Difensore

Andrea Giordano
05 Settembre 2018

Il ministero dell'avvocato trova ancoraggio negli artt. 24 e 111 Cost. e nell'ordinamento della professione forense, mezzo teso al fine della piena ed effettiva tutela delle parti.
Inquadramento

L'azione, per svolgersi in giudizio, filtra attraverso l'esperienza dell'avvocato (Satta, Commentario al codice di procedura civile, I, Milano, 1959, 276, ripreso da Punzi, La difesa nel processo civile e l'assetto dell'avvocatura in Italia, in Riv. dir. proc., n. 3/2006, 813 ss.).

Ostano, infatti, alla difesa personale – non a caso, consentita nelle sole, eccezionali, ipotesi contemplate dal codice di rito (le cause avanti al giudice di pace il cui valore non ecceda quello di 1.100, 00 Euro o quelle in cui lo stesso g.d.p. abbia autorizzato, con decreto, la parte a stare in giudizio personalmente; le controversie lavoristiche, limitatamente al primo grado, il cui valore non ecceda quello di 129, 11 Euro; i giudizi di opposizione alle sanzioni amministrative) – il, fisiologico, coinvolgimento emotivo della parte nelle vicende che direttamente la riguardano e le necessarie competenze tecnico-giuridiche, funzionali alla corretta gestione della causa.

Il ministero dell'avvocato trova, dunque, ancoraggio negli artt. 24 e 111 Cost. e nell'ordinamento della professione forense, ‘mezzo' teso al ‘fine' della piena ed effettiva tutela delle parti.

Possibilità e limiti del ministero difensivo: il dato normativo

La strumentalità della difesa tecnica rispetto ai postulati di cui agli artt. 24 e 111 Cost. fa sì che debbano, all'avvocato, consentirsi tutte le attività funzionali alla migliore protezione degli assistiti, nel contesto di un'ampia autonomia nell'impostazione della lite.

Discendendo dalla legge – ordinaria e, soprattutto, costituzionale – il ministero difensivo, il rappresentante tecnico della parte, che – all'esito della l. 24 febbraio 1997, n. 27 – assomma in sé le funzioni degli allora “procuratori legali” e degli “avvocati”, può compiere e ricevere, nell'interesse del rappresentato, tutti gli atti del processo (art. 84 c.p.c.) e, quindi, esercitare tutti i poteri strumentali al pieno esercizio del diritto alla difesa. E ciò a prescindere dalla maggiore o minore genericità della procura, la quale, pur designando l'avvocato, non gli attribuisce questo o quel potere. Come hanno, del resto, sostenuto le Sezioni Unite della Suprema Corte, «i poteri processuali risultano al difensore attribuiti direttamente dalla legge, con la procura la parte realizzando “semplicemente una scelta ed una designazione”, e non anche un' “attribuzione di poteri”, al cui riguardo la volontà della parte è pertanto “irrilevante”, potendo assumere invero rilievo esclusivamente al fine della eventuale limitazione dei “poteri del procuratore derivanti dalla legge”» (Cass., Sez. Un., 14 marzo 2016, n. 4909).

Al contrappeso, connaturale al ministero difensivo, che l'art. 2, comma 2, della l. n. 247/2012 individua nell'orientamento al fine dell'effettività della tutela, si aggiungono quelli, volti a bilanciare l'autonomia del professionista, che, nello stesso ordinamento forense, si rinvengono.

Preminente rilievo lo assumono gli artt. 3 della l. n. 247/2012 e 9-10 del Codice Deontologico Forense, che scolpiscono i doveri dell'avvocato, prevedendo che la professione debba essere esercitata con indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità, decoro, diligenza, competenza e fedeltà.

Se probità, dignità e decoro attengono all' ‘essere', obbligando il difensore ad osservare, non solo in ambito professionale, un contegno coerente e rispettoso della categoria, la lealtà, insieme alla correttezza, orienta l' ‘agire', imponendo l'osservanza delle regole di buona condotta.

A garantire la qualità delle prestazioni concorrono la diligenza e la complementare competenza; la fedeltà riassume tutti i connotati, al contempo operando e nei confronti della parte e rispetto all'istituzionale funzione dell'avvocato.

Le novità introdotte dalla riforma della professione e dai successivi decreti ministeriali e regolamenti del Consiglio Nazionale Forense presidiano, più ancora rispetto al passato, lo statuto della professione, vigorosamente orientandolo nell'ottica della tutela dell'assistito e delle controparti. Il dovere di competenza trova linfa nell'obbligo di formazione continua, nonché nel potenziato rigore dei meccanismi di accesso (v., nondimeno, il recentissimo d.l. 25 luglio 2018, n. 91), nelle neointrodotte verifiche sull'effettivo, continuativo, abituale e prevalente esercizio della professione e nel sistema delle c.d. specializzazioni, da ultimo sagomato dal d.m. 12 agosto 2015, n. 144 (su cui v., tuttavia, Cons. St., sez. IV, 28 novembre 2017, n. 5575). Il dovere di diligenza esce rafforzato dal novellato procedimento disciplinare forense, non più rimesso ai domestici Consigli dell'Ordine, ma ai ‘terzi' Consigli distrettuali di disciplina (Giordano A., Il nuovo procedimento disciplinare forense: una lettura, in www.giustamm.it, n. 11/2013, pp. 1 ss.), e dai, sempre più stringenti, obblighi di informativa. Se, infatti, questi ultimi trovano, anzitutto, positivo fondamento nel Codice Deontologico Forense, il loro potenziamento è disceso dalle novelle su media-conciliazione e negoziazione assistita, dalla regola, di cui all'art. 13, comma 5, della l. n. 247/2012, per cui l'avvocato è tenuto, all'atto del conferimento dell'incarico, a prospettare profili di complessità, oneri ipotizzabili e prevedibile misura del costo della prestazione, e – non da ultimo – dal fecondo apporto della giurisprudenza della Suprema Corte (ad es., Cass. civ., sez. II, 2 aprile 2015, n. 6782) e del Consiglio Nazionale Forense (v. CNF, 24 settembre 2015, n. 147).

La figura giuridica del difensore privato

Se l'autonomia è, nel genoma forense, il cromosoma dominante, perdono terreno le impostazioni che confinavano il difensore nelle ‘figure' del mero nuncius o del rappresentante.

Mentre, infatti, può ricondursi al nuncius la sola forma degli atti, e non anche le loro causa e volontà (Carnelutti, Figura giuridica del difensore, in Riv. dir. proc. civ., 1940, 74), l'avvocato non è un mero creatore di forma, partecipando invero, con la propria autonoma volizione, al compimento del singolo atto (Calamandrei, Gli avvocati dello Stato e l'inammissibilità, in Foro it., 1943, III, 33; Carnacini, Tutela giurisdizionale e tecnica del processo, in Studi in onore di Redenti, Milano, 1951, II, 712-713; Mandrioli, La rappresentanza nel processo civile, Torino, 1959, 388).

Anche lo strumento della rappresentanza (Redenti, Profili pratici del diritto processuale civile, Milano, 1936, 373-377; Zanzucchi, Diritto processuale civile, I, Milano, 1955, 384 ss.; Liebman, Manuale di diritto processuale civile, I, Milano, 1955, 140 ss.) mal si attaglia, per la tipica secondarietà che lo connota, al ministero difensivo.

I poteri dell'avvocato non sono, infatti, secondari, ma suoi propri (Mandrioli, La rappresentanza nel processo civile, cit., 384-385); l'attività difensiva non è costretta negli angusti margini delle istruzioni di un “mandante” (Punzi, Note sul ministero del difensore nel processo civile, in Studi onore di Segni, Milano, 1967, IV, 159-160). Lungi dall'essere esclusivo ed assorbente, l'interesse del cliente va, in ogni caso, filtrato secondo i canoni di lealtà e correttezza nell'esercizio dell'azione.

L'ancoraggio della difesa tecnica nell'ordinamento forense – e, mediatamente, nei principi di cui agli artt. 24 e 111 Cost. – fanno dell'avvocato il titolare di un munus autonomo ed indipendente.

Il difensore pubblico

Figura giuridica e caratteri del difensore privato trovano, speculare, corrispondenza nell'atteggiarsi del difensore pubblico (su cui Bruni-Palatiello, La difesa dello Stato nel processo, Torino, 2011).

La necessaria strumentalità di quest'ultimo rispetto alla tutela dell'interesse pubblico fa sì che la sfera di attribuzioni sia la più ampia possibile.

Nessuna limitazione viene, infatti, frapposta dall'ampio dettato dell'art. 1 del R.d. 30 ottobre 1933, n. 1611, a tenore del quale: “La rappresentanza, il patrocinio e l'assistenza in giudizio delle Amministrazioni dello Stato, anche se organizzate ad ordinamento autonomo, spettano alla Avvocatura dello Stato”; né può dirsi che l'art. 8, comma 3, della l.3 aprile 1979, n. 103 (“Modifiche dell'ordinamento dell'Avvocatura dello Stato”) circoscriva il munus dei procuratori dello Stato, cui è dato esercitare, anche innanzi alle magistrature superiori, le stesse funzioni degli avvocati (in consonanza con il dato positivo, la giurisprudenza più recente riconosce a procuratore ed avvocato uno jus postulandi del medesimo tenore – Corte cost., 29 novembre 2017, n. 245; anche Cons. St., sez. VI, 11 febbraio 2013, n. 769).

L'autonomia di azione trova, poi, suffragio nel Codice etico dell'Avvocatura dello Stato (reperibile in: https://www.avvocaturastato.it/files/files/Codice_etico_Avvocatura_Stato.pdf), da cui discende l'assoluta indipendenza delle valutazioni tecnico-difensive rispetto ai desiderata dei ‘clienti' pubblici. Rileva, infatti, anzitutto, l'art. 1, comma 1, secondo cui «Gli avvocati e procuratori dello Stato esercitano le loro funzioni per la tutela dell'interesse pubblico nell'obiettiva applicazione dell'ordinamento giuridico»; sulla stessa linea, il terzo comma del disposto chiaramente esplicita che procuratori ed avvocati agiscono «in piena indipendenza di giudizio dai soggetti che usufruiscono della loro consulenza e del loro patrocinio», «secondo le proprie motivate convinzioni giuridiche» e «in posizione di parità processuale con gli avvocati e procuratori del libero foro».

La nobile ratio che informa, nella sua unitarietà, la professione forense difficilmente consente distinguo tra ‘ministero' e ‘ministero' difensivo; le peculiarità della difesa delle amministrazioni pubbliche impedisce di ritenerla un quid autonomo e distinto, unica essendo la funzione del difensore, pubblico o privato che esso sia: la tutela del diritto e della libertà.

L'unitarietà della ‘figura giuridica' dell'avvocato impone l'indistinta applicazione, e al libero foro e alle avvocature pubbliche, dei medesimi principi di indipendenza, lealtà, correttezza, probità, dignità. I “ricordi agli avvocati erariali” di Giuseppe Mantellini hanno valore ‘testamentario' anche per l'avvocato privato, che dovrà, come quello pubblico, rivolgere gli occhi a Papiniano, praticando «onestà, modestia, misura, pietà, equità addottrinata dai precedenti, e fermezza».

Riferimenti
  • Carnelutti, Figura giuridica del difensore, in Riv. dir. proc. civ., 1940, 65 ss.;
  • Mandrioli, La rappresentanza nel processo civile, Torino, 1959;
  • Punzi, La difesa nel processo civile e l'assetto dell'avvocatura in Italia, in Riv. dir. proc., 2006, 813 ss.;
  • Id., Note sul ministero del difensore nel processo civile, in Studi onore di Segni, Milano, 1967, IV, 147 ss..
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