Le ipotesi di rimessione al primo giudice

12 Novembre 2018

L'appello è di regola un'impugnazione a carattere sostitutivo, tuttavia, ci sono dei casi in cui l'accoglimento dell'appello comporta la remissione della causa al giudice di primo grado: si tratta di casi tassativamente previsti dagli artt. 353 e 354 c.p.c. nei quali l'appello si comporta come una impugnazione rescindente deviando dal modello sostitutivo. In tali ipotesi il giudice di appello si limita constatare la sussistenza del vizio (fase rescindente) ed a rimettere la causa al giudice di primo grado affinché questi emetta la decisione nel merito (fase rescissoria).
Premessa

L'appello è di regola un'impugnazione a carattere sostitutivo, ovvero il giudice di appello decide emanando una sentenza, sia essa di rigetto che di accoglimento, con la quale sostituisce la sentenza di primo grado. Ci sono, tuttavia, dei casi in cui l'accoglimento dell'appello comporta la remissione della causa al giudice di primo grado affinché sia quest'ultimo a rendere la decisione di merito. I casi di accoglimento dell'appello con rimessione della causa al giudice di primo grado sono casi tassativi previsti dalla legge, nei quali l'appello si comporta come una impugnazione rescindente deviando dal modello sostitutivo. In questi casi il giudice d'appello rende una pronuncia che non ha ad oggetto il rapporto, quindi la domanda originaria, ma la validità della sentenza, per cui annulla la sentenza e rimette la causa al primo giudice.

Accanto alle ipotesi in cui il giudice di appello decide confermando o riformando la pronuncia impugnata emanando, dunque, una sentenza sostituiva della pronuncia impugnata ci sono queste ipotesi eccezionali, tassative, di appello cd. rescindente. Si tratta di sei casi indicati dagli artt. 353 e 354 c.p.c..

Si possono distinguere due gruppi a seconda che la rimessione trovi ragione nell'erroneo rilievo di un impedimento processuale (artt. 353 e 354, comma 2, c.p.c.) ovvero in un vizio particolarmente grave del processo (art. 354, comma 1,c.p.c.) la cui sanatoria con efficacia ex tunc rende possibile la pronuncia di merito. La funzione cui adempie la rimessione nella prima ipotesi è quella di consentire una doppia pronuncia di merito; nella seconda ipotesi è quella di fare salvi gli effetti sostanziali della domanda.

Talora, la gravità dei vizi che conducono alla rimessione della causa in primo grado ne comporta la rilevabilità d'ufficio pur in mancanza di impugnazione sul punto ed il carattere assolutamente preliminare del loro esame rispetto ad altri temi d'indagine, che restano sottratti alla cognizione del giudice di appello, il che avviene in tutti i casi di radicale inesistenza del provvedimento impugnato.

L'erronea declinatoria di giurisdizione

L'art. 353 c.p.c. prevede l'ipotesi della rimessione al primo giudice per ragioni di giurisdizione, ovvero laddove il giudice d'appello accolga la censura contro la sentenza di primo grado, con la quale il giudice di primo grado aveva erroneamente dichiarato la carenza della propria giurisdizione. In tal caso, pronuncia sentenza con la quale rimanda le parti davanti al primo giudice (Cfr. Cass. civ., 31 maggio 2017, n. 13722). Laddove, invece, dovesse decidere nel merito, la sentenza sarebbe affetta da nullità, rilevabile anche d'ufficio ed andrebbe annullata con rinvio al primo giudice (Cfr. Cass. civ., 2 marzo 2009, n. 5020).

L'erronea dichiarazione di competenza non rientra invece tra le ipotesi di rimessione al primo giudice, per cui, quando il giudice di appello risolve positivamente, in riforma della sentenza impugnata, la questione di competenza del Giudice di pace, deve pronunziare nel merito in secondo grado, esercitando così ritualmente e correttamente la propria potestas decidendi, essendogli preclusa la possibilità di rimettere la causa al primo giudice. Viceversa, quando il Giudice di pace ha pronunciato sul merito, ritenendosi erroneamente competente, il Tribunale quale giudice di appello, riformata la declaratoria di competenza del Giudice di pace e ritenuta la propria competenza in primo grado, non può, in mancanza di espressa richiesta, trattenere la causa per pronunciarsi nel merito, ma deve indicare il giudice di primo grado davanti al quale occorre riassumere la causa ai sensi dell'art. 50c.p.c. (Cfr. Cass. civ., 12 novembre 2010, n. 22968, in Foro it., 2011, I, 3395).

La riassunzione a seguito della rimessione di cui all'art. 353 c.p.c.

Come accennato, il giudice d'appello che ritenga sussistente l'erronea declinatoria di giurisdizione, deve, ai sensi dell'art. 353 c.p.c., di pronunciare sentenza con la quale rimanda le parti davanti al primo giudice. Le parti devono riassumere il processo nel termine perentorio di tre mesi dalla notificazione della sentenza, altrimenti il processo si estingue. Il termine di riassunzione resta sospeso se la sentenza è oggetto di ricorso per cassazione, riprendendo a decorrere all'esito del giudizio di legittimità. La riassunzione avverrà a norma dell'art. 125 disp. att.. La mancanza dei requisiti prescritti da tale norma non determina di per sé la nullità dell'atto, salvo che renda impossibile il raggiungimento dello scopo. A tal fine si ritengono indispensabili il richiamo dell'atto introduttivo del giudizio e l'indicazione del provvedimento in forza del quale è eseguita la riassunzione, mentre non si rende necessaria la riproduzione specifica delle domande di parte e l'esposizione analitica dei fatti di causa. L'atto di riassunzione dovrà notificarsi nei confronti della parte costituita in appello presso il procuratore costituito (Saletti, La riassunzione del processo civile, Milano, 1983, 340).

Con la rimessione al primo giudice il legislatore vuole assicurare il rispetto del principio del doppio grado, vi è l'esigenza di consentire quantomeno un duplice esame nel merito. In questa ipotesi, è come se il processo di primo grado non si fosse svolto: non vi è stata una trattazione nel merito. Potrebbe accadere che una parte impugni la declinatoria di giurisdizione ottenendo in appello la rimessione della causa al primo giudice e quindi la prosecuzione, a seguito di riassunzione, del giudizio in primo grado, e l'altra, aderendo alla declinatoria di giurisdizione, riassuma la causa innanzi al giudice indicato come fornito di giurisdizione. In questo caso ci sarebbero due giudizi che pendono uno innanzi al giudice ordinario e l'altro innanzi al giudice speciale. Al riguardo, si è sostenuto che il giudice avanti al quale la causa è riassunta dopo la declinatoria di giurisdizione, il c.d. giudice ad quem, ove condivida le ragioni che hanno spinto la parte soccombente ad impugnare la decisione del primo giudice che ha declinato la sua giurisdizione, dovrebbe sollevare il regolamento di giurisdizione d'ufficio; in tal caso, il giudice investito dell'appello avverso la declinatoria di giurisdizione potrebbe scegliere se sospendere il giudizio in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite investite del regolamento di giurisdizione d'ufficio, oppure rigettare l'appello. Ciò tuttavia presuppone che il giudice ad quem abbia qualche dubbio circa la sua giurisdizione, tanto da esperire il regolamento di giurisdizione d'ufficio. Se, invece, ritiene che sussista la sua giurisdizione non vi sarà alcuna interferenza tra i due giudizi, per cui entrambi i rami dell'unico processo proseguiranno, finché in uno dei due la questione della giurisdizione non sia passata in giudicato.

Le spese

Sulla statuizione sulle spese la posizione giurisprudenziale non è ben definita. In alcuni casi si è affermato che il giudice deve provvedere sulle spese del solo grado di appello (Cfr. Cass. civ., 9 giugno 2017, n. 14495). In altri che il giudice deve provvedere sulle spese del doppio grado di giudizio (Cfr. Cass. civ., 16 luglio 2010, n. 16765). Altre volte, ancora, che non potendosi ancorare la statuizione sulle spese ad un'effettiva soccombenza, la decisione sulle spese del doppio grado di giudizio spetta al giudice di primo grado (Cass. civ., 3 aprile 1985, n. 2273). Quest'ultima pare la posizione più corretta, dato che solo all'atto della definizione della controversia la ripartizione delle spese potrà avvenire in funzione della soccombenza.

Gli altri casi di appello c.d. rescindente

Le altre ipotesi di rimessione della causa al primo giudice sono disciplinate dall'art. 354 c.p.c.. Il giudice di appello deve rimettere la causa al giudice del primo grado se rileva la nullità non sanata della notificazione della citazione introduttiva in primo grado. Il riferimento è all'ipotesi in cui il convenuto non si è costituito, per cui si è avuta in primo grado una contumacia involontaria. Il convenuto non era a conoscenza del processo, pertanto ha diritto alla rimessione in primo grado altrimenti il contumace involontario perderebbe un grado di giudizio.

Se si tratta di cause scindibili il giudice d'appello, trovandosi di fronte ad una pluralità di rapporti autonomi, ordinerà la rimessione al primo giudice in relazione alla causa in cui viene riscontrato il vizio, separando da questa le altre cause e decidendole nel merito.

La regola in esame vale anche in caso di nullità della notificazione dell'atto di riassunzione, non si applica invece in caso di inesistenza della notificazione ed in caso di nullità della notificazione delle comparse contenenti domande nuove da notificare al contumace ex art. 292c.p.c. (Cfr. Cass. civ., 20 ottobre 2016, n. 21219).

Altra ipotesi di appello rescindente si ha se il giudice di appello rileva la mancata integrazione del contraddittorio in presenza di un litisconsorte necessario pretermesso nel giudizio di primo grado ex art. 102 c.p.c. se sul punto la sentenza di primo grado non si era in alcun modo pronunciata (Cfr. Cass. civ., 21 settembre 2015, n.18496, la quale precisa che la rimessione al primo giudice è limitata alle sole ipotesi di litisconsorzio necessario, ex art. 354 c.p.c., perché la violazione del precetto di cui all'art. 102 c.p.c. dà luogo alla pronuncia di sentenza "inutiliter data", per l'oggettiva inidoneità della decisione a produrre effetti nei confronti di tutti i soggetti coinvolti in una situazione giuridica unitaria e plurilaterale, evenienza che non ricorre, invece, nel caso in cui venga omessa la chiamata del terzo in garanzia, atteso che l'iniziativa ex art. 106 c.p.c. dà origine a causa scindibile). Tuttavia, la rimessione in primo grado potrà essere evitata dall'intervento volontario in appello del litisconsorte pretermesso, purché lo stesso accetti la causa nello stato in cui si trova e tutte le parti accettino che la causa venga nuovamente trattata ed istruita con la presenza della parte necessaria direttamente in appello.

Ulteriore ipotesi, in qualche modo speculare alla precedente, si ha nel caso in cui il giudice di appello dichiara che è avvenuta in modo illegittimo l'estromissione di una parte dal giudizio di primo grado. Ovvero il giudice di primo grado ha pronunciato l'estromissione con sentenza non definitiva, consentendo la prosecuzione del giudizio a contraddittorio non integro sino alla pronuncia definitiva. In questo caso occorrerà, però, un motivo di appello ad opera della parte estromessa o di una delle altre parti che abbia interesse a dedurre l'illegittimità della sua estromissione (Cass. civ., 22 luglio 2004, n. 13766).

Un altro caso di rimessione in primo grado si verifica quando il giudice dell'appello dichiara la nullità della sentenza a norma dell'art.161, comma 2, c.p.c., cioè nullità della sentenza per difetto di sottoscrizione da parte del giudice che l'ha pronunciata. Questo difetto di sottoscrizione è l'unico caso di nullità assoluta o, secondo una diversa impostazione, di inesistenza della sentenza, e questo perché il difetto di sottoscrizione impedisce sostanzialmente di ricondurre quella decisione all'organo giudicante; per tale motivo, detto vizio è così grave da sopravvivere al giudicato, tanto che il legislatore lo sottrae al principio di conversione delle nullità in motivi di impugnazione, imponendo altresì la rinnovazione della decisione.

Non rientra in tale fattispecie l'ipotesi in cui in caso di decisione del collegio manchi una solo delle due sottoscrizioni, dell'estensore o del presidente: detta ipotesi darà, invece, luogo ad un vizio soggetto alla regola ordinaria dell'art. 161, comma 1, c.p.c. e quindi ad un appello sostitutivo e non meramente rescindente (cfr. Cass. civ., Sez.Un., 20 maggio 2014, n. 11201; Cass. civ., 29 settembre 2015, n. 19214, secondo cui la sentenza che, regolarmente sottoscritta dal Presidente, anche in qualità di estensore, non rechi i nominativi dei giudici costituenti il collegio deliberante, con conseguente impossibilità di desumerne l'identità, è nulla per vizio di costituzione del giudice, ai sensi dell'art. 158 c.p.c., e non per difetto assoluto di sottoscrizione ex art. 161 c.p.c., sicché la Corte d'appello, rilevata anche d'ufficio tale nullità, è tenuta a trattenere la causa e a deciderla nel merito, senza rimetterla al primo giudice, non ricorrendo nella specie alcuna delle ipotesi di rimessione tassativamente previste dall'art. 354 c.p.c.).

L'ultima ipotesi di appello c.d. rescindente si ha, infine, se il giudice d'appello rileva che in primo grado è stata erroneamente pronunciata l'estinzione del processo, in quanto non si è verificato alcun evento estintivo, a norma e nelle forme dell'art. 308 c.p.c.. Questo articolo disciplina il reclamo al collegio avverso l'ordinanza di estinzione pronunciata dal giudice istruttore, quindi nelle cause di competenza del Tribunale in composizione collegiale. La rimessione si può avere soltanto in caso di riforma della sentenza dichiarativa di estinzione pronunciata dal collegio in sede di reclamo avverso l'ordinanza del giudice istruttore: cioè solo nell'ipotesi in cui l'estinzione è stata dichiarata dal giudice istruttore quando non si era ancora esaurita l'istruzione, ovvero la trattazione nel merito, ed è stata confermata in sede di reclamo dal collegio, perché bisogna assicurare lo svolgimento di quel grado di giudizio che non si è potuto svolgere essendo stata dichiarata subito l'estinzione. L'art. 354, comma 2, c.p.c. trova applicazione anche nell'ipotesi di giudizio monocratico di primo grado in cui non sussiste la reclamabilità al collegio dei provvedimenti dichiarativi dell'estinzione del giudizio. Quando, invece, la dichiarazione di estinzione è avvenuta in una fase avanzata del processo (i.e. quando ormai la causa è stata rimessa in decisione), si applica il principio generale della pronuncia nel merito da parte del giudice d'appello perché il primo grado di giudizio si è svolto completamente o quasi completamente (v. Cass. civ., 3 maggio 2017, n. 10678 secondo cui il giudice d'appello, qualora accerti la nullità dell'ordinanza di estinzione del procedimento per convalida di sfratto, adottata in primo grado per effetto dell'avvenuta sanatoria della morosità nel termine di grazia, non può rimettere la causa al primo giudice, ma deve procedere alla decisione nel merito della controversia, non essendo in tal caso applicabile l'art. 354, comma 2, c.p.c., il quale si riferisce alle specifiche ipotesi di estinzione del processo per inattività delle parti previste dall'art. 307 c.p.c.).

In conclusione si può affermare che l'appello assume una struttura rescindente nei casi disciplinati dall'articolo 354, comma 1, c.p.c., cioè nullità della notificazione della citazione, mancata integrazione del contraddittorio, estromissione della parte che non doveva essere estromessa, nullità della sentenza per difetto di sottoscrizione. In tutti questi casi l'appello ha struttura rescindente, cioè il giudice d'appello è chiamato ad annullare la sentenza e deve rimettere la causa al giudice di primo grado affinché possa essere rinnovata dalle parti ed dal giudice l'attività invalidamente svolta in primo grado.

Diverso è il discorso che deve farsi per le due ipotesi relative alla riforma della sentenza che ha dichiarato l'errata declinatoria di giurisdizione e della sentenza del collegio che ha dichiarato erroneamente l'estinzione del processo. In realtà qui il giudice d'appello risolve in senso difforme da quanto avvenuto in primo grado una questione pregiudiziale di rito, quindi in realtà siamo sempre nell'ottica della decisione sostitutiva, dato che il giudice d'appello sostituisce alla pronuncia negativa della mancanza di giurisdizione, una pronuncia affermativa, con la quale dichiara sussistente la giurisdizione del giudice adito. Il giudice d'appello, in quel momento, non sta annullando la sentenza dichiarativa del difetto di giurisdizione, la sta sostituendo con una pronuncia affermativa della giurisdizione, quindi siamo sempre nell'ottica dell'impugnazione sostitutiva. Il processo prosegue dopo la sentenza dichiarativa della giurisdizione del giudice adito davanti al giudice di primo grado per assicurare il rispetto del principio del doppio grado. Lo stesso può dirsi nel caso di errata estinzione del processo, anche qui il processo prosegue in primo grado per assicurare il doppio grado di giudizio.

Tassatività dei casi di rimessione in primo grado e nullità dell'atto di citazione di primo grado

A fronte dei dubbi manifestati in dottrina sulla possibile applicazione del meccanismo di cui all'art. 354 c.p.c. al caso di nullità dell'atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado (sul punto, si v. l'ampia ed esaustiva monografia di Olivieri), la Suprema Corte di cassazione ribadisce costantemente la tassatività delle ipotesi di rimessione resa esplicita dalla clausola iniziale dell'art. 354c.p.c. (Cass. civ., 3 aprile 2012, n. 5277; Cass. civ., 9 marzo 2012, n. 3712; Cass. civ., 23 dicembre 2011, n. 28681; Cass. civ., Sez.Un., 19 aprile 2010, n. 9217, in Foro it, 2010, I, 2043).

Le questioni di legittimità costituzionale sollevate in relazione agli artt. 3 e 24 Cost. in quanto l'art. 354 c.p.c. non assicurerebbe il rispetto del doppio grado di giurisdizione pur in presenza di una causa di nullità degli atti compiuti in primo grado sono state dichiarate manifestamente infondate sia perché non esiste una garanzia costituzionale del doppio grado di giurisdizione di merito, sia perché il principio di eguaglianza non impedisce al legislatore di dettare norme diverse per regolare situazioni ritenute differenti, mentre il diritto di difesa è ampiamente realizzato con la previsione del potere-dovere del giudice d'appello di decidere la causa nel merito, previa rinnovazione, nel contraddittorio di tutte le parti, degli atti nulli. Nei casi di erroneo rilievo di impedimenti processuali il giudice di appello deve decidere il merito allorché, in contrasto con la sentenza di primo grado, ritenga valida la citazione introduttiva, oppure ammissibile l'opposizione a decreto ingiuntivo o la convalida di sfratto, o ancora insussistente la causa di inammissibilità o improcedibilità della domanda (Cass. civ., 15 maggio 2009, n. 11317; Cass. civ., 23 gennaio 2006, n. 1222).

La dottrina, invero, anziché limitarsi a prendere atto del carattere tassativo delle fattispecie di cui agli artt. 353 e 354c.p.c., esamina funditus il caso della nullità dell'atto di citazione non sanata in primo grado, distinguendo a seconda del tipo di vizio: se il vizio attiene all'editio actionis, non è sanabile con efficacia retroattiva, per cui una rimessione in primo grado volta a consentire l'integrazione della identificazione della domanda giudiziale avrebbe poca o nessuna utilità. Nel caso di vizi della vocatio in ius ove la sanatoria ha efficacia retroattiva invece si discute. Secondo alcuni sarebbe possibile forzare la lettera dell'art. 354,comma 1, c.p.c. e quindi effettuare una interpretazione analogica e/o estensiva con rinvio della causa in primo grado e rimessione in termini del convenuto. In tal caso si avrebbe una rinnovazione integrale del giudizio di primo grado alla luce dell'assimilazione della disciplina dei vizi della vocatio in ius a quella della nullità della notificazione emergente dalla previsione della possibilità di rinnovazione dell'atto e della conservazione degli effetti della domanda (Toffoli, 1302 ss.). Secondo altri, invece, la lettera della legge non consente questa operazione, questo vizio non sarebbe sanabile in appello e dunque in questo caso l'appello dovrebbe concludersi con una pronuncia di rigetto in rito della domanda per carenza della idoneità della citazione introduttiva a dare impulso al rapporto processuale, c.d. sentenza di absolutio ab instantia (Cavallini, 494 ss.; Chiarloni, 18).

Secondo altri ancora sarebbe possibile applicare la sanatoria dell'art. 164 c.p.c. direttamente in appello, ossia senza rimessione al primo giudice, per cui il giudice d'appello dovrebbe decidere nel merito, previa rinnovazione degli accertamenti compiuti nella pregressa fase processuale, ammettendo il convenuto, contumace in primo grado, a svolgere tutte le attività che, in conseguenza della nullità, gli sono state precluse, rendendo così il secondo grado un giudizio aperto e senza preclusioni (Consolo, 323). Questo è l'indirizzo prevalente ed attuale in giurisprudenza (Cfr. Cass. civ., 2 febbraio 2018, n. 2647; Cass. civ., 12 ottobre 2017, n. 24017; Cass. civ., 19 giugno 2017, n. 15126; Cass. civ., 14 giugno 2016, n. 12156).

Dal rilievo della nullità non discende dunque l'automatica rimessione in termini del convenuto, che sarà subordinata invece alla dimostrazione che il vizio gli abbia in concreto impedito di avere conoscenza del processo, giustificando il protrarsi della contumacia per tutto il primo grado. Nei casi di nullità della citazione per vizi attinenti alla vocatio in ius, infatti, la negligenza dell'attore non può esonerare il convenuto dal tenere a sua volta un comportamento diligente. Qualora il convenuto acquisisca conoscenza del processo in tempo utile per costituirsi nei termini o in prima udienza, nonostante la nullità della citazione, ma si costituisca successivamente, si versa in un'ipotesi in cui la mancata costituzione è a lui imputabile, per cui non merita la rimessione in termini per il compimento delle attività omesse in primo grado.

Appare evidente la differenza tra la nullità della citazione, che non sempre impedisce al convenuto di avere conoscenza del processo e quindi di costituirsi seppur tardivamente, e la nullità della notificazione dell'atto di citazione, che invece attiene proprio al procedimento attraverso il quale l'atto introduttivo deve essere portato a conoscenza del convenuto. In quest'ultimo caso si presuppone che il convenuto nulla abbia saputo in merito all'instaurazione del processo nei suoi confronti, si tratta dunque di un impedimento incolpevole all'esercizio dei diritti, che giustifica la rimessione in primo grado e la conseguente piena reintegrazione nei poteri difensivi (Per approfondimenti v. Balena, 125 ss.; Olivieri, 427 ss.).

La rinnovazione degli atti nulli

Al di fuori delle ipotesi di rimessione della causa al primo giudice, ove venga rilevato un vizio negli atti compiuti in primo grado non rientrante nelle ipotesi tassative di rimessione in primo grado il giudice di appello dovrà dichiararne la nullità e disporne la rinnovazione.

Il giudice di appello non soltanto dovrà disporre la rinnovazione degli atti nulli, ma dovrà consentire alla parte rimasta contumace in primo grado e conseguentemente alle altre parti di svolgere tutte quelle attività che a cagione della nullità sono state precluse, non potendo trovare applicazione il divieto di ius novorum in tutti i casi in cui il giudizio di primo grado non si sia regolarmente svolto (Cass. civ., 23 dicembre 2011, n. 28681). Se invece la rinnovazione non è possibile, scartati gli atti nulli, il giudice dovrà decidere nel merito.

Al di fuori delle ipotesi di cui agli artt. 353 e 354 c.p.c. l'appello non può essere però fondato solo su censure di nullità senza contemporaneo gravame contro l'ingiustizia della sentenza a pena di inammissibilità: secondo un consolidato orientamento, infatti, l'impugnazione con cui l'appellante si limita a dedurre soltanto vizi di rito avverso una pronuncia che ha deciso anche nel merito in senso a lui sfavorevole è ammissibile solo ove i vizi denunciati comporterebbero, se fondati, una rimessione al primo giudice. In questo caso l'interesse della parte appellante è riferito solo alla soluzione della questione di rito (Cass. civ., 10 maggio 2018, n. 11299; Cass. civ., Sez. Un., 19 maggio 2008, n. 12644).

Riferimenti
  • Balena, La rimessione della causa al primo giudice, Napoli, 1984;
  • Cavallini, Nullità della citazione per inosservanza del termine a comparire e poteri del giudice d'appello, in Riv. dir. proc., 1998;
  • Chiarloni, Appello, I, Enc. giur. Treccani, Roma, 1995;
  • Consolo, Spiegazioni di diritto processuale civile, Estratto, Torino, 2014;
  • Olivieri, La rimessione al primo giudice nell'appello civile, Napoli, 1999;
  • Toffoli, Sulla possibilità e i limiti dell'applicazione in via analogica delle disposizioni degli artt. 353 e 354 c.p.c. in tema di rinvio della causa al primo giudice da parte del giudice d'appello, in Foro it., I,1996.

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