Deroga norma uni 10200: alcuni aspetti del riparto delle spese di riscaldamento
30 Ottobre 2018
A seguito dell'installazione della contabilizzazione nell'impianto centralizzato di riscaldamento e alla relazione asseverata del tecnico incaricato di redigere i nuovi millesimi, dove si statuisce l'inapplicabilità della norma Uni 10200, l'Assemblea ha deliberato con la dovuta maggioranza di "ripartire i rendiconti consuntivi delle spese di riscaldamento, applicando la percentuale del 10% con i millesimi e del 90% a consumo". Nel presentare il rendiconto l'Amministratore ha ripartito il 90% delle fatture del gas metano in base ai consumi e le restanti spese (10% fatture gas metano, canone manutenzione terzo responsabile, elettricità ecc.) in base ai millesimi. L'operato dell'Amministratore è normativamente corretto? In caso di risposta negativa, l'eventuale delibera di approvazione del rendiconto presenta un vizio di nullità o annullabilità?
In argomento si osserva che la norma UNI 10200 è un riferimento oggettivo e “ufficiale”, per cui il Condominio che decide di adottarla comunque, può star sicuro che nessuno potrà mai contestarla. Viceversa, qualora si decida di adottare un altro criterio, bisogna innanzitutto individuarlo e deliberarlo con le maggioranze di legge e poi fare in modo che “funzioni” ovvero che rispecchi la realtà e non crei disparità eccessive, fonti di contestazioni. A tal proposito, dal punto di vista normativo, l'articolo 9, comma 5, lettera “d”, del d.lgs 102/2014 (modificato dall'art. 5 del d.lgs. n. 141 del 2016) prevede che ove la norma Uni 10200 non sia applicabile o laddove siano comprovate, tramite apposita relazione tecnica asseverata, differenze di fabbisogno termico per metro quadro tra le unità immobiliari costituenti il condominio o l'edificio polifunzionale superiori al 50 per cento, è possibile suddividere l'importo complessivo tra gli utenti finali attribuendo una quota di almeno il 70 per cento agli effettivi prelievi volontari di energia termica. In tal caso gli importi rimanenti possono essere ripartiti, a titolo esemplificativo e non esaustivo, secondo i millesimi, i metri quadri o i metri cubi utili, oppure secondo le potenze installate. A tal proposito, secondo “Confedilizia”, è possibile suddividere l'importo complessivo tra gli utenti finali secondo questo calcolo:una quota fissa non superiore al 30% (perché la quota al consumo deve essere almeno pari al 70%); una quota a consumo volontario di almeno il 70% (quindi potrebbe essere anche maggiore della quota indicata dalla normativa citata). In argomento, inoltre, secondo opinione dei tecnici in materia, la quota fissa è la frazione che non è influenzata dal comportamento volontario del singolo utente e che come tale non può essere annullata ed è sempre ripartita tra tutti i partecipanti al condominio. Della quota fissa fanno parte il consumo involontario, le spese per conduzione e manutenzione dell'impianto e le spese per il servizio di contabilizzazione. Premesso quanto innanzi esposto, in risposta al quesito in oggetto, si evidenzia che l'amministratore non ha fatto altro che ripartire le spese secondo i criteri vigenti e soprattutto alla luce di una delibera legittimamente approvata. Difatti, il citato decreto legislativo si limita soltanto a suggerire all'assemblea alcuni criteri di ripartizione lasciandola libera, comunque, di adottarne diversi (la legge, infatti, dice che l'assemblea “può” adottare i criteri indicati e non che “deve” necessariamente adottarli), limitandosi solo ad imporre che almeno il 70% dei consumi sia ripartito in base agli effettivi prelievi di energia termica. Ad ogni modo, nel denegato caso di una eventuale contestazione da parte dei condomini (in questo caso del rendiconto), si evidenzia che i principi, da tempo consolidatisi nell'interpretazione della Suprema Corte, circoscrivono le ipotesi di nullità ai soli casi di anomalie tali da rendere la delibera un mero simulacro (perché priva degli elementi essenziali, con oggetto impossibile o illecito o che esorbiti dalle competenze assembleari o che incida sui diritti o la proprietà individuale), dovendosi ogni altro vizio ricondurre alla categoria dell'annullabilità, la cui deduzione resta preclusa dal decorso del termine decadenziale di cui all'art. 1137, c.c. (Cass. civ., sez. II, 6 dicembre 2016, n. 24948). Ne consegue che l'eventuale contestazione nei confronti della presente delibera oggetto di approvazione del rendiconto può solo rientrare nell'ipotesi di annullabilità. In tal caso spetterà al giudice valutare la fondatezza dei motivi dell'impugnazione.
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