. 262, come modificato in sede di conversione, ha reintrodotto l'imposta sulle successioni e donazioni ai:

i) trasferimenti di beni e diritti per causa di morte;

ii) ai trasferimenti per donazione o a titolo gratuito; e

iii) sulla costituzione di vincoli di destinazione.

La novella, tuttavia, così formulata, ha da sempre generato particolare perplessitàatteso l'indiscriminato accomunamento della disciplina dei vincoli di destinazione a quella delle successioni e donazioni e il generico riferimento ai “vincoli di destinazione” senza specificare se quest'ultima sia da considerare come una sottocategoria dell'imposta sulle successioni e donazioni o se, invece, sia un'imposta nuova e diversa.

L'Agenzia delle Entrate, sul punto, facendo leva sulla unitarietà causale del trust ai fini dell'imposizione indiretta, nelle Circolari n. 48/E/2007 e n. 3/E/2008, ha affermato che l'atto di costituzione del trust, che realizza il trasferimento della proprietà dei beni segregati, integra la fattispecie impositiva del tributo sulle successioni e donazioni. Qualora, invece, l'atto istitutivo di trust non sia anche atto di dotazione patrimoniale, avvenendo la segregazione dei beni in un momento successivo, lo stesso, se redatto per atto pubblico o scrittura privata autenticata, è tassato con imposta fissa di registro, ai sensi dell'art. 11, Tariffa, parte prima, allegata al TUR, in quanto atto sostanzialmente privo di contenuto patrimoniale.

Nel tentativo ulteriore di limitare i dubbi interpretativi e il rischio di fenomeni di doppia imposizione, nella Circolare n. 48/E/2007 viene altresì chiarito che “la devoluzione ai beneficiari dei beni vincolati non realizza, ai fini dell'imposta sulle donazioni, un presupposto impositivo ulteriore”.

Secondo la visione dell'Agenzia delle Entrate, quindi, l'imposta si applicherebbe a tutte le tipologie di trust e si riscuote al momento del conferimento dei beni nel trust, e non all'uscita cfr. Cass. civ., nn. 3735, 3737 e 3886/2015). L'aliquota andrebbe calcolata dunque con riferimento al rapporto di parentela "intercorrente tra il settlor e il beneficiario (e non a quello tra settlor e trustee)”.

Inoltre, “ai fini dell'applicazione sia delle aliquote ridotte sia delle franchigie, il beneficiario deve poter essere identificato, in relazione al grado di parentela con il settlor, al momento della costituzione del vincolo”.

Sul fronte opposto c'è la Cassazione che, con sentenza n. 21614/2016, ha inquadrato il trust autodichiarato tra le liberalità indirette affermando che per mezzo di tale istituto il disponente intende beneficiare i soggetti prescelti in modo indiretto, ovvero, per mezzo del trustee quale soggetto obbligato ad eseguire il programma del trust previamente definito dal disponente.

Per questo, il trust autodichiarato produrrebbe effetti meramente segregativi e non traslativi atteso che il disponente, già proprietario, ne diverrebbe al contempo amministratore solo ai fini del futuro trasferimento ai beneficiari indicati in atto.

Emergerebbe, a questo punto, come l'interpretazione dei giudici abbia fatto leva sulla matrice anglossassone dell'istituto caratterizzata da un concetto di “dual ownership”, ovvero di proprietà funzionalizzata al perseguimento del programma negoziale, che non comporta, nella fattispecie in esame, trasferimento ma solo segregazione del patrimonio mediante l'erezione del trust stesso.

Questo ragionamento si pone dunque in contrasto con l'impostazione adottata dall'Agenzia delle Entrate, secondo la quale, anche laddove si tratti di un trust autodichiarato, l'effetto segregativo creato dal vincolo di destinazione creerebbe comunque una sorta di “trasferimento” e sarebbe soggetto, pertanto, all'imposta di cui all'art. 2 del D.L. n. 262/2006 sin dalla sua costituzione.

Tale orientamento è stato confermato dalle successive pronunce; ad esempio con la recentissima sentenza n. 15469 dello scorso 13 giugno la Cassazione, respingendo il ricorso dell'Agenzia delle entrate, ha stabilito che sconta l'imposta in misura fissa e non proporzionale la costituzione dei beni in un trust a maggior ragione in caso di mancanza di compensi in favore del trustee. Manca infatti il presupposto della patrimonialità, da intendersi non in senso civilistico, ai sensi degli artt. 1174 e 1321 c.c. come mera suscettibilità di valutazione economica della prestazione, ma in senso tributario come prestazione a fronte della quale va verificata la pattuizione di corrispettivi in denaro, ovvero “onerosa”.

Nel caso di specie la CTR del Lazio, ribaltando l'esito di primo grado, aveva accolto l'appello dei contribuenti ritenendo che mancasse nell'atto di dotazione il carattere di patrimonialità e la valenza economica. Con tale atto, infatti, il disponente va solo a determinare un particolare e diverso assetto proprietario: di conseguenza era legittimo applicare la fattispecie residuale di cui all'art. 11 della tariffa allegata al d.P.R. n. 131/1986 che prevede la tassazione in misura fissa.

Col successivo ricorso per Cassazione l'Agenzia delle entrate denuncia, tra l'altro, la violazione degli articoli 9 e 11 della tariffa in quanto l'atto di conferimento rientrava tra quelli a contenuto patrimoniale di tipo residuale di cui all'art. 9 da tassare al 3%.

Viene altresì denunciata la violazione dell'art. 10 del D.Lgs. n. 347/1990 e dell'art. 1 della tariffa allegata in quanto le imposte ipotecarie e catastali erano dovute in misura proporzionale.

Il ricorso è stato rigettato in quanto secondo la Cassazione l'atto di conferimento non presentava i requisiti di un'operazione a carattere patrimoniale come definiti dall'art. 43, comma 1, lett. h del d.P.R. n. 131/1986 che, per la fissazione della base imponibile di tali contratti fa riferimento all'ammontare dei corrispettivi in denaro pattuiti per l'intera durata del contratto.

Nel caso di specie, non essendovi alcuna previsione di corrispettivo o di altra prestazione a carico del trustee, non poteva parlarsi di operazione a carattere patrimoniale da tassare al 3% ai sensi dell'art. 9 della predetta tariffa ed altrettanto vale per le imposte ipotecarie e catastali.

Del resto, proprio recentemente la Cassazione, in una fattispecie analoga, aveva chiarito che il trasferimento dei beni al trustee avviene, infatti, a titolo gratuito, non essendovi alcun corrispettivo, ed il disponente non intende arricchire il trustee, ma vuole che quest'ultimo li gestisca in favore dei beneficiari, segregandoli per la realizzazione dello scopo indicato nell'atto istitutivo del trust, per cui l'intestazione dei beni al trustee deve ritenersi, fino allo scioglimento del trust, solo momentanea. È errata l'affermazione dell'Agenzia delle Entrate per cui il trasferimento dei beni in trust, pur non avendo natura onerosa, deve ritenersi operazione di carattere patrimoniale, come tale comunque assoggettabile, sin da subito, ad imposta, nella misura proporzionale del 3%.

La prestazione "a contenuto patrimoniale" è la prestazione onerosa" (cfr. Cass. civ., n. 975/2018 e 25478/2015).

In particolare la sentenza n. 975/2018 ha stabilito che il regime di tassazione di tale atto non può essere quello dell'imposta proporzionale di cui agli artt. 1 (atti traslativi a titolo oneroso), 9 (atti diversi, aventi ad oggetto prestazioni a contenuto patrimoniale), e 3 (atti di natura dichiarativa) della tariffa, parte prima, allegata al d.P.R. n. 131/1986, ma quello della categoria residuale, disciplinata dall'art. 11 della tariffa stessa, con conseguente applicabilità, nella specie, dell'imposta nella misura fissa ivi indicata.

Tra l'altro il negozio di trust stabiliva chi fossero i beneficiari, e le quote a ciascuno di essi spettanti, disciplinando anche il caso di loro mancanza o premorienza, nonché, all'art. 9, il momento di inizio della distribuzione dei beni, per cui sarebbe illegittimo anticipare la tassazione al momento dell'attribuzione dei beni al trustee dovendo invece farsi riferimento alla successiva attribuzione dei beni ai beneficiari perché è in quel momento che il trasferimento dei beni medesimi, indice dalla capacità contributiva, diviene effettivo e definitivo.

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