Comproprietà dell'unità immobiliare

19 Ottobre 2018

Accade con frequenza che le unità immobiliari poste in condominio, oggetto di proprietà solitaria, vedano più titolari del diritto, sì che le stesse sono assoggettate, per quel che attiene alla loro gestione, alla disciplina della comunione. L'ipotesi che si verifica con maggior frequenza è quella dei coniugi comproprietari dell'immobile in cui vivono, ma ben può accadere che l'immobile registri più titolari del diritto di proprietà...
Inquadramento

Ove la proprietà (o altro diritto reale) su un determinato bene competa pro indiviso a più soggetti la fattispecie va ricondotta all'istituto della comunione, disciplinato dagli artt. 1100-1116 c.c.; tali norme sono volte a disciplinare la modalità di amministrazione del bene comune e la ripartizione dei diritti e degli oneri fra i contitolari del bene.

Si tratta di precetti che l'art. 1139 c.c. richiama in quanto applicabili, per tutto quanto non espressamente previsto dalla legge, anche in tema di condominio, poiché nell'edificio che costituisce condominio si assiste alla peculiare commistione - in un unico contesto edilizio - di parti in proprietà esclusiva cui sono destinate a servire, per destinazione, funzione o struttura ex art. 1117 c.c., parti comuni che invece spettano pro indiviso ai titolari delle proprietà solitarie.

Per quel che attiene alla disciplina generale relativa all'amministrazione dei beni in comunione, gli artt. 1110-1116 c.c. dettano tuttavia principi che si collocano su un piano sensibilmente distante rispetto alle norme in tema di condominio: le quote dei partecipanti alla comunione si presumono uguali (art. 1101, comma 1, c.c., salvo che il contrario risulti dal titolo); le quote sono liberamente cedibili così come il godimento del bene nei limiti della quota (art. 1103, comma 1, c.c.); il partecipante deve contribuire alle spese per il mantenimento della cosa comune e a quelle deliberate dalla maggioranza, ma può liberarsi dell'onere cedendo la quota (art. 1104, comma 1, c.c.); l'amministrazione spetta in maniera paritaria a tutti i comproprietari (art. 1105, comma 1, c.c.); sussistono forme semplificate di convocazione e celebrazione delle assemblee che - in tema di ordinaria amministrazione - decidono a maggioranza delle quote dei partecipanti alla comunione (art 1105, commi 2 e 3, c.c.); con la maggioranza semplice può anche essere nominato un amministratore, determinando le modalità con cui dovrà gestire il bene comune (art. 1106, comma 2, c.c.); per gli atti di straordinaria amministrazione e per le innovazioni è prevista una maggioranza dei due terzi del valore complessivo della cosa comune (art. 1108, commi 1 e 2, c.c.), mentre è richiesta l'unanimità per gli atti di disposizione del bene (art. 1108, comma 3, c.c.); ciascun partecipante, ove gli altri non si attivino tempestivamente, può provvedere agli atti necessari alla conservazione del bene comune, maturando diritto al rimborso per le spese effettuate a tal fine (art. 1110 c.c. ); ciascun partecipante può sempre domandare lo scioglimento della comunione, così come i comproprietari possono legittimamente stipulare un patto che preveda una durata della comunione inferiore ai dieci anni (art. 1111 c.c.), la divisione non può tuttavia chiedersi ove a seguito dello scioglimento il bene comune perdesse la propria funzione (art. 1112 c.c. ); norme particolari sono poi stabilite sul procedimento di divisione immobiliare (artt. 1113-1116 c.c., artt. 784 ss. c.p.c.).

L'edificio in comunione e quello in condominio

Va osservato che la semplice natura di edificio multipiano di un fabbricato non denota di per sé l'esistenza di un condominio, posto che tale fattispecie appare sussistente solo ove all'interno del complesso edilizio convivano almeno due proprietà solitarie distinte servite da parti comuni.

Per comprendere l'effettiva natura dell'edificio, e la conseguente normativa applicabile, si deve pertanto aver riguardo non tanto alla sua costituzione fisica quanto alla distribuzione della titolarità dei diritti, ben potendo lo stesso palazzo appartenere in via totale ad un unico soggetto, che dunque sarà totale proprietario di un bene complesso sotto il profilo strutturale ma unitario sotto il profilo giuridico; l'edificio potrebbe invece appartenere pro indiviso a più soggetti (ed esempio gli eredi dell'unico originario proprietario), in tal caso si sarà in presenza di una comunione mentre solo laddove sussista titolarità distinta di almeno due unità immobiliari si sarà in presenza di un edificio in condominio, di talché la gestione ed amministrazione della seconda ipotesi vedrà l'applicazione delle norme di cui agli artt. 1100-1116 c.c. mentre alla terza ipotesi si applicherà la specifica disciplina prevista dagli artt. 1117- 1139 c.c.

Giova tuttavia osservare che ben può darsi una ibridazione fra la seconda e la terza ipotesi, laddove alcune delle unità immobiliari poste in condominio spettino in comproprietà a più soggetti, così che diviene necessario contemperare le norme sulla gestione condominiale con la situazione soggettiva dell'unità singola, che presenta peculiari aspetti gestionali sia per ciò che attiene alla corretta convocazione e partecipazione dei comproprietari alle assemblee che per l'adempimento da parte di costoro delle obbligazioni relative alle spese per la manutenzione e gestione delle parti comuni.

La convocazione dei comproprietari

Il primo aspetto significativo, a fronte della comproprietà dell'unità posta in condominio, attiene alla corretta convocazione dei contitolari alle assemblee chiamate a deliberare ex artt. 1135 e 1136 c.c.

Si è osservato che non appare applicabile l'art. 2347 c.c. dettato in tema di società e di azioni in comproprietà, sì che appare ormai esito pacifico in dottrina e giurisprudenza che debbano necessariamente essere convocati tutti i comproprietari individualmente intesi (v., ex multis, Trib. Genova 7 gennaio 2008; Cass. civ., sez. II, 27 luglio 1999, n. 8116), tesi condivisibile ancor più oggi che - a seguito della riforma introdotta dalla l. 11 dicembre 2012, n. 220 - l'art. 1136, comma 5, c.c. stabilisce che l'assemblea non può deliberare se non consta che sono stati invitati tutti gli aventi diritto (in luogo della precedente onnicomprensiva dicitura di “condomini”)

Nelle pronunce testé richiamate i giudici hanno tuttavia ritenuto che sussista rituale convocazione di tutti gli aventi diritto anche quando si possa ritenere provato mediante presunzioni e con apprezzamento di fatto congruamente motivato che - seppur inviato ad un solo comproprietario l'avviso - tutti i destinatari abbiano avuto conoscenza della convocazione per aver conferito con costui.

Si tratta di pronunce decisamente antecedenti alla Riforma del 2013, che pare invece oggi aver inasprito sia le formalità della convocazione (art. 66 disp.att. c.c.) che quelle relative alla partecipazione dei comproprietari alla assemblea (art. 67, comma 2, disp.att. c.c.); appare allora prudente adottare una visione restrittiva della giurisprudenza più datata e consigliare all'operatore una rigida formalità nella convocazione dei comproprietari, considerandoli ciascuno destinatario obbligatorio di un avviso secondo le previsioni di cui all'art. 66 disp.att. c.c., adottando per l'invio i mezzi tassativamente indicati dalla norma (o, in alternativa, quelli indicati dall'art. 1117-ter c.c. per la speciale assemblea ivi prevista).

A maggior ragione, tale condotta appare imprescindibile ove si sia in presenza di più comproprietari residenti in luoghi diversi e che, magari, non coltivino rapporti interpersonali; è opportuno infatti non dimenticare che assai di frequente la comunione ha matrice ereditaria, con sottesi problemi di conflittualità marcata fra i coeredi, sì che una corretta convocazione di ciascuno degli aventi diritto appare necessaria ad evitare future censure alla delibera per vizio di convocazione, azione per la quale deve ritenersi legittimato attivo ogni comproprietario pretermesso (Trib. Monza 12 marzo 2012).

Possono risultare invece ancora attuali quelle pronunce che hanno ritenuto legittima la convocazione mediante di un unico avviso presso il domicilio dei coniugi che siano comproprietari e sui quali non sono noti disaccordi o contrasti (App. Milano 13 febbraio 1998; Cass. civ., sez. II, 16 febbraio 1996, n. 1206, Cass. civ., sez. II, 25 maggio 1984, n. 3231), principio che è in realtà riconducibile alle presunzioni e alla valutazione in fatto poc'anzi richiamata e che - nel caso di specie - appare di più solida attuazione; se invece i coniugi risultino separati e residenti in due luoghi diversi (anche se l'uno sia assegnatario dell'immobile in condominio) sarà certamente opportuno provvedere alla loro separata convocazione (Trib. Milano 18 ottobre 1993).

Quanto sin qui osservato vale, mutatis mutandis, anche per l'invio del verbale ai comproprietari assenti, al fine di far decorrere il termine di impugnativa ex art 1137 c.c.; in tal caso, trattandosi di adempimento volto a conferire certezza al deliberato avverso i vizi che comportano annullabilità, appare ancor più opportuno raccomandare il rispetto di adeguate formalità nei confronti di ciascun soggetto, posto che l'impugnazione della delibera può essere promossa da ciascuno dei comproprietari.

Pur a fronte dell'obbligo di adozione del registro di anagrafe condominiale e del suo costante aggiornamento, onere oggi previsto in capo all'amministratore dal novellato art. 1130, n. 6, c.c., va rilevato che nell'ipotesi di unità immobiliare in comproprietà, non è sempre semplice identificare tutti gli aventi diritto, specie ove la fattispecie plurisoggettiva tragga origine da vicende successorie da breve intervenute e che ancora non abbiano avuto esiti di trascrizione presso i pubblici registri, sì da rivestire requisiti di obbligatoria conoscibilità legale.

A fronte dell'inerzia degli interessati, che pure sarebbero obbligati a comunicare ogni variazione all'amministratore a mente dell'art. 1130, n. 6), c.c., si è considerato legittimo l'invio dell'avviso all'ultimo domicilio del defunto, ove lo stesso risulti ritirata da persona addetta a tale luogo (Cass. civ., sez. II, 29 luglio 1978, n. 3798), così come taluni hanno ritenuto applicabile alla fattispecie l'art. 303 c.p.c., dettato dal codice di rito in tema di notificazioni, che consente l'invio dell'atto agli eredi impersonalmente presso l'ultimo domicilio del defunto sino ad un anno dalla morte.

Ove poi gli eredi non abbiano ancora provveduto all'accettazione, i chiamati potranno lecitamente essere destinatari degli avvisi di convocazione (e lecitamente partecipare alla assemblea) non potendosi ravvisare alcun onere in capo all'amministratore di richiedere la nomina di un curatore della eredità giacente, mentre a costui dovrà fare riferimento l'amministratore ove tale figura fosse già stata nominata e comunicata al condominio (Cass. civ., sez. II, 1 luglio 2005, n. 14065).

La partecipazione all'assemblea

Una volta che tutti i comproprietari risultino ritualmente convocati alla assemblea si pone il problema della loro partecipazione all'adunanza, al fine di esprimere il voto che loro compete quale titolari di una unità posta in condominio.

È pacifico che l'unità immobiliare in comproprietà incida nel meccanismo di costituzione della assemblea al pari delle unità in proprietà solitaria: ai fini delle maggioranze previste dall'art. 1136 c.c. rileverà dunque come una testa e secondo il valore millesimale che le è attribuito in nella tabella predisposta ex art. 68 disp.att. c.c.

Tuttavia, poiché l'espressione di quel valore è demandata a più soggetti, si è posto il problema di individuare meccanismi che consentano un ordinato e costruttivo svolgimento delle riunioni.

Il legislatore del 1942 era stato decisamente tranchant, con un risultato che tuttavia aveva il pregio di rendere assai pratica la soluzione di eventuali dispute fra i comproprietari: l'art. 67, comma 2, disp.att. c.c. prevedeva che i comproprietari avevano diritto ad esprimere il voto che competeva alla loro unità immobiliare mediante la presenza di un solo rappresentante in assemblea, designato di comune accordo, mentre in caso di contrasti il delegato era designato per sorteggio dal presidente della assemblea.

La l. 11 dicembre 2012 n. 220 ha purtroppo mutato in maniera non felice la formulazione della norma, eliminando peraltro l'unico riferimento normativo in cui si prevedeva il presidente della assemblea condominiale. Oggi la norma statuisce che l'unico rappresentante in assemblea, a cui hanno diritto i comproprietari, deve esser designato a mente dell'art. 1106 c.c., ovvero con deliberazione a maggioranza dei partecipanti della comunione.

Tenuto conto si tratta di previsione inderogabile, a mente dell'art. 72 disp.att. c.c., non può non rilevarsi come la Riforma del 2013 abbia reso assai meno agevole la celebrazione di assemblee in fabbricati ove sussistano unità immobiliari in comproprietà.

Il soggetto che intervenga in assemblea in rappresentanza della comunione dovrà dunque produrre un deliberato dei comproprietari, adottato con la maggioranza indicata dall'art. 1106 c.c., con il quale gli sia stato conferito il relativo potere; il principio è applicabile anche al condominio minimo, ove una delle due unità che lo compongono sia in comproprietà fra più soggetti (Cass. civ., sez. II, 12 giugno 2017, n. 14584).

Non si pone alcun problema neanche laddove il soggetto che si reca in assemblea in rappresentanza della comunione produca delega rilasciata da tutti gli altri comproprietari, atto che oggi deve avere necessariamente natura formale ex art. 67, comma 1, disp.att. c.c.

A fronte dei pari poteri gestori, riconosciuti ai comproprietari dall'art. 1105 c.c., si è affermato in dottrina che, laddove non sussista manifesta contrapposizione degli altri comproprietari, possa ritenersi che il soggetto presente in assemblea sia investito del potere di rappresentanza ed operi con il consenso degli assenti, tesi indubbiamente suggestiva e che, tuttavia, non ha avuto ad oggi riscontro giurisprudenziale, posto che non si rinvengono pronunce specifiche sull'art. 67, comma 2, disp.att. c.c. nella formulazione vigente dal 18 giugno 2013.

Va, infine, osservato che nella comunione le quote si presumono uguali, salvo che il contrario risulti dal titolo; ove, come spesso accade nelle comunioni ereditarie, le quote risultino invece significativamente diverse e in assemblea si presenti il titolare di quota già maggioritaria per valore, pare ragionevole ritenere che costui sia legittimato a partecipare in rappresentanza della comunione, integrando di fatto il requisito previsto dall'art. 67, comma 2, disp.att. c.c.

Ove in assemblea compaia un rappresentate legittimato ad esprimere la volontà dei comproprietari il suo voto darà vincolante per costoro e, ove sia favorevole alle delibere assunte, li priverà del diritto di impugnativa ex art 1137 c.c.; eventuali discrasie fra rappresentante e rappresentati rimangono infatti interne al rapporto di mandato intercorso fra costoro e non potranno essere eccepite al condominio.

Qualora invece i comproprietari manifestino preventivo dissenso alla partecipazione di uno di loro alla assemblea o, addirittura, si presentino tutti in assemblea senza raggiungere una lecita designazione del rappresentante, dovrà ritenersi che - in assenza di un soggetto che possa legittimamente esprimere il voto della comunione - l'unità in comproprietà non possa essere computata né ai fini della costituzione né a quelli della votazione e che - ove risulti insanabile - il contrasto fra i comproprietari in ordine alla nomina del rappresentante possa essere risolto solo in sede giudiziaria ai sensi dell'art. 1105, comma 4, c.c., su istanza di uno dei comproprietari.

L'obbligazione di versare le quote

L'aspetto della responsabilità patrimoniale dei comproprietari verso il condominio non solleva invece significative problematiche: costoro sono tenuti in solido al pagamento degli oneri condominiali, sì che l'amministratore è legittimato ad agire per l'intero nei confronti di ciascuno di essi, salva l'eventuale azione di regresso di colui che abbia pagato l'intero nei confronti degli altri comproprietari coobbligati.

Si tratta di orientamento ormai pacifico in giurisprudenza (Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 2011, n. 21907), che trova il proprio fondamento nel principio generale dettato dall'art. 1294 c.c. (secondo il quale, nel caso di pluralità di debitori, la solidarietà si presume); ai fini della applicazione di detta solidarietà non ha alcuna rilevanza la circostanza che le quote dell'unità immobiliare siano pervenute ai comproprietari in forza di titoli diversi.

In evidenza

I comproprietari di una unità immobiliare situata in edificio condominiale sono tenuti in solido al pagamento degli oneri condominiali, sì che l'amministratore è legittimato ad agire per l'intero nei confronti di ciascuno di essi, salva l'eventuale azione di regresso di colui che abbia pagato l'intero nei confronti degli altri comproprietari coobbligati.

Si è osservato che nelle obbligazioni assunte per la gestione della cosa comune ricorrono sempre le condizioni per l'applicabilità dell'art. 1294 c.c., ovvero la pluralità di debitori legati da un vincolo di comunione, l'unicità della prestazione e la medesima fonte della obbligazione.

L'eventuale ripartizione fra i comproprietari dell'obbligazione condominiale, ai sensi degli artt. 1101 e 1104 c.c. rimane mero fatto interno alla comunione e non ha alcun rilievo nei riguardi del condominio, nei cui confronti il gruppo dei comproprietari deve essere unitariamente considerato.

La giurisprudenza di legittimità ha infatti sottolineato che dal lato soggettivo la comunione inquadrata nel condominio deve essere considerata più nel suo aspetto unitario che non in quello della scomposizione nei singoli diritti di proprietà sulla quota ideale; ciò in quanto la quota condominiale grava ex lege sul titolare della singola unità immobiliare intesa come cosa unica, di talché i comproprietari devono ritenersi costituire un insieme, in cui ciascuno è tenuto in solido verso il condominio.

Il litisconsorzio

Va, da ultimo, osservato che è principio pacifico in giurisprudenza che nell'ipotesi in cui il condominio intenda promuovere azione giudiziale avente natura reale, volta ad esempio ad ottenere la rimozione di opere realizzate nella unità in comproprietà e che incidono negativamente sulle parti comuni, sia tenuto a citare in giudizio, ex art 102 c.p.c., tutti i comproprietari, indipendentemente da chi materialmente abbia dato luogo alla attività lesiva, posto che la pronuncia è destinata ad incidere sui diritti di tutti i contitolari (Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2018, n. 4685; Cass. civ., sez. II, 26 aprile 2010, n. 9902).

Casistica

CASISTICA

Assemblea nella comunione

L'assemblea dei partecipanti alla comunione ordinaria, diversamente da quanto stabilito per il condominio degli edifici, è validamente costituita mediante qualsiasi forma di convocazione purché idonea allo scopo, in quanto gli artt. 1105 e 1108 c.c. non prevedono l'assolvimento di particolari formalità, menzionando semplicemente la preventiva conoscenza dell'ordine del giorno e la decisione a maggioranza dei partecipanti (Cass. civ., sez. II, 12 dicembre 2017, n. 29747).

Mancata convocazione del compropritario

La mancata comunicazione ad alcuni dei comproprietari di un'unica unità immobiliare comporta l'annullabilità della delibera e non la nullità con conseguente onere di impugnazione nel termine decadenziale di trenta giorni dalla conoscenza della stessa ex art. 1137 c.c. (Trib. Grosseto 7 giugno 2018, n. 565)

Convocazione dei comproprietari

Poiché l'art. 66, comma 3, disp. att. c.c. prevede espressamente che l'avviso di convocazione deve essere comunicato ai condomini, tali nel caso di comunione di proprietà di una determinata porzione di piano fra più persone sono tutte queste. La convocazione, per l'effetto, deve intervenire nei confronti di tutti i comproprietari, anche se che tale convocazione possa, comunque, intervenire senza particolari modalità. A tale fine affinché uno dei comproprietari pro indiviso di un piano o porzione di piano possa ritenersi ritualmente convocato a partecipare all'assemblea condominiale, nonché validamente rappresentato nella medesima da altro comproprietario della stessa unità immobiliare, non si richiedono particolari formalità, essendo sufficiente che risulti provato - nella ricorrenza di circostanze presuntive affidate alla valutazione del giudice del merito - che, dato l'avviso a uno dei comproprietari, quest'ultimo abbia reso edotti gli altri della convocazione. In particolare, l'esigenza che tutti i comproprietari siano preventivamente informati della convocazione dell'assemblea condominiale può ritenersi soddisfatta quando risulti, secondo l'incensurabile accertamento del giudice del merito, che in qualunque modo i detti comproprietari ne abbiano avuto notizia. Tale prova, ai sensi dell'art. 2697 c.c., gravava sul condominio convenuto (e, nel caso di specie, ha affermato il giudicante, non è stata peraltro fornita, non emergendo dagli atti alcuna circostanza da cui possa desumersi, sia pure in via presuntiva, che il comproprietario avvisato dell'assemblea abbia avvertito gli altri) (Trib. Genova 7 gennaio 2008).

-La convocazione dell'assemblea di un condominio, a pena di invalidità della medesima (art. 1136 c.c.), deve esser comunicata a tutti i comproprietari pro indiviso di un piano o di una porzione di piano, ma in assenza di particolari formalità per la notifica dell'avviso, la conoscenza di esso da parte di tutti i comproprietari può essere presunta se le circostanze sono gravi, precise e concordanti; in assenza di forma necessaria per le modalità di notifica, la conoscenza di essi può esser presunta, se le circostanze sono gravi, precise e concordanti (Cass. civ., sez. II, 9 gennaio 1998, n. 138).

Solidarietà tra i comproprietari

I comproprietari di un'unità immobiliare sita in condominio sono tenuti in solido, nei confronti del condominio medesimo, al pagamento degli oneri condominiali, sia perché detto obbligo di contribuzione grava sui contitolari del piano o della porzione di piano inteso come cosa unica e i comunisti stessi rappresentano, nei confronti del condominio, un insieme, sia in virtù del principio generale dettato dall'art. 1294 c.c. (secondo il quale, nel caso di pluralità di debitori, la solidarietà si presume), alla cui applicabilità non è di ostacolo la circostanza che le quote dell'unità immobiliare siano pervenute ai comproprietari in forza di titoli diversi. Trattandosi di un principio informatore della materia, al rispetto di esso è tenuto il Giudice di Pace anche quando decida secondo equità ai sensi dell'art. 113, comma 2, c.p.c. (nella specie, si é chiarito che il principio espresso non si pone in contrasto con quello già enunciato da Cass., sez. un., n. 9148/2008, riguardando quest'ultima pronuncia la diversa problematica delle obbligazioni contratte dal rappresentante del condominio verso i terzi e non la questione relativa al se le obbligazioni dei comproprietari inerenti le spese condominiali ricadano o meno nella disciplina del condebito ad attuazione solidale). (Cass. civ., sez. II, 21 ottobre 2011, n. 21907).

Ordinaria amministrazione e consenso dei comproprietari

Non sussiste violazione dell'art. 1105 c.c. qualora, nella situazione di comproprietà, uno dei soggetti compia un atto di ordinaria amministrazione - quale l'azione per finita locazione nei confronti del conduttore del bene comune - in quanto il consenso dei comproprietari si presume; salvo che venga data dimostrazione dell'esistenza del dissenso degli altri comunisti (Cass. civ., sez. III, 28 febbraio 2017, n. 5014).

Condominio minimo

Nel condominio c.d. minimo (formato, cioè, da due partecipanti con diritti di comproprietà paritari sui beni comuni), le regole codicistiche sul funzionamento dell'assemblea si applicano allorché quest'ultima si costituisca regolarmente con la partecipazione di entrambi i condomini e deliberi validamente con decisione “unanime”, tale dovendosi intendere quella che sia frutto della partecipazione di ambedue i comproprietari; ove, invece, non si raggiunga l'unanimità, o perché l'assemblea, in presenza di entrambi i condomini, decida in modo contrastante, oppure perché, come nella specie, alla riunione benché regolarmente convocata - si presenti uno solo dei partecipanti e l'altro resti assente, è necessario adire l'autorità giudiziaria, ai sensi degli artt. 1105 e 1139 cod. civ., non potendosi ricorrere al criterio maggioritario (Cass. civ., sez. II, 7 luglio 2017, n. 16901).

Litisconsorzio

Nel giudizio promosso per conseguire la rimozione di una costruzione, illegittimamente realizzata in un'unità immobiliare in danno delle parti comuni di un edificio condominiale, sono litisconsorti necessari tutti i comproprietari di tale unità, indipendentemente dal fatto che solo uno od alcuni di essi ne siano stati gli autori materiali (Cass. civ., sez. II, 28 febbraio 2018, n. 4685).

La domanda di demolizione di corpi di fabbrica abusivamente costruiti su un immobile acquistato da coniugi in regime di comunione legale, deve esser proposta nei confronti di entrambi, litisconsorti necessari, ancorché non risultino dalla nota trascritta nei registri immobiliari né detto regime, né l'esistenza del coniuge, non trattandosi di questione concernente la circolazione dei beni e l'anteriorità dei titoli, bensì di azione reale, che prescinde perciò dall'individuazione dell'autore materiale dei lamentati abusi edilizi. La eventuale violazione del contraddittorio è deducibile anche per la prima volta in sede di legittimità, se risultante dagli atti e non preclusa dal giudicato sulla questione (Cass. civ., sez. II, 26 aprile 2010, n. 9902).

Guida all'approfondimento
Ginesi, La gestione delle liti condominiali, Macerata, 2018; Celeste - Scarpa, Il condominio negli edifici, Milano, 2017; Terzago, Il condominio. Trattato teorico-pratico, a cura di A. Celeste, L. Salciarini e P. Terzago, Milano, 2015;Celeste - Scarpa, Il contenzioso, Milano, 2015;Celeste - Scarpa, L'amministratore e l'assemblea, Milano, 2014;Triola, Il nuovo condominio, AA.VV. a cura di Triola, Torino, 2014;Giusti, Art. 1100-1105. Comunione, in Comm. cod. civ. a cura di Gabrielli, Torino, 2013;Lamorgese, Art. 1106-1116. Comunione, in Comm. cod. civ. a cura di Gabrielli, Torino, 2013;Cendon, Proprietà e diritti reali, Torino, 2011;Celeste, L'assemblea, Milano, 2003; Corona, Proprietà e maggioranza nel condominio negli edifici, Torino, 2001;Bianca, Diritto civile, 6, La proprietà, Milano, 1999;Bigliazzi Geri, Diritti reali, in Il sistema giuridico italiano, Torino, 1988; Branca, Comunione. Condominio negli edifici, in Comm. al cod. civ. diretto da Scialoja e Branca, Bologna-Roma, 1982;Nuzzo, L'impugnazione delle delibere condominiali tra legge di riforma e recenti applicazioni giurisprudenzia-li, in La nuova procedura civile, 2013, fasc. 4;Izzo, La parziarietà nel condominio e la solidarietà nella comunione ordinaria pro indiviso, in Giust. civ., 2012, fasc. 4, 943.
Sommario