Le Sezioni Unite si pronunciano ancora sulle clausole “claims made”
25 Settembre 2018
Le Sezioni Unite si pronunciano ancora sulle clausole “claims made”. Il modello dell'assicurazione della responsabilità civile con clausole “on claims made basis” – che è volto ad indennizzare il rischio dell'impoverimento del patrimonio dell'assicurato pur sempre a seguito di un sinistro, inteso come accadimento materiale – è partecipe del tipo dell'assicurazione contro i danni, quale deroga consentita al primo comma dell'art. 1917 c.c., non incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all'assicuratore. Ne consegue che, rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell'art. 1322, comma 2, c.c., ma la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell'attuazione del rapporto, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati.
La fattispecie. La caduta del braccio di una gru in un cantiere edile ha provocato il crollo di un magazzino e il conseguente danneggiamento delle merci custodite al suo interno. La proprietaria del magazzino ha dunque citato avanti al Tribunale di Treviso l'impresa proprietaria della gru e il giudizio ha comportato una serie di chiamate “a cascata” fino a giungere a quella posta in essere dalla società che aveva fabbricato la gru nei confronti della propria assicuratrice, chiamata in manleva. La compagnia di assicurazione, costituendosi, ha eccepito l'operatività della clausola “claims made”, sicché la stessa sarebbe stata a suo dire obbligata all'indennizzo solo per i danni il cui risarcimento fosse stato richiesto all'assicurato durante il periodo di efficacia della polizza. Il Tribunale di Treviso ha accolto la domanda proposta della produttrice, dichiarando nulla, ai sensi dell'art. 1341 c.c., la clausola “claims made”. All'esito del giudizio di impugnazione promosso dalla compagnia di assicurazione la Corte di Appello di Venezia ha accolto le domande promosse dall'appellante, respingendo la domanda di garanzia avanzata in primo grado. Secondo la Corte di Appello, infatti, la clausola “claims made”, di tipo puro, invocata dalla compagnia assicuratrice non rende nullo un contratto ai sensi dell'art. 1895 c.c. e la stessa non si presta neppure ad essere considerata vessatoria, avendo l'effetto non già di restringere la responsabilità dell'assicuratore, bensì di delimitare l'oggetto del contratto.
Le clausole claims made non impongono necessariamente test di meritevolezza. La soccombente in appello ha impugnato la sentenza sulla scorta di cinque motivi di gravame, incentrati sull'effettiva meritevolezza, sull'inderogabilità e sulla presunta vessatorietà della clausola “claims made”. All'esito dell'articolata ricostruzione dell'istituto da parte delle Sezioni Unite, anche in termini storico-comparatistici, i Giudici di legittimità, accogliendo il ricorso e reinvestendo la Corte di Appello della decisione di merito, ha elaborato il principio di diritto in base al quale il modello dell'assicurazione della responsabilità civile con clausole "on claims made basis", volto ad indennizzare il rischio dell'impoverimento del patrimonio dell'assicurato pur sempre a seguito di un sinistro, inteso come accadimento materiale, è partecipe del tipo dell'assicurazione contro i danni, quale deroga consentita al primo comma dell'art. 1917 c.c., non incidendo sulla funzione assicurativa il meccanismo di operatività della polizza legato alla richiesta risarcitoria del terzo danneggiato comunicata all'assicuratore. Ne consegue che, rispetto al singolo contratto di assicurazione, non si impone un test di meritevolezza degli interessi perseguiti dalle parti, ai sensi dell'art. 1322, comma 2, c.c., ma la tutela invocabile dal contraente assicurato può investire, in termini di effettività, diversi piani, dalla fase che precede la conclusione del contratto sino a quella dell'attuazione del rapporto, con attivazione dei rimedi pertinenti ai profili implicati. In tale contesto, i motivi di ricorso sollevati dalla ricorrente si prestano ad essere particolarmente valorizzate, nella sostanza, le doglianze dirette a stigmatizzare l'astrattezza del giudizio della Corte territoriale, operato sul filo del sillogismo che connette atipicità della clausola claims made "pura" e sua validazione ordinamentale, senza scendere nel concreto della peculiare vicenda contrattuale dedotta in giudizio. Nella sentenza impugnata era infatti evidente, all'esito del percorso interpretativo compiuto dalla Corte territoriale sul contenuto delle polizze stipulate inter partes, come la definizione generale di sinistro ("prodotti") ivi contemplata fosse solo riassuntiva del meccanismo operativo della “claims made” pura, giacché il sinistro era individuato nel fatto che genera il danno, mentre il claim del danneggiato operava come delimitazione temporale dell'operatività della polizza, in tal modo selezionando anche l'applicazione della relativa franchigia in rapporto a ogni "sinistro". In definitiva, secondo gli Ermellini, la Corte di Appello, nell'affermare la "sostanziale identificazione tra sinistro e richiesta", ha espresso una valutazione di sintesi circa l'equiparazione richiesta/sinistro, in quanto direttamente funzionale al momento di operatività della polizza, la quale definisce l'oggetto dell'assicurazione pur sempre in ragione del danno determinato da un fatto accidentale verificatosi in relazioni ai rischi assicurati. Una tale prospettiva in iure avrebbe, invece, dovuto guidare il giudice di appello nel considerare, in modo sinergicamente complessivo, l'atteggiarsi della vicenda dedotta in giudizio (ossia, della scansione diacronica tra verificazione del sinistro e richiesta risarcitoria da apprezzarsi nel precipuo contesto storico-ambientale), la sua incidenza sugli obblighi informativi che essa imponeva, la corrispettività tra premio e rischio assicurato - che doveva giustificare ragionevolmente la sensibile modificazione dell'importo della franchigia, nel collegamento stretto tra la stipulazione della prima e seconda polizza, tale da non ridondare in fenomeno di abuso del diritto la presenza, infine, di clausola di recesso in costanza di rapporto.
(FONTE: www.dirittoegiustizia.it) |