Il nesso causale può essere presunto se manca la cartella clinica

Antonio Scalera
25 Ottobre 2018

La questione della quale è investita la Suprema Corte attiene alle conseguenze, sul piano della prova, dell'omessa o incompleta tenuta della cartella clinica nei casi in cui il paziente invochi la responsabilità civile del medico.
Massima

L'ipotesi di incompletezza della cartella clinica va ritenuta circostanza di fatto che il giudice di merito può utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza d'un valido nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente, operando la seguente necessaria duplice verifica affinché quella incompletezza rilevi ai fini del decidere ovvero, da un lato, che l'esistenza del nesso di causa tra condotta del medico e danno del paziente non possa essere accertata proprio a causa della incompletezza della cartella; dall'altro che il medico abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a causare il danno.

Il caso

I genitori della minore G.B. convennero dinanzi al Tribunale di Pinerolo l'Azienda Sanitaria Ospedaliera ed i due medici V.V. e C.M. chiedendo accertarsi che, a causa della non conformità dell'operato dei predetti ai criteri di diligenza professionale, non soltanto non si erano risolte le patologie originarie dalle quali era afflitta la figlia (mal occlusione dentale) ma era conseguito un peggioramento della condizione clinica (consistito nella perdita dei denti, deterioramento della situazione occlusale, persistenti dolori e lesioni) e derivati danni patrimoniali e non patrimoniali dei quali chiedevano il risarcimento.

Il Tribunale di Pinerolo rigettò la domanda, compensando le spese di lite, salvo il costo della CTU posta a carico di parte attrice.

La Corte d'appello di Torino, nel respingere l'impugnazione di Giuseppina Basile, ha ritenuto che la sentenza di primo grado andasse confermata nella parte in cui aveva affermato che l'onere della prova circa la sussistenza di un nesso eziologico tra le varie terapie - asseritamente incongrue e non corrette - prestate dai sanitari alla paziente (in un arco quasi decennale) ed il peggioramento della salute - incombesse su quest'ultima e che tale onere non fosse stato assolto tenuto conto che il consulente aveva riferito di non essere in grado di rispondere a nessuno degli articolati quesiti postigli, a causa dell'assenza di significativi riscontri documentali che valessero ad orientare le indagini.

Propone ricorso per cassazione G.B. mediante quattro motivi.

La questione

La questione della quale è investita la Suprema Corte attiene alle conseguenze, sul piano della prova, dell'omessa o incompleta tenuta della cartella clinica nei casi in cui il paziente invochi la responsabilità civile del medico.

Le soluzioni giuridiche

La questione viene risolta dalla Suprema Corte attraverso il richiamo ai precedenti nei quali la giurisprudenza di legittimità, chiamata ad occuparsi di casi in cui la ricostruzione delle modalità e della tempistica della condotta del medico non poteva giovarsi delle annotazioni contenute nella cartella clinica, a causa della omessa tenuta o lacunosa redazione della stessa, ne ha costantemente addossato al professionista gli effetti, vuoi attribuendo alle omissioni nella compilazione della cartella il valore di nesso eziologico presunto (Cass. civ., 21 luglio 2003, n. 11316; Cass. civ., Sez. Un. 11/01/2008, n. 577), vuoi ravvisandovi una figura sintomatica di inesatto adempimento, essendo obbligo del medico - ed esplicazione della particolare diligenza richiesta nell'esecuzione delle obbligazioni inerenti all'esercizio di un'attività professionale ex art. 1176 c.c. - controllare la completezza e l'esattezza delle cartelle cliniche e dei referti allegati (Cass. civ., 26 gennaio 2010, n. 1538; Cass. civ., 18 settembre 2009, n. 20101). Al riguardo, è stato precisato come la difettosa tenuta della cartella non solo non vale ad escludere la sussistenza del nesso eziologico tra condotta colposa dei medici e patologia accertata, ma consente il ricorso alle presunzioni, come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato, nel quadro dei principi in ordine alla distribuzione dell'onere della prova e al rilievo che assume a tal fine il già richiamato criterio della vicinanza della prova, e cioè la effettiva possibilità per l'una o per l'altra parte di offrirla (Cass. civ.,Sez. Un. 11 gennaio 2008 n. 577). In tale prospettiva si è, quindi, precisato che l'incompletezza della cartella clinica è circostanza di fatto che il giudice di merito può utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza d'un valido nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente, essendo, però, a tal fine necessario sia che l'esistenza del nesso di causa tra condotta del medico e danno del paziente non possa essere accertata proprio a causa della incompletezza della cartella, sia che il medico abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a causare il danno (Cass. civ., sez. III, 12 giugno 2015, n. 12218).

Nel caso di specie, il giudice di merito si è limitato a dare atto dell'acclarata insufficienza di elementi cognitivi in ordine alle modalità di esecuzione delle terapie e degli interventi per effetto dello smarrimento della cartella clinica e della indisponibilità di documentazione sanitaria inerente alla ricorrente, senza attribuire a tali elementi il rilievo probatorio che invece doveva esservi connesso.

A fronte dei motivi di gravame volti ad evidenziare come già il giudice di prime cure non avesse adeguatamente valutato le conseguenze dell'omessa esibizione documentale da parte delle convenute sull'onere della prova circa l'esistenza di un nesso causale tra le asserite cure errate ed il peggioramento delle condizioni di salute della paziente, la Corte territoriale ha ritenuto erroneamente corrette e condivisibili le argomentazioni del tribunale ribadendo, per un verso, che l'onere della prova circa la sussistenza di un nesso eziologico tra le varie terapie prestate ed il peggioramento della salute incombesse sulla paziente appellante e, per l'altro, che tale onere non fosse stato assolto da quest'ultima in quanto non corroborato neppure dalle risultanze della esperita consulenza tecnica d'ufficio.

La Suprema Corte ha, quindi, ritenuto tali argomentazioni non conformi alle regole in materia di riparto dell'onere della prova sopra meglio richiamate e segnatamente al seguente principio: «l'ipotesi di incompletezza della cartella clinica va ritenuta circostanza di fatto che il giudice di merito può utilizzare per ritenere dimostrata l'esistenza d'un valido nesso causale tra l'operato del medico e il danno patito dal paziente, operando la seguente necessaria duplice verifica affinché quella incompletezza rilevi ai fini del decidere, ovvero, da un lato, che l'esistenza del nesso di causa tra condotta del medico e danno del paziente non possa essere accertata proprio a causa della incompletezza della cartella; dall'altro, che il medico abbia comunque posto in essere una condotta astrattamente idonea a causare il danno, incombendo sulla struttura sanitaria e sul medico dimostrare che nessun inadempimento sia a loro imputabile ovvero che esso non è stato causa del danno, incombendo su di essi il rischio della mancata prova».

Osservazioni

La sentenza si pone in linea di continuità con l'orientamento giurisprudenziale che addossa al medico e alla struttura sanitaria gli effetti della mancata o incompleta tenuta della cartella clinica.

Ciò appare, senza dubbio, condivisibile perché, altrimenti, il paziente vedrebbe pregiudicato il suo diritto alla prova a causa di un comportamento addebitabile proprio a quei soggetti di cui invoca la responsabilità.

È importante sottolineare che il principio della presunzione di nesso causale in ipotesi di omessa/mancata tenuta della cartella clinica opera a due condizioni: la prima è che, senza quella documentazione, la responsabilità del medico non possa essere provata; la seconda è che ci si trovi in presenza di un inadempimento del medico astrattamente idoneo a causare il danno.

Occorrerà, dunque, in tali casi, che la parte evidenzi la rilevanza, ai fini del decidere, della cartella clinica e della documentazione medica in essa contenuta e, al tempo stesso, descriva dettagliatamente la condotta tenuta dal medico, di modo che se ne possa apprezzare – sia pure in astratto - l'idoneità a cagionare i danni lamentati dal paziente.

Tale conclusione è condivisa anche in dottrina (D. SPERA, La responsabilità sanitaria contrattuale ed extracontrattuale nella “legge Gelli-Bianco”: da premesse fallaci a soluzioni inappaganti, in questa Rivista) ove si afferma che solamente quando la difettosa tenuta della cartella clinica non consenta al paziente-creditore la prova del nesso di causa tra la condotta colposa dei medici e la patologia verificatasi, il giudice potrà ritenerla accertata anche mediante presunzioni, sempre che sussista la (astratta) idoneità della condotta a provocarla, come avviene in ogni caso in cui la prova non possa essere data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato.

La necessità che la condotta del medico sia idonea in astratto a provocare il danno lamentato dal paziente è, peraltro, evocativa di quell'indirizzo giurisprudenziale secondo cui, in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico, ai fini del riparto dell'onere probatorio, l'attore deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto (o il contatto sociale) e l'insorgenza o l'aggravamento della patologia ed allegare l'inadempimento del debitore, astrattamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo, invece, a carico del debitore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur esistendo, esso non è stato eziologicamente rilevante (Cass. civ., Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 577; Cass. civ., 12 dicembre 2013, n. 27855).

Quest'ultimo è, peraltro, un indirizzo, che non appare esente da critiche, in quanto, con una “palese ingiustizia sostanziale” trasferirebbe sul debitore l'onere della prova della mancanza di nesso causale tra la condotta del medico e l'evento lesivo.

La tesi enunciata nella sentenza n. 577/2008 non ha trovato seguito nella più recente giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2018, n. 13752; Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2017, n. 18392) secondo cui, invece, in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria, incombe sul paziente che agisce per il risarcimento del danno l'onere di provare il nesso di causalità tra l'aggravamento della patologia (o l'insorgenza di una nuova malattia) e l'azione o l'omissione dei sanitari.

Guida all'approfondimento

RNI, Il rapporto di causalità in medicina, Milano 1951;

CARBONE, Rilevanza della cartella clinica, in Corr. Giur., 2004, 10, 1280;

FIORDALISI, La cartella clinica e la responsabilità del medico, in Appendino e al., Responsabilità civile e penale e cartella clinica nell'attività medica, Torino 2006;

OCCORSIO, Cartella clinica e “vicinanza” della prova, in Riv. Dir. Civ., 2013, 5, 11249;

PALMIERI-MUCCI, La cartella clinica, Padova 1992;

D. SPERA, La responsabilità sanitaria contrattuale ed extracontrattuale nella “legge Gelli-Bianco”: da premesse fallaci a soluzioni inappaganti, in questa Rivista, Focus del 13 Aprile 2017.

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