Il bilanciamento degli interessi tra lavoratore disabile e datore di lavoro

La Redazione
31 Ottobre 2018

Alla luce della normativa e della giurisprudenza nazionale ed europea, il diritto del lavoratore disabile alla adozione di accorgimenti che consentano l'espletamento della prestazione lavorativa trova un limite nella organizzazione interna dell'impresa e, in particolare, nel mantenimento degli equilibri finanziari dell'impresa stessa nonché nel diritto degli altri lavoratori alla conservazione delle mansioni assegnate e, in ogni caso, di mansioni che ne valorizzino l'esperienza e la professionalità acquisita.

Il caso. La Corte d'appello di Milano aveva confermato la pronuncia di primo grado che aveva giudicato legittimo il licenziamento intimato al lavoratore per sopravvenuta inidoneità fisica alle mansioni (operaio di V livello divenuto ipovedente).

Per il giudice di appello grado non era infatti possibile, per un verso, ricollocare il lavoratore in altri reparti produttivi e per altro, non sussiste un obbligo del datore di lavoro di licenziare altro lavoratore al fine di liberare la posizione lavorativa compatibile o di creare ex novo un posto di lavoro ritagliato sulle residue capacità lavorative del dipendente.

Lavoratore disabile e obblighi del datore di lavoro. Secondo la Corte di cassazione, la necessità di bilanciare la tutela degli interessi, costituzionalmente rilevanti (artt. 4, 32, 36, Cost.) del prestatore con la libertà di iniziativa economica dell'imprenditore (garantita dall'art. 41, Cost. e definita come diritto fondamentale dagli artt. 15 e 16 della Carta di Nizza), comporta che l'assegnazione del lavoratore, divenuto fisicamente inidoneo alla attuale attività, ad attività diverse e riconducibili alla stessa mansione, o ad alta mansione equivalente, o anche a mansione inferiore, può essere rifiutata legittimamente dall'imprenditore se comporti (non meri aggravi organizzativi, come statuito da Cass., sez. un., n. 7755 del 1998, bensì) oneri organizzativi eccessivi (da valutarsi in relazione alle peculiarità dell'azienda ed alle relative risorse finanziarie) e, in particolare, se derivi, a carico di singoli colleghi dell'invalido, la privazione o l'apprezzabile modificazione delle modalità di svolgimento della loro prestazione lavorativa che comportino l'alterazione della predisposta organizzazione aziendale.

Pertanto, conclude la Corte di legittimità, una interpretazione del comma 3-bis dell'art. 3, l. n. 216 del 2003, costituzionalmente orientata nonchè valutata alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia europea porta a ritenere che il diritto del lavoratore disabile alla adozione di accorgimenti che consentano l'espletamento della prestazione lavorativa trova un limite nella organizzazione interna dell'impresa e, in particolare, nel mantenimento degli equilibri finanziari dell'impresa stessa nonché nel diritto degli altri lavoratori alla conservazione delle mansioni assegnate e, in ogni caso, di mansioni che ne valorizzino l'esperienza e la professionalità acquisita.

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