Immobile dichiarato inagibile e obbligo al pagamento regolare delle rate del mutuo
17 Ottobre 2018
Il proprietario di un immobile che sia stato dichiarato inagibile in seguito al crollo del Ponte Morandi e che aveva ottenuto dalla banca un mutuo per l'acquisto del suddetto immobile o per avviare una attività commerciale è obbligato al regolare pagamento delle rate?
Il crollo del ponte Morandi è una delle più gravi disgrazie degli ultimi decenni sia per il numero di vittime sia per l'impatto che quest'evento ha avuto su una intera comunità cittadina. E sebbene le conseguenze potessero essere ben più gravi, se solo a collassare fosse stata una delle campate più prossime alle sponde del torrente Polcevera, nondimeno centinaia di genovesi sono stati costretti ad abbandonare le loro abitazioni, ovvero le loro attività, minacciate dal rischio di ulteriori crolli. Nei giorni immediatamente successivi è apparsa di un certo allarme la condizione di quanti, proprietari di immobili o di attività commerciali svolte negli edifici minacciati dal crollo del ponte, avevano in scadenza rate di mutui. A tutela di costoro è intervenuto il Governo, il quale ha stabilito la sospensione dei mutui.
In particolare, l'art. 13 della Ordinanza della Presidenza del Consiglio del 20 agosto 2018 (pubblicata nella G.U. Serie Generale n. 194 del 22 agosto 2018) ha stabilito che il crollo del Ponte “Morandi”, in ragione del grave disagio economico che ha provocato, costituisce causa di forza maggiore ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 1218 c.c.; conseguentemente «i soggetti titolari di mutui relativi agli edifici sgomberati, ovvero alla gestione di attività di natura commerciale ed economica svolte nei medesimi edifici, previa presentazione di autocertificazione del danno subito, resa ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445 e successive modificazioni ed integrazioni, hanno diritto di chiedere agli istituti di credito e bancari, fino all'agibilità o all'abitabilità del predetto immobile e comunque non oltre la data di cessazione dello stato di emergenza, una sospensione delle rate dei medesimi mutui, optando tra la sospensione dell'intera rata e quella della sola quota capitale».
Il medesimo articolo onera le banche e gli intermediari finanziari ad informare i mutuatari circa la possibilità di richiedere la sospensione delle rate, indicando sia tempi di rimborso e costi dei pagamenti sospesi in base a quanto previsto dall'accordo del 18 dicembre 2009 tra l'ABI e le associazioni dei consumatori in tema di sospensione dei pagamenti, sia il termine, non inferiore a giorni trenta, per manifestare la volontà di avvalersi della sospensione. In difetto di comunicazione da parte di banche o intermediari finanziari, le rate in scadenza entro il 15 agosto 2019 sono sospese sino a tale data senza oneri aggiuntivi per il mutuatario. In effetti, lo stesso sistema bancario si era immediatamente attivato per venire incontro alla condizione di disagio che l'evento aveva procurato ai detti mutuatari o rimettendo il debito ovvero decidendo comunque di sospendere il pagamento delle rate. Indubbiamente, comunque, il provvedimento del Governo ha regolato in maniera omogenea le conseguenze del crollo su quanti avevano esposizioni verso il sistema bancario ed avrebbero dovuto comunque onorare le rate in scadenza. Meritano un breve approfondimento due aspetti, però.
L'accordo tra ABI ed Associazioni dei consumatori, cui rinvia espressamente l'Ordinanza della Presidenza del Consiglio, prevede la facoltà per i mutuatari di scegliere tra la sospensione dell'intera rata e quella della sola quota capitale.
Nel periodo di sospensione continuano a maturare gli interessi contrattuali, che possono essere rimborsati come segue:
Sia in un caso che nell'altro, e per effetto dell'allungamento del piano di rimborso, il mutuatario comunque dovrà pagare alla banca un importo maggiore per interessi contrattuali. Dunque, sebbene la sospensione non determini l'applicazione di interessi di mora per il periodo in cui il rimborso delle rate è “congelato” e sebbene la detta sospensione non comporti l'applicazione di commissioni o spese di istruttoria ovvero garanzie aggiuntive, comunque un costo l'operazione ce l'ha in termini di maggiori interessi contrattuali dovuti per un più lungo periodo di ammortamento. Ebbene, non pare potersi dubitare del diritto dei mutuatari di ottenere il rimborso di questi costi aggiuntivi dal soggetto tenuto a rispondere del crollo della infrastruttura: soggetto che, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dovrebbe in prima battuta essere individuato nella società che aveva l'obbligo di custodia della “cosa”, a meno che questa non riesca a provare il caso fortuito. Non sarà sufficiente provare, però, di avere effettuato la manutenzione ordinaria e straordinaria del manufatto ovvero di avere esercitato con scrupolo e puntualità la vigilanza sull'opera, avendo chiarito la giurisprudenza che «il caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, è connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, da intendersi però da un punto di vista oggettivo e della regolarità causale (o della causalità adeguata), senza alcuna rilevanza della diligenza o meno del custode» (Cass. civ., sez. III, sent., 19 aprile 2018 n. 9640).
E ciò perché «l'art. 2051 c.c., nell'affermare la responsabilità del custode della cosa per i danni cagionati, individua un criterio oggettivo di imputazione che prescinde da qualunque connotato di colpa, ma opera sul piano oggettivo dell'accertamento del rapporto causale tra la cosa e l'evento dannoso e della ricorrenza del caso fortuito, rappresentato da fatto naturale o del terzo, connotato da imprevedibilità ed inevitabilità, quale elemento idoneo ad elidere tale rapporto causale» (Cass. civ., sez. III, sent., 1 febbraio 2018 n. 2477). Vi è da chiedersi, inoltre, se i mutuatari avessero avuto diritto di invocare la sospensione dei mutui qualora non vi fosse stato l'intervento del Governo. In linea di principio, l'art. 1218 c.c. (norma espressamente richiamata dall'Ordinanza della Presidenza del Consiglio) esonera il debitore dall'obbligo di risarcire il danno al creditore se prova che l'inadempimento o ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. A mente dell'art. 1256 c.c., inoltre, «l'obbligazione si estingue quando, per causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile» e «se l'impossibilità è solo temporanea, il debitore, finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell'inadempimento». Tuttavia non è così scontato che il mutuatario avrebbe potuto invocare una delle due disposizioni appena citate. La giurisprudenza, infatti, ha definito in maniera restrittiva il concetto di «impossibilità non imputabile» quando l'oggetto dell'obbligazione è una somma di denaro.
È stato affermato, infatti, che «in materia di obbligazioni pecuniarie, l'impossibilità della prestazione deve consistere, ai fini dell'esonero da responsabilità del debitore, non in una mera difficoltà, ma in un impedimento obiettivo ed assoluto che non possa essere rimosso, non potendosi ravvisare nella mera impotenza economica derivante dall'inadempimento di un terzo nell'ambito di un diverso rapporto» (Cass. civ., sez. II, sent., 15 novembre 2013 n. 25777). Più in generale, è consolidato il principio secondo il quale «la liberazione del debitore per sopravvenuta impossibilità della sua prestazione può verificarsi, secondo la previsione degli artt. 1218 e 1256 c.c., solo se ed in quanto concorrano l'elemento obiettivo della impossibilità di eseguire la prestazione medesima, in sé considerata, e quello soggettivo dell'assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell'evento che ha reso impossibile la prestazione» (Cass. civ., sez. III, sent., 8 giugno 2018 n. 14915; in termini Cass. civ., sez. I, sent., 28 novembre 1998 n. 12093; Cass. civ., sez. II, sent., 13 agosto 1990 n. 8249).
Dunque, applicando alla fattispecie i principi appena richiamati, in linea di massima si dovrebbe negare al mutuatario il diritto di rifiutarsi di rimborsare le rate di mutuo accampando la impossibilità sopravvenuta della sua prestazione, a meno che questi non riesca a dimostrare non tanto l'elemento soggettivo dell'assenza di colpa (la inagibilità dell'immobile in seguito al crollo del ponte, infatti, è certamente estranea alla sua sfera di controllo) quanto l'elemento obiettivo che, dovendo consistere in un impedimento obiettivo ed assoluto, dovrebbe identificarsi in quel fatto – comunque collegato all'evento – ostativo alla possibilità di procurarsi le somme occorrenti al pagamento delle rate di mutuo. E ciò perché l'impossibilità ex art. 1256 c.c. è da intendersi in senso assoluto, ossia deve essere idonea ad impedire definitivamente l'adempimento: cosa «che - alla stregua del principio secondo cui "genus nunquam perit" - può evidentemente verificarsi solo quando la prestazione abbia per oggetto la consegna di una cosa determinata o di un genere limitato, e non già quando si tratta di una somma di denaro» (Cass. civ., sez. III, sent., 16 marzo 1987 n. 2691).
In tale ottica, potrebbe quindi ravvisarsi l'impossibilità se il mutuatario dimostri di avere ottenuto il finanziamento per l'esercizio di una attività commerciale all'interno dell'immobile poi dichiarato inagibile in conseguenza del crollo e di averla dovuta interrompere con perdita del reddito indispensabile per fare fronte alle scadenze delle rate di mutuo; più difficile sarà la dimostrazione della impossibilità della prestazione se il mutuo è stato erogato per l'acquisto o la ristrutturazione di un immobile destinato a residenza, non incidendo l'evento – almeno in linea di principio – sulla capacità del mutuatario di approntare le somme necessarie ma, semmai, rendendo solo più difficoltoso l'adempimento.
|