La procedura divorzile tra comunione e condominio e la nascita del supercondominio

10 Ottobre 2018

Il dettato normativo degli artt. 61 e 62 disp. att. c.c. è stato lasciato immutato dalla Riforma del 2013. Così che oggi, come da sempre, in presenza di determinate situazioni fattuali si può verificare la separazione del condominio in due o più condominii. La procedura non è sempre agevole...
Il quadro normativo

Tra la manciata di norme scritte in appendice al codice civile, viene contemplato un istituto giuridico sovente dimenticato, la separazione del condominio.

Le norme di riferimento sono:

  • art. 61 disp. att. c.c.: «Qualora un edificio o un gruppo di edifici appartenenti per piani o porzioni di piano a proprietari diversi si possa dividere in parti che abbiano le caratteristiche di edifici autonomi, il condominio può essere sciolto e i comproprietari di ciascuna parte possono costituirsi in condominio separato. Lo scioglimento è deliberato dall'assemblea con la maggioranza prescritta dal secondo comma dell'art. 1136 del codice, o è disposto dall'autorità giudiziaria su domanda di almeno un terzo dei comproprietari di quella parte dell'edificio della quale si chiede la separazione».
  • art. 62 disp. att. c.c.: «La disposizione del primo comma dell'articolo precedente si applica anche se restano in comune con gli originari partecipanti alcune delle cose indicate dall'art. 1117 del codice. Qualora la divisione non possa attuarsi senza modificare lo stato delle cose e occorrano opere per la sistemazione diversa dei locali o delle dipendenze tra i condomini, lo scioglimento del condominio deve essere deliberato dall'assemblea con la maggioranza prescritta dal quinto comma dell'art. 1136 del codice stesso».

Brevi cenni sul condominio minimo, orizzontale, verticale e parziale

Solo per inquadrare la questione in commento, giova rammentare che il condominio non è concetto fisico statico tanto che in natura esistono:

a. Condomini minimi;

b. Condomini orizzontali;

c. Condominii verticali;

d. Condomini parziali.

Offrire la definizione di “condominio minimo” è tutt'altro che semplice.

Se inizialmente la definizione era ascritta a quelli stabili costituiti da due soli condomini, nel tempo si è definito minimo anche lo stabile con un numero ridotto di condomini.

Oggi prevale l'idea che minimo è quel condominio costituito da un numero di condomini inferiore a quello da cui scatta l'obbligatoria nomina dell'amministratore.

Questa tesi, sostanzialmente condivisibile in linea di principio, deve però scontare il limite se il titolo di “minimo” viene meno laddove lo stabile, pur in assenza di obbligo, decida di munirsi di un amministratore.

È bene precisare che la questione rileva solo ai fini del puro diritto teorico, atteso che in pratica “minimo” o “non minimo” al condominio si applicano le stesse norme.

Il vero e unico dato di rilievo giuridico è capire quando si è in presenza di condominio con la conseguente applicazione di tutte le norme di riferimento.

Sul punto, nonostante la datazione, risulta ancora di saggia valenza la pronuncia della Suprema Corte (Cass. civ., sez. un., 31 gennaio 2006, n. 2046), con la quale, trattando circa l'esistenza del condominio e l'applicabilità delle norme in materia ha precisato: «se nell'edificio almeno due piani o porzioni di piano appartengono in proprietà solitaria a persone diverse, il condominio - considerato come situazione soggettiva o come organizzazione - sussiste sulla base della relazione di accessorietà tra cose proprie e comuni e, per conseguenza, indipendente dal numero dei partecipanti trovano applicazione le norme specificatamente previste per il condominio negli edifici».

Il numero di condomini ha quindi rilievo solo come spartiacque della nomina facoltativa o obbligatoria dell'amministratore.

Il condominio, poi, per la sua conformazione fisica può essere verticale, quando si sviluppa da terra a cielo o orizzontale quando invece si sviluppa su piano di campagna piano.

Il primo caso è quello classico del parallelepipedo nel quale ad ogni piano si sviluppano le singole unità immobiliari.

Quello orizzontale è invece un concetto di condominio in parte diverso nella cultura dell'uomo non di legge.

Infatti, sovente, trattasi di singole villette terra-cielo oppure di piccoli corpi di fabbrica di due piani fuori terra (terreno e primo), uniti o meno ad altri.

Insomma, un complesso di villette con a comune le parti fisiologicamente comuni e quelle tali definite dal regolamento se presente.

Infine, ricorre il “condominio parziale” quando un bene è comune a due o più condomini, ma non a tutta la compagine del condominio.

Quindi può essere comune ad alcuni un'area destinata a parcheggio o anche uno dei beni indicativamente elencati nell'art. 1117 c.c.

Comunione e condominio

Il legislatore del 1942 ha posizionato le norme della comunione dall'art. 1100 c.c. al 1116 c.c. e quelle del condominio dall'art. 1117 c.c. al 1139 c.c.

Proprio l'art. 1139 c.c. è il cardine che unisce i due istituti, allorquando indica: «Per quanto non è espressamente previsto da questo capo si osservano le norme della comunione in generale».

L'elemento di distinzione tra la comunione e il condomino è la divisibilità.

In particolare, quando un bene comune a più persone è divisibile lasciando intatta la fruibilità e il diritto del singolo siamo in presenza di una comunione.

Quando questa divisibilità non sussiste, ricorre il condominio.

A titolo puramente esemplificativo, sono indivisibili le scale, l'ascensore piuttosto che il tetto dello stabile.

Ricondurre una realtà immobiliare all'uno o all'altro istituto non rileva solo ai fini puramente scientifici, ma anche nella regolamentazione delle spese e delle dinamiche interne di funzionamento della compagine stessa.

Tanto è vero che il legislatore ha usato anche diversa locuzione tra coloro che fanno parte della comunione (partecipanti o comunisti) da quelli del condominio (condomini).

La separazione del condominio: profili pratici e procedurali

In questi binari tracciati si inserisce a pieno titolo la questione dello scioglimento del condominio.

Infatti, se di “scioglimento” si parla, vuol dire che quel condominio contiene in sé le caratteristiche tipiche della comunione, tanto che, all'esito dello scioglimento, le unità che ne fanno parte non avranno alcun risentimento pratico e/o giuridico.

Quindi in questi casi rinveniamo realtà immobiliari sia con elementi condominialità che di comunione.

La separazione opera un vero divorzio alla base del quale v'è la rilevante differenza tra comunione, appunto e condominio.

Lo scioglimento, come detto in epigrafe, è contemplato da due distinte norme che sono gli artt. 61 e 62 disp. att. c.c.

Il primo disciplina lo scioglimento totale del condominio in creazione di distinti autonomi condominii.

Lo scioglimento può essere c.d. totale, quando l'edificio lo si può dividere in parti che in ogni caso mantengano caratteristiche di edifici autonomi.

Lo scioglimento determina altresì l'autonomia, intesa che tra i nascituri condominii non ci sarà alcun bene in comune.

La questione è quindi semplice da un certo punto di vista, ricorrendo quale unico incombente quello che ogni stabile, se avente più di otto condomini, dovrà dotarsi di un proprio amministratore.

Il secondo dato normativo tratta invece uno “scioglimento parziale”, ovvero quello che, una volta operato, non consente la nascita di autonomi stabili, bensì condominii che mantengono beni in comune.

Nell'àmbito di questa figura, lo scioglimento può avere ulteriore distinzione: separazione che, pur lasciando beni in comune, non richieda alcun intervento modificativo ovvero che richieda modifiche allo stato delle cose con conseguente necessità di eseguire sistemazioni dei locali e/o di beni.

La differenza rileva solo nei quorum deliberativi (v. oltre).

Lo scioglimento, a seconda se totale o parziale, ha una diversa disciplina procedural-condominiale.

Lo scioglimento deve essere valutato nella sede naturale dove nascono le decisioni del condominio: l'assemblea.

In buona sostanza, una volta posto all'ordine del giorno, il condominio dovrà deliberare se procedere con lo scioglimento oppure no.

Se lo scioglimento è quello di cui all'art. 61 disp. att. c.c. la delibera dovrà essere assunta nel rispetto del comma 2 dell'art. 1136 c.c.: «Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la metà del valore dell'edificio».

In difetto di raggiungimento del quorum - prosegue la norma - potrà decidere il giudice se ad esso giunge apposita richiesta da parte di almeno un terzo di quella parte del condominio che si vuole separare.

Non è dato sapere invece, l'elemento iniziale generativo e cioè chi deve chiedere l'inserimento nell'ordine del giorno della richiesta di separazione.

Infatti, la norma si preoccupa di dare la doppia procedibilità all'azione giudiziaria (preventiva delibera negativa e requisiti dei richiedenti la pronuncia) da radicare all'esito del diniego condominiale, ma non dice ab origine chi e come deve chiedere all'amministratore di far trattare detto argomento.

Nel silenzio della legge si può ragionevolmente ritenere corretto che anche un solo condomino possa essere attivamente legittimato a chiederlo e l'amministratore a redigere correttamente l'ordine del giorno.

Se lo scioglimento è quello normato al successivo art. 62 disp att. c.c., il quorum deliberativo è lo stesso di cui sopra, se la separazione pur lasciando beni in comune ai nascituri condominii, non richiede alcun intervento fisico.

Aspetto diverso se invece la separazione dovesse comportare dei costi legati ad adattamenti, sistemazioni dello stato dei luoghi.

L'assunzione di questo onere, secondo il legislatore del 1942, necessita di una delibera assunta con un quorum decisamente più importante, quello di cui all'art. 1136, comma 5, c.c.:«Le deliberazioni di cui all'articolo 1120, comma 1, e all'articolo 1122-bis, terzo comma, devono essere approvate dall'assemblea con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti ed almeno i due terzi del valore dell'edificio».

La nascita del condominio di condominii: il supercondominio

La fattispecie di cui al precetto dell'art. 62 disp att. c.c., a prescindere se il primo o secondo caso, è caratterizzata dal fatto certo che tra gli autonomi nuovi condominii rimangono in comune uno o più beni.

In tal senso il legislatore richiama l'art. 1117 c.c. e ciò è rilevante per due aspetti.

Il primo, decisamente semplice, è che nel trattare i beni comuni mantiene ferma la definizione di cui all'art. 1117 c.c. e l'elencazione indicativa ivi contenuta.

La seconda, molto rilevante, è che i nuovi e autonomi stabili, hanno in comune beni che per definizione normativa definisce condominiali e/o a comune.

Quindi, nel seguire come una espressione matematica i vari passaggi, se i beni condominiali sono comuni a più stabili, si ha un condominio di condominii.

Figura questa espressamente contemplata nella Riforma del 2013 nell'art. 1117-bis c.c. che tratta l'ambito di applicabilità delle norme condominiali.

Il riformatore del 2013, in tal senso, pur avendo avuto la sensibilità di integrare le norme trattando anche il condominio di condominii, ben si è guardato di usare quell'espressione che la dottrina aveva creato negli anni: supercondominio.

Ma uso, anzi non uso, delle parole a parte, la fisiologica conseguenza della separazione di cui all'art. 62 disp. att. c.c. è la nascita del supercondominio.

In questo caso, quindi, l'incombente a cui devono provvedere i singoli stabili, non è solo munirsi di autonomo amministratore (se il numero dei condomini che ne fanno parte lo rende obbligatorio), ma nominare un amministratore del supercondominio e il rappresentante di ogni stabile se i partecipanti dovessero essere più di 60 (art. 67, comma 3, disp. att. c.c.).

In conclusione

In conclusione, la separazione contemplata dal legislatore è uno scioglimento sui generis.

Infatti, in natura e in diritto, separare significa dividere.

Ciò che si divide non può generare nulla, il “divorzio” pone fine agli elementi prima legati.

Nel caso di specie, invece, dalla separazione del condominio può generarsi la vita di una figura giuridica complessa, elaborata ancor oggi bisognosa di più puntuale e pertinente intervento del legislatore: il supercondominio.

Allorquando scritte le norme (siamo nel marzo del 1942), non solo non esisteva la definizione di supercondominio, ma prima ancora non esisteva nemmeno il concetto nella cultura giuridica.

Il tempo ha attualizzato le norme in commento e le ha rese generative di “un qualcosa” di nuovo, impensabile nel 1942.

Se ciò può destare, come desta, qualche problema interpretativo e valutativo agli addetti ai lavori, offre però un lato dinamico e stimolante del diritto.

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