Messa alla prova. Per la revoca, in caso di nuovo delitto, non occorre una sentenza passata in giudicato

Valentina Ventura
07 Settembre 2018

Ai fini della revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova non è necessario che la “commissione” durante il programma di un nuovo delitto non colposo o di un reato della stessa indole di quello per cui si procede sia accertata da sentenza di condanna irrevocabile.
Massima

Ai fini della revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova non è necessario che la “commissione” durante il programma di un nuovo delitto non colposo o di un reato della stessa indole di quello per cui si procede sia accertata da sentenza di condanna irrevocabile.

Il caso

Con ordinanza del 3 maggio 2017, il tribunale di Torino aveva disposto la sospensione del procedimento con messa alla prova su richiesta di Tizia, imputata dei reati di resistenza e lesioni personali a pubblico ufficiale.

Successivamente, il medesimo tribunale aveva disposto la revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova ai sensi dell'art. 464-octies c.p.p. avendo ricevuto una comunicazione di notizia di reato della questura di Genova, datata 4 settembre 2017, nella quale si dichiarava che l'imputata aveva posto in essere (a seguito dell'ammissione alla prova) i reati di detenzione a fine di spaccio di sostanza stupefacente, resistenza a pubblico ufficiale e procurato allarme.

Il tribunale aveva proceduto alla menzionata revoca a norma dell'art. 168-quater c.p. rilevando che in ipotesi di commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo ovvero di reato della stessa indole di quello per cui si procede, non vi sarebbe la possibilità di alcuna valutazione discrezionale della condotta dell'imputato da parte del giudice, il quale sarebbe tenuto necessariamente a disporre la revoca della sospensione.

Avverso l'ordinanza che aveva disposto la revoca ha interposto ricorso per Cassazione l'imputata, chiedendone l'annullamento per violazione di legge penale, osservando che il tribunale aveva ritenuto integrata l'ipotesi di cui al n. 2 dell'art. 168-quaterc.p. sulla base della sola comunicazione di notizia di reato della questura di Genova, vale a dire sulla base di un atto meramente (ed eventualmente) prodromico all'avvio di un procedimento penale, operando una valutazione del tutto in contrasto del principio di non colpevolezza di cui all'art. 27, comma 2, Cost., il quale presuppone un accertamento di responsabilità con sentenza passata in giudicato.

Ancora, la ricorrente aveva lamentato la mancata considerazione da parte del tribunale di Torino della condotta integralmente serbata dalla stessa e in particolare del pentimento manifestato per l'accaduto, dell'atteggiamento di rispetto e adesione alle prescrizioni impostele, nonché dell'intervenuto adempimento degli obblighi risarcitori disposti con il provvedimento di sospensione con messa alla prova.

La questione

Le questioni su cui la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sono due:

  1. se alle condotte previste dall'art. 168-quater c.p. consegua automaticamente la revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova ovvero la revoca sia rimessa alla valutazione discrezionale del giudice;
  2. se relativamente all'ipotesi di cui al n. 2 dell'art. 168-quater c.p. sia necessario che la commissione di un delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole di quello per cui si procede sia stata accertata con sentenza di condanna passata in giudicato.
Le soluzioni giuridiche

Prima di enunciare quale sia stato il percorso argomentativo della Suprema Corte nel caso che ci occupa, si rende necessaria una rapida disamina dell'istituto della messa alla prova.

Come noto, il ricorso alla sospensione del procedimento con messa alla prova è possibile solo in presenza di talune specifiche condizioni previste dal Legislatore (art. 168-bis c.p.).

In primo luogo, l'imputato è ammesso alla prova soltanto quando il reato per cui si procede sia punito con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni (sia essa sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria), nonché, infine, per i delitti di cui all'art. 550, comma 2, c.p.

Ancora, si prevede espressamente che la sospensione del procedimento con messa alla prova può essere concessa soltanto una volta (poiché nel casellario giudiziale viene iscritta per estratto l'ordinanza che dispone la sospensione del procedimento ai sensi dell'art. 464-quater c.p., ciò che rileva è che l'imputato abbia già beneficiato una volta della sospensione, a nulla rilevando le eventuali molteplici richieste avanzate in tal senso, né l'eventuale esito negativo della prova svolta).

Infine, sul piano soggettivo il Legislatore ha disposto che la sospensione del procedimento con messa alla prova non si applica nei casi previsti dagli artt. 102, 103, 104, 105 e 108 c.p., vale a dire nei confronti di soggetti che siano stati dichiarati delinquenti professionali, abituali o per tendenza. Ne discende che chi abbia avuto più condanne passate in giudicato può essere ammesso alla prova, anche se eventualmente dichiarato recidivo a norma dell'art. 99 c.p.

Ove sussistano tutte le menzionate condizioni e alla richiesta avanzata dall'imputato, personalmente o mediante procuratore speciale, sia allegato un programma di trattamento elaborato con l'ufficio esecuzione penale esterna, il giudice, rilevata l'ammissibilità della domanda, ne esamina il merito.

Se valuta il programma di trattamento idoneo e ritiene che l'imputato si asterrà in futuro dal commettere ulteriori reati, valutato anche che le prescrizioni e la disponibilità di un domicilio siano tali da garantire la tutela delle esigenze della persona offesa, il giudice dispone con ordinanza la sospensione del procedimento con messa alla prova.

All'atto della decisione il giudice deve dunque compiere un giudizio prognostico di astensione dell'imputato dalla commissione di futuri reati, giudizio di non semplice esecuzione, rimesso al suo prudente apprezzamento.

L'esito positivo della prova estingue il reato per cui si procede, fatta salva l'applicazione delle sanzioni amministrative accessorie, ove previste dalla legge.

La sospensione del procedimento con messa alla prova è revocata (art. 168-quater c.p.), in ipotesi di grave e reiterata violazione del programma o delle prescrizioni imposte all'imputato; ove questi si rifiuti di prestare il lavoro di pubblica utilità; in caso di commissione, durante il periodo di prova, di un nuovo delitto non colposo o di un reato della stessa indole di quello per cui si procede.

La ratio di tale previsione riposa nella considerazione che detti comportamenti esprimono il mancato rispetto da parte dell'interessato dell'impegno assunto, tanto da farlo ritenere non meritevole della fiducia accordatagli. La commissione di un nuovo reato sconfessa la valutazione prognostica effettuata dal giudice in merito al rischio di recidiva dell'imputato.

È proprio l'ipotesi di commissione di un nuovo reato (in rilievo nel caso che ci occupa) a creare maggiori difficoltà interpretative, dal momento che la grave o reiterata trasgressione al programma di trattamento o alle prescrizioni imposte e il rifiuto di prestare il lavoro di pubblica utilità attengono alla violazione dei contenuti precettivi dello specifico sub-procedimento di messa alla prova, mentre il riferimento alla commissione, durante il periodo di prova, di un delitto non colposo ovvero di un reato della stessa indole di quello per cui si procede rimanda a una condotta esterna a tale sub-procedimento, con tutte le problematiche che l'accertamento di un fatto di reato che interessa un procedimento incidentale comporta.

Le questioni da affrontare sul punto sono due: in primo luogo occorre domandarsi cosa si intenda per commissione di nuovi reati; in secondo luogo, se alla verifica della commissione di un nuovo reato consegua in via automatica la revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova.

La previsione normativa è piuttosto scarna e il Legislatore non ha fornito elementi testuali che aiutino a determinare se il giudice possa fondare la propria decisione di revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova sulla base di una mera notizia di reato o se debba necessariamente fondare il proprio giudizio su una sentenza di condanna, sia essa passata in giudicato oppure no.

Nel silenzio della legge, utile appare la disamina di previsioni similari a quella in esame, quale quella di cui all'art. 168 c.p., a norma del quale la sospensione condizionale della pena è revocata di diritto quando, nei termini stabiliti, il condannato commetta un delitto ovvero una contravvenzione della stessa indole per cui venga inflitta una pena detentiva (comma primo, n. 1).

In questo caso il Legislatore ha espressamente subordinato la previsione della revoca alla pronuncia di una sentenza di condanna che infligga una pena detentiva; sebbene non sia richiesta una pronuncia definitiva, si dispone tuttavia che il giudice proceda (in maniera automatica) alla revoca del beneficio allorquando sul fatto di reato sopravvenuto sia stato effettuato un controllo nel merito dell'accusa talmente approfondito da determinare la condanna.

Se ne potrebbe dedurre, a contrario, che in tema di messa alla prova il Legislatore non abbia ritenuto necessario un accertamento della responsabilità del soggetto così approfondito, dando quindi rilievo anche ad atti di mero impulso del procedimento penale, quali la querela o la notizia di reato.

Nel caso in esame, il tribunale di Torino aveva sostenuto la non necessità di una sentenza di condanna passata in giudicato al fine della decisione di revocare il beneficio concesso, evidenziando proprio come il Legislatore abbia espressamente collegato la revoca della sospensione alla mera commissione di un fatto criminoso durante l'esecuzione della prova e non ad una pronuncia di condanna per tale fatto.

Evidenzia la Corte che sarebbe del tutto irragionevole demandare al giudice del sub-procedimento sospeso la sola valutazione delle trasgressioni al programma di trattamento o alle prescrizioni e del rifiuto al compimento del lavoro di pubblica utilità e demandare l'accertamento dei nuovi fatti commessi (integranti reato) alla valutazione di un altro giudice (o addirittura di più giudici, fino alla pronuncia definitiva); l'irragionevolezza appare ancora più palese se solo si consideri che, salvo casi eccezionali (si pensi ad ipotesi di arresto in flagranza e giudizio direttissimo definito mediante rito alternativo, con sentenza di condanna non impugnata) difficilmente il giudice che ha disposto la sospensione del procedimento con messa alla prova potrebbe valutare la commissione del nuovo fatto avendo a disposizione una sentenza irrevocabile di condanna, stanti i lunghi tempi di definizione dei processi penali, di gran lunga superiori ai due anni di sospensione (massima) del procedimento con messa alla prova (art. 464-quater c.p.).

Se dunque il nuovo fatto dovesse essere valutato soltanto alla luce della condanna definitiva e la valutazione del giudice della prova potesse intervenire solo all'esito del periodo di sospensione del procedimento, non solo sarebbe depotenziato l'effetto dissuasivo della previsione di cui all'art. 168-quaterc.p. ma, evidenzia la Corte, potrebbero addirittura essere incentivate condotte processuali dilatorie nel procedimento per il nuovo fatto proprio al fine di ritardare il formarsi del presupposto processuale della revoca.

Ancora, si rileva come nessuna norma preveda che il procedimento sospeso per messa alla prova possa essere a sua volta sospeso in attesa della definizione del processo per il nuovo reato, né il Legislatore ha disciplinato l'ipotesi di revoca della sentenza dichiarativa dell'estinzione del reato che sia stata pronunciata ai sensi dell'art. 464-septies, comma 1, c.p.p. a seguito di sentenza irrevocabile di condanna per il reato commesso durante la sottoposizione alla prova.

Ad avviso della Corte, la soluzione adottata è maggiormente rispettosa della natura – al contempo – special-preventiva e premiale dell'istituto della messa alla prova consentendo al giudice che l'ha ammessa di valutare tutti i comportamenti (e dunque sia le trasgressioni di cui si è detto, sia le condotte costituenti reato) che facciano apparire l'interessato non più meritevole della fiducia accordatagli.

Sulla scorta di queste considerazioni, la Suprema Corte ha dunque affermato, aderendo alle valutazioni del tribunale di Torino, che ai fini dell'accertamento della commissione di un nuovo reato – causa di revoca a norma dell'art. 168-quater c.p.non è necessario attendere il passaggio in giudicato della sentenza resa nell'autonomo procedimento penale instaurato in relazione a tale illecito.

La Corte ha preso le distanze dalla pronuncia impugnata su due aspetti.

In primo luogo, ha ritenuto «eccentrico» rispetto alla disciplina della revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova il principio di non colpevolezza di cui all'art. 27 Cost., richiamato dal giudice torinese a sostegno del proprio percorso argomentativo, evidenziando come la commissione del nuovo reato nel corso della prova non rileva al fine della determinazione di conseguenze sanzionatorie per l'autore ma solo al fine della rivalutazione della persistenza delle condizioni per l'accesso e la prosecuzione della prova.

In secondo luogo, la Suprema Corte ha colto l'occasione per fornire al giudicante indicazioni dirette a evitare la pronuncia di provvedimenti di revoca della sospensione in presenza di situazioni dagli esiti incerti, stante la definitività dell'effetto revocatorio della sospensione del procedimento, non avendo previsto il Legislatore la possibilità di revocare la revoca della sospensione, né quella di revocare la sentenza definitiva emessa nel procedimento sospeso e riavviato.

La Corte ritiene che la pronuncia di revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova debba essere emessa unicamente allorquando la commissione del nuovo reato sia «provata in termini di elevata probabilità» e che la delibazione in ordine alla serietà dell'accusa sia «compiuta sulla scorta di una solida base cognitiva»: si pensi alla eventuale decisione di primo grado medio tempore intervenuta (ad esempio a seguito di giudizio direttissimo o di patteggiamento in fase di indagini preliminari), al provvedimento applicativo di una misura cautelare su cui si sia formato il c.d. giudicato cautelare, al decreto che dispone il giudizio emesso all'esito dell'udienza preliminare, tutte ipotesi nelle quali il giudice del sub-procedimento non potrà che esercitare una sorta di "discrezionalità vincolata", essendo la fondatezza dell'accusa già stata valutata da un altro giudice, investito di quel procedimento.

Ove poi il nuovo fatto reato emerga da una semplice notitia criminis, contenuta in una denuncia/querela, in un'annotazione o in un'informativa di polizia giudiziaria, il giudice del sub-procedimento dovrà fondare il proprio giudizio sul corredo documentale allegato alla richiesta di revoca della sospensione del procedimento, nonché sul materiale prodotto dalle parti anche all'udienza di cui all'art. 464-octies, comma 2, c.p.p. (sul punto si veda Cass. pen., Sez. V, 24 novembre 2017, n. 57506, ove si precisa che la revoca disposta de plano determina una violazione del contraddittorio cui consegue la nullità del provvedimento).

In tale sede, nel pieno contraddittorio tra le parti, possono essere prospettati elementi ulteriori a quelli forniti dall'autorità inquirente, possono essere sentite le parti (ex art. 127 c.p.p., l'imputato è sentito ove compaia), possono essere acquisiti ex officio gli atti ritenuti utili ai fini del decidere (non è prevista la possibilità di svolgere alcuna attività istruttoria).

Soltanto all'esito di un attento vaglio del materiale raccolto e delle eventuali dichiarazioni rese dall'interessato il giudice potrà ritenere che sia stato commessoun nuovo delitto non colposo da parte dell'imputato ovvero un reato della stessa indole di quello per cui si procede, dando puntuale riscontro, nella motivazione del provvedimento (censurabile mediante ricorso per Cassazione), di tutti gli elementi considerati e dell'iter logico argomentativo seguito e che gli faccia ritenere provata in termini di elevata probabilità la commissione del nuovo fatto-reato.

Alla luce di tali considerazioni, poiché il tribunale di Torino aveva disposto la revoca della sospensione del procedimento con messa alla prova basandosi unicamente su quanto attestato in una comunicazione di notizia di reato della questura di Genova, senza alcun approfondimento o argomentazione in merito alla solidità e serietà dell'accusa mossa nei confronti dell'imputata, nonostante si trattasse di un atto di polizia giudiziaria emesso in una fase iniziale del procedimento e in una situazione nella quale gli elementi fattuali non potevano essere letti in modo univoco (stante una non lineare ricostruzione del fatto storico, in particolare in merito alle ragioni della richiesta d'intervento della polizia giudiziaria ed all'attribuzione della sostanza stupefacente all'imputata), la Suprema Corte ha disposto l'annullamento dell'ordinanza impugnata e rinviato per un nuovo esame della decisione al tribunale di Torino, precisando espressamente che in sede di rinvio il tribunale dovrà verificare se la revoca sia giustificata dalla commissione di un nuovo fatto reato e se tale accadimento sia accertato (con elevata probabilità) secondo i criteri più sopra delineati.

La Suprema Corte si è altresì pronunciata nel senso di ritenere che, accertata la sussistenza dei presupposti di una delle tre ipotesi contemplate dell'art. 168-quater c.p., il giudice deve disporre la revoca della sospensione del procedimento senza alcuna possibilità di apprezzamento discrezionale in ordine alla opportunità nel caso concreto di proseguire comunque la prova.

In linea con la finalità di recupero sociale dell'istituto della messa alla prova e alla luce della disciplina dettata in tema di revoca delle misure alternative alla detenzione, parte della dottrina si è espressa nel senso di ritenere che la decisione in merito alla revoca dovrebbe essere rimessa alla valutazione discrezionale di opportunità da parte del giudice, tenuto conto delle peculiarità del caso concreto.

Ritiene invece la Suprema Corte che tale approccio discrezionale sia stato escluso dal Legislatore in quanto la locuzione è revocata (art. 168-quater c.p.) esclude qualsivoglia possibilità di rimettere al giudice la valutazione discrezionale circa la possibilità di far proseguire comunque la prova nonostante la ricorrenza di un'ipotesi di revoca, possibilità che sarebbe stata consentita se fosse stata utilizzata una espressione diversa (ad esempio può essere revocata) o si fosse fatto espressamente riferimento a quanto previsto in tema di misure alternative dall'art. 47 ordinamento penitenziario, ove si subordina la revoca alla verifica che il comportamento del soggetto, contrario alla legge o alle prescrizioni dettate, appaia incompatibile con la prosecuzione della prova.

Anche la disciplina processuale conferma tale assunto, dal momento che il contraddittorio camerale di cui all'art. 464-octies c.p.p. non è diretto alla valutazione giudiziale della compatibilità della commissione del nuovo reato con la prosecuzione della prova in corso ma alla sola verifica della sussistenza dei presupposti in presenza dei quali la sospensione del procedimento è revocata.

Oltre che testuale, la preclusione in parola è anche logica se solo si consideri che l'accertamento della commissione di un nuovo reato dimostra che l'imputato non merita il beneficio concessogli perché socialmente pericoloso, con la conseguenza che la prognosi iniziale (che costituisce conditio sine qua non dell'ammissione alla prova) era errata. Sarebbe invero illogico se l'ordinamento, da un lato, subordinasse l'ammissione alla prova alla prognosi di non reiterazione di reati e, successivamente, consentisse al giudice di valutare l'opportunità di proseguire la prova già iniziata nel corso della quale l'imputato sia tornato a delinquere.

Osservazioni

Vi è un solo precedente della sentenza in commento, una pronuncia del 2017 (Cass. pen., Sez. VII, 23 giugno 2017, ord. n. 37680) con la quale la Suprema Corte si è limitata ad affermare che, ai fini della pronuncia di revoca dell'ordinanza di sospensione del procedimento con messa alla prova, il giudice può valutare anche un procedimento penale in corso e non è necessario attendere il passaggio in giudicato dell'eventuale condanna per stabilire se il condannato sia ancora meritevole del beneficio.

Nella pronuncia in commento, nel silenzio della legge, la Suprema Corte ha colto l'occasione per delineare come il giudice deve procedere alla valutazione della commissione del fatto di reato, quali atti procedimentali e processuali possa o debba tenere in maggiore considerazione, quale sia lo specifico obbligo di motivazione del giudicante.

Di estrema rilevanza è l'osservazione in merito al rischio di decisioni contrastanti da parte del giudice del sub-procedimento e di quello chiamato a valutare la sussistenza del nuovo fatto di reato, rischio che può determinare l'esclusione dell'imputato dalla prova nonostante una sua eventuale, successiva assoluzione per tale fatto, assoluzione che renderebbe di fatto ingiustificata l'intervenuta revoca.

Resta ora da vedere se i giudici di merito si adegueranno alle prescrizioni della Corte o, in considerazione della finalità premiale ed allo stesso tempo deflattiva della messa alla prova, saranno preferite altre interpretazioni, meno rigorose in termini di automatismo tra l'accertamento della commissione del fatto e la revoca della sospensione del procedimento.

In considerazione delle sue affinità con le misure alternative alla detenzione, potrebbe essere opportuno de iure condendo un intervento del Legislatore diretto a far luce sul tema in esame mediante l'introduzione di previsioni più puntuali a guida della valutazione del giudicante ovvero meccanismi di raccordo tra i due procedimenti penali che finiscono per essere in qualche modo collegati, al punto che le sorti dell'uno determinano quelle dell'altro.

Guida all'approfondimento

BOVE, La messa alla prova, Pisa, 2018.

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