Al licenziamento individuale per g.m.o. sono applicabili i criteri di scelta dei licenziamenti collettivi
30 Luglio 2018
Il caso La Corte d'appello di Milano, in riforma della pronuncia del Tribunale del capoluogo, ha annullato il licenziamento per g.m.o. intimato alla lavoratrice e condannato la società datrice di lavoro a reintegrarla e a pagare una indennità risarcitoria pari a 12 mensilità della retribuzione. Il licenziamento era stato determinato dalla riduzione di un appalto di pulizie con riferimento in particolare alla pulizia di due immobili; il datore di lavoro aveva quindi licenziato le due lavoratrici addette in quel momento alla pulizie di detti immobili. Per la Corte milanese, la costante rotazione del personale sulle prestazioni lavorative e l'assoluta fungibilità delle mansioni faceva sì che la riduzione dell'appalto non rendesse di per sé individualizzabile il lavoratore da licenziare. In ossequio al rispetto delle regole di correttezza di cui all'art. 1175 c.c. avrebbe dovuto applicarsi il criterio della anzianità aziendale. La violazione di queste spezza per la Corte il nesso di causa tra il giustificato motivo addotto e il licenziamento della lavoratrice e rende il fatto posto a base del licenziamento non rilevante, vale a dire manifestamente insussistente. La società datrice di lavoro ricorre in Cassazione per avere il giudice d'appello ritenuto manifestamente infondato il licenziamento e denuncia la falsa applicazione dell'art. 1175 c.c. sostenendo che il criterio dell'anzianità di servizio previsto dall'art. 4, l. 23 luglio 1991, n. 223, non è applicabile a un licenziamento individuale.
Licenziamento individuale per g.m.o. e applicabilità dei criteri di scelta dei licenziamenti collettivi La giurisprudenza di legittimità si è posta il problema di individuare in concreto i criteri obiettivi che consentano di ritenere la scelta del lavoratore da licenziare conforme ai dettami di correttezza e buona fede di cui all'art. 1175 c.c. e ha ritenuto che possa farsi riferimento, pur nella diversità dei rispettivi regimi, ai criteri che la l. n. 223 del 1991, art. 5, ha dettato per i licenziamenti collettivi per l'ipotesi in cui l'accordo sindacale non abbia indicato criteri di scelta diversi e conseguentemente prendere in considerazione in via analogica i criteri dei carichi di famiglia e dell'anzianità (non assumendo, invece, rilievo le esigenze tecnico – produttive e organizzative data la indicata situazione di totale fungibilità tra i dipendenti).
In analoga prospettiva la Corte ha puntualizzato che il ricorso a detti criteri resta giustificato non tanto sul piano dell'analogia quanto piuttosto per costituire i criteri di scelta previsti dal predetto art. 5, L. n. 223 del 1991, uno standard particolarmente idoneo a consentire al datore di lavoro di esercitare il suo unilaterale potere selettivo coerentemente con gli interessi del lavoratore e con quello aziendale (cfr. Cass., sez. lav., 9 maggio 2002, n. 6667, e giurisprudenza ivi citata in motivazione).
Violazione della correttezza e tutela indennitaria nel licenziamento individuale per g.m.o. La Corte di cassazione riconduce inoltre la violazione delle regole di correttezza di cui all'art. 1175 c.c. alla sola tutela indennitaria di cui all'art. 18, comma 5, st. lav. In tema di licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo infatti il nuovo regime sanzionatorio introdotto dalla l. 28 giugno 2012, n. 92 prevede di regola la corresponsione di una indennità risarcitoria, compresa tra un minimo di dodici e un massimo di ventiquattro mensilità.
Il ripristino del rapporto di lavoro con un risarcimento fino a un massimo di ventiquattro mensilità viene riservato alle sole ipotesi residuali nelle quali l'insussistenza del fatto posto a base del licenziamento è connotata di una particolare evidenza, sicché la violazione dei criteri di correttezza e buona fede nella scelta dei lavoratori adibiti allo svolgimento di mansioni omogenee dà luogo alla tutela indennitaria (v. Cass., sez. lav., 8 luglio 2016, n. 14021; 8 dicembre 2017, n. 30323; 19 gennaio 2018, n. 1373).
La Corte respinge quindi il primo motivo di ricorso e accoglie il secondo e cassa la sentenza di secondo grado. |