La Suprema Corte fa chiarezza in merito al termine di decadenza di 60 giorni a seguito del tentativo di conciliazione
05 Novembre 2018
Il caso. Un lavoratore, dopo aver impugnato stragiudizialmente il licenziamento intimatogli, inviava comunicazione di richiesta di tentativo di conciliazione nel rispetto del termine decadenziale di 180 giorni, previsto dall'art. 6, l. n. 604 del 1966. Il datore di lavoro a sua volta riscontrava la richiesta, comunicando che “non intendeva sottoporre la questione alla procedura conciliativa di cui all'art. 410, c.p.c.”. Il lavoratore a questo punto adiva il Tribunale (procedimento l. n. 92 del 2012), che tuttavia rigettava il ricorso, per intervenuta decadenza, stante il mancato rispetto del termine di 60 giorni previsto dal medesimo art. 6. Proposto reclamo, la Corte di merito confermava la decisione di primo grado, ribadendo l'intervenuta decadenza. Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione il lavoratore.
Il procedimento di impugnazione di licenziamento ex art. 6, l. n. 604 del 1966. I giudici di merito hanno ritenuto intempestivo il ricorso proposto dal lavoratore, per intervenuta decadenza dal termine di 60 giorni decorrenti dal rifiuto del procedimento di conciliazione richiesto dal lavoratore. Per meglio comprendere la vicenda esaminata, analizziamo la scansione temporale dei vari atti. Il licenziamento intimato in data 13 dicembre 2013 venne tempestivamente impugnato con missiva del 29 gennaio 2014. Nel rispetto del successivo termine di 180 giorni, il lavoratore inviava comunicazione di richiesta di tentativo di conciliazione il 18 luglio 2014 e a sua volta il datore di lavoro comunicava con missiva del 30 luglio 2014 il suo rifiuto ad aderire al tentativo di conciliazione. Il lavoratore infine depositava in data 30 settembre 2014 il ricorso giudiziale; oltre dunque i 60 giorni, scadenti il 28 settembre 2014 (domenica) e così il 29 settembre.
Il termine di decadenza di 60 giorni per il deposito del ricorso. Sostiene il ricorrente che la corte d'appello, così come il giudice di primo grado, abbia errato nel ritenere decaduto il termine di 60 giorni previsto dalla norma sopra citata. Ciò in quanto deve essere considerato l'ulteriore termine di 20 giorni di sospensione, decorrenti dal rifiuto alla procedura conciliativa. Da ciò dunque la tempestività del ricorso. Ma la Corte di legittimità non ritiene fondato l'assunto.
L'altra ipotesi, che si verifica qualora alla richiesta di conciliazione la controparte non aderisca, opponendo il suo rifiuto o rimanendo in silenzio e impedendo così alla Commissione di attivare la procedura, per mancato accordo al suo espletamento. Questa seconda ipotesi è quella che riguarda la controversia decisa.
E dunque, affermano gli Ermellini, il motivo di censura proposto dal ricorrente non è fondato, poiché vorrebbe l'applicazione di un termine sospensivo non applicabile alla fattispecie concreta. Conseguentemente il ricorso giudiziale viene ad essere effettivamente intempestivo, per il mancato rispetto del predetto termine decadenziale di 60 giorni.
(Fonte: Diritto & Giustizia) |