Liquidazione della s.r.l. e attribuzione del marchio al socio quale diritto particolare
29 Ottobre 2018
E' possibile introdurre nello statuto di una società a responsabilità limitata un diritto particolare a favore di un socio ad ottenere, in sede di liquidazione, la titolarità del marchio che ha conferito in società?
Per rispondere a tale quesito è opportuno delineare, brevemente, il tema dei diritti particolari previsti dall'art. 2468, comma 3, c.c. Tale alinea afferma che: “resta salva la possibilità che l'atto costitutivo preveda l'attribuzione a singolo soci di particolari diritti riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili”. La Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano (Massima n. 39) ha avuto modo di affermare che i particolari diritti che l'atto costitutivo di s.r.l. può attribuire a singoli soci, ai sensi dell'art. 2468, comma 3, c.c., possono avere ad oggetto materie non strettamente "riguardanti l'amministrazione della società o la distribuzione degli utili", cui espressamente si riferisce la norma, bensì ulteriori "diritti diversi", dovendosi ritenere concessa all'autonomia negoziale, al pari di quanto dispone l'art. 2348 c.c. per la s.p.a., la facoltà di "liberamente determinare il contenuto" delle partecipazioni sociali, "nei limiti imposti dalla legge. Tali diritti non rappresentano, secondo l'orientamento maggioritario, dei veri e propri diritti soggettivi in favore dei soci ma posizioni giuridiche soggettive a valenza organizzativa, modificabili, ove previsto dallo statuto, a maggioranza anche senza necessità del consenso dei titolari dei diritti medesimi. Venendo al quesito posto, in merito alla possibilità, in generale, di assegnare beni in natura ai soci occorre premettere che, a tutela dell'integrità del capitale sociale e dei creditori, è presente, nel nostro ordinamento, un principio di tipicità delle ipotesi di rimborso del patrimonio ai soci; tale rimborso è ritenuto ammissibile: a titolo di dividendo; a titolo di riduzione reale del capitale sociale ex artt. 2445/2482 c.c.; a titolo di distribuzione del residuo attivo in sede di liquidazione; a titolo di liquidazione della quota in caso di recesso di un socio. In caso di liquidazione della società la possibilità che il liquidatore assegni beni in natura ai soci anziché una somma di denaro potrebbe avvenire (i) per scelta volontaria e contrattuale del liquidatore stesso ovvero (ii) per espressa previsione da parte dei soci nel verbale di nomina dell'organo liquidatorio. Nel primo caso la fattispecie sarebbe inquadrabile nella fase esecutiva di una obbligazione restitutoria che nasce come pecuniaria e che risulta soggetta alla disciplina della datio in solutum prevista dall'art. 1197 c.c. I soci assegnatari prestano il loro consenso a che il debito, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1197 c.c., sia liberato eseguendo la diversa prestazione, consistente nell'assegnazione di un bene in natura anziché nella dazione di una somma di denaro. La fattispecie risulta, pertanto, essere ricompresa nell'ambito di un vero e proprio contratto tra liquidatore (società) e socio. La seconda opzione consente ai soci di prevedere già in sede di nomina del liquidatore ex art. 2487, comma 1, lettera c), dei “criteri in base ai quali deve svolgersi la liquidazione”. Ben potrebbero i soci decidere che la liquidazione dovrà avvenire mediante rimborso di beni in natura anziché denaro, dando in questo modo delle regole precise al liquidatore sui criteri di assegnazione e sull'oggetto dell'assegnazione. Il liquidatore potrebbe procedere direttamente all'assegnazione diretta dei beni in forza del programma di liquidazione definito nel verbale di nomina e il conseguente atto di assegnazione dovrebbe essere qualificato come un atto solutorio, un atto di adempimento unilaterale che non necessiterebbe di alcun tipo di consenso da parte dei soci assegnatari. Ciò premesso, con riferimento al tema dei diritti particolari la dottrina pressoché unanime ritiene possibile attribuire ad un socio il diritto particolare all'assegnazione di beni sociali da parte della società nelle sole ipotesi tipiche in cui è ammesso il rimborso del patrimonio sociale. La previsione di un tale diritto particolare, secondo la dottrina che si è occupata del caso, ha in sé una rinuncia preventiva alla parità di trattamento tra i soci, essendo possibile che i beni in natura che escono abbiano un valore patrimoniale incerto rispetto alla certezza data dal quantum monetario. Per cui a tutela degli altri soci sarà bene prevedere dei meccanismi di computo (esempio: perizia di stima) onde evitare discrasie eccessive di valori a danno degli altri soci. Ben si potrebbe prevedere, dunque, in uno statuto di una s.r.l. un diritto particolare a favore di un socio a vedersi assegnato, in sede di riparto dell'attivo residuo dalla liquidazione, il marchio di titolarità della società, salvo eventuali conguagli a favore degli altri soci qualora il valore del marchio ecceda la quota di partecipazione oggetto di liquidazione. Non vi sono norme imperative che ostano a tale possibilità, purché il tutto avvenga nel rispetto della procedura di liquidazione e della sua inderogabilità. Essendo infatti la liquidazione diretta a soddisfare l'interesse dei creditori sociali e, solo successivamente, il diritto dei soci alla ripartizione del residuo attivo, il diritto particolare in oggetto può riguardare esclusivamente l'avanzo netto di liquidazione che risulta dal bilancio finale di liquidazione e che presuppone il totale soddisfacimento dei creditori sociali; con forse un'unica eccezione prevista dall'art. 2491 c.c.: la possibilità di ricevere dal liquidatore un acconto sul risultato della liquidazione. |