Improcedibilità del ricorso per cassazione – doveri di collaborazione del precedente difensore
03 Ottobre 2018
Massima
Nel caso in cui la notificazione della sentenza di appello sia avvenuta con modalità telematica, è onere del difensore che abbia ricevuto detta notificazione, attestare la conformità del documento analogico depositato al momento dell'iscrizione a ruolo a quello digitale ricevuto a mezzo pec. Il deposito presso la Cancelleria della Corte della mera copia analogica della sentenza di appello, della copia analogica del messaggio di notifica e del messaggio di posta certificata, tutti privi dell'attestazione di conformità ex art. 9, commi 1-bis e ter legge n. 53/1994, determina l'improcedibilità del ricorso ex art. 369 c.p.c..
Grava sul difensore costituito o domiciliatario, ancorché sia stato revocato o abbia rinunciato al mandato, l'obbligo non soltanto di informare la parte già rappresentata dell'avvenuta notificazione della sentenza ma altresì di compiere, in maniera tempestiva, le attività di estrazione di copia analogica della documentazione notificatagli a mezzo PEC e di attestazione della conformità e di consegnare detta documentazione al nuovo difensore ovvero alla parte stessa. Il caso
Il caso scrutinato dalla Corte di Cassazione trae origine da un contenzioso relativo ad un'azione di simulazione radicata da un istituto di credito in relazione a due successive compravendite immobiliari per le quali si assumevano mancanti le prove dell'avvenuto pagamento e dell'esercizio dei poteri riservati ai proprietari di unità immobiliari da parte di coloro che formalmente risultavano aver acquistato gli immobili. La domanda veniva accolta in primo grado ed era successivamente confermata in appello; il nuovo difensore delle parti soccombenti proponeva poi ricorso per Cassazione ma non allegava copia autenticata della sentenza di secondo grado notificatagli a mezzo PEC. La questione
La questione giuridica che merita di essere approfondita verte dunque intorno ad un punto essenziale, ultimamente parecchio dibattuto dalla Suprema Corte, e cioè la sanzione conseguente al deposito di copia della sentenza impugnata notificata a mezzo PEC priva dell'attestazione di conformità prevista dagli art. 9, commi 1-bis e 1-ter, della legge n. 53 del 1994.
Ulteriore profilo che merita attenzione è quello relativo all'esame dei poteri e compiti spettanti al difensore cui sia stato revocato il mandato professionale (o quest'ultimo abbia rinunciato allo stesso) prima della notifica del ricorso per Cassazione, curato perciò da altro professionista. Le soluzioni giuridiche
La soluzione giuridica cui perviene la Corte di Cassazione, in merito al primo profilo di analisi, è ormai una costante dell'ultimo periodo ed è frutto di una rigorosa lettura dell'art. 369 c.p.c. che lascia strettissimi margini di salvezza all'eventualità in cui la copia della sentenza impugnata, notificata a mezzo PEC, non sia munita di attestazione di conformità. Viene infatti ribadito il principio secondo cui, in tema di ricorso per cassazione, “qualora la notificazione della sentenza impugnata sia stata eseguita con modalità telematiche, per soddisfare l'onere di deposito della copia autentica della decisione con la relazione di notificazione, il difensore del ricorrente, destinatario della suddetta notifica, deve estrarre copia cartacea del messaggio di posta elettronica certificata pervenutogli e dei suoi allegati (relazione di notifica e provvedimento impugnato), attestare con propria sottoscrizione autografa la conformità agli originali digitali della copia formata su supporto analogico, ai sensi dell'art. 9, commi 1-bis e 1-ter, I. n. 53 del 1994, e depositare nei termini quest'ultima presso la cancelleria della S.C., mentre non è necessario provvedere anche al deposito di copia autenticata della sentenza estratta dal fascicolo informatico”.
L'unica possibilità di sfuggire alla sanzione dell'improcedibilità comminata dall'art. 369, secondo comma, n. 2) c.p.c. è data dall'eventualità che la copia autentica in questione risulti acquista in altro modo al fascicolo d'ufficio, o perché prodotta dalla parte controricorrente o perché presente per altra eventualità nello stesso fascicolo. Si esclude invece che possa aver rilevanza alcuna la non contestazione della controparte in presenza di documentazione priva dell'attestazione di conformità.
Per quanto riguarda invece i compiti del difensore che abbia rinunciato al mandato (o cui il mandato sia stato revocato) viene ribadito il principio che impone un preciso onere di collaborazione, spettando a costui il compito di compiere le dovute attestazioni di conformità in relazione a quanto ricevuto a mezzo PEC (nel caso di specie, la notifica della sentenza di secondo grado) e di consegnare le stesse al professionista che subentra nella difesa, che materialmente non può avere la disponibilità dei documenti informatici in questione. Come osserva la Suprema Corte, del resto, si tratta “di un differente atteggiarsi del medesimo obbligo del difensore destinatario della notificazione della sentenza in forme tradizionali, tenuto a consegnare, in maniera completa ed utile per l'esplicarsi della successiva attività processuale, gli atti e documenti afferenti il mandato; in entrambe le eventualità della notifica, una declinazione concreta, adeguata alle specificità della vicenda, del più generale dovere di diligenza professionale che l'avvocato, sotto pena della relativa responsabilità, deve serbare nei confronti del proprio cliente, anche se per qualsivoglia ragione sia cessato il mandato”. Osservazioni
La decisione assunta dalla Corte di Cassazione merita di essere analizzata alla luce di una (di poco) successiva pronuncia delle Sezioni Unite che, si ritiene, potrà portare ad una rimeditazione dei principi di diritto espressi. Con sentenza n. 22438/2018 è stata infatti esaminata in maniera molto approfondita l'intera problematica della produzione in forma analogica degli atti processuali creati in forma digitale e si è giunti a conferire piena rilevanza al comportamento concludente della controparte (nel caso scrutinato si fa riferimento alla parte destinataria della notifica di ricorso per Cassazione ma le fattispecie in esame sono in realtà sovrapponibili).
Si è così giunti a valorizzare l'art. 23, comma 2, del codice dell'amministrazione digitale (ai sensi del quale ”le copie e gli estratti su supporto analogico del documento informatico, conformi alle vigenti regole tecniche, hanno la stessa efficacia probatoria dell'originale se la loro conformità non è espressamente disconosciuta”), quale norma che, pur non essendo richiamata dall'art. 9, comma 1-bis e 1-ter, della legge n. 53 del 1994, è suscettibile di applicazione diretta nel processo civile in ragione del disposto di cui all'art. 2, comma 6, del medesimo Codice. In tal modo si conferisce rilevanza primaria al comportamento della controparte, che potrà “operare, o meno, il disconoscimento rispetto alla copia analogica che non sia stata autenticata dal difensore autore dell'atto notificato, in quanto in possesso proprio del suo originale”. In assenza pertanto di tale disconoscimento, non potrà essere pronunciata l'improcedibilità del ricorso per Cassazione.
Tale importantissimo arresto è purtroppo giunto pochi giorni dopo la pronuncia dell'ordinanza in commento e, si ritiene, porterà alla rimeditazione dell'orientamento al momento maggioritario, che è invece espressione di una lettura formalistica radicatasi nel corso degli ultimi due anni della giurisprudenza di Cassazione.
Per quanto concerne invece i doveri di collaborazione imposti al precedente difensore della parte ricorrente, la pronuncia si pone in termini di corretta continuità con gli orientamenti formatisi in epoca di gestione esclusivamente analogica dei fascicoli processuali e poggia le proprie basi sulla considerazione che il dovere di diligenza professionale (sanzionato dall'eventuale azione di responsabilità) permane anche nei confronti dell'ex cliente. In quest'ottica la collaborazione del precedente difensore si pone dunque come momento imprescindibile per la difesa della parte.
Conclusioni In conclusione, per quanto concerne l'interpretazione dell'art. 369 c.p.c., non si possono non salutare con favore i principi espressi dalla sentenza n. 22438/2018 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, auspicando che vengano prontamente recepiti in tutte le fattispecie nelle quali si discuta della trasformazione di documentazione digitale in analogica. Non si può invero non mettere in evidenza come, a parere di chi scrive, sia apparsa troppo penalizzante la lettura sino ad oggi offerta dalla giurisprudenza della Suprema Corte (lettura ribadita peraltro nell'ordinanza in commento), soprattutto vista l'esistenza di una norma come l'art. 23, comma 2, CAD (la cui applicabilità nel processo civile, come ora precisato dalle Sezioni Unite, è espressamente prevista dallo stesso codice dell'amministrazione digitale) che consente di affrontare la problematica secondo un'ottica più liberale e certamente più aderente ai principi del “giusto processo” |