Sono irripetibili le spese dell'esecuzione liquidate e non soddisfatte all'interno della procedura esecutiva

26 Novembre 2018

La questione sottoposta all'attenzione della Suprema Corte nella pronuncia in esame è se, in caso d'incapienza – nel caso di specie parziale – delle somme ricavate dall'espropriazione forzata, la liquidazione delle spese processuali effettuata dal giudice dell'esecuzione, pur non costituendo titolo esecutivo spendibile come tale al di fuori del relativo processo, integri ciò nondimeno una ragione di credito azionabile separatamente.
Massima

Il giudice dell'esecuzione, quando provvede alla distribuzione o assegnazione del ricavato o del pignorato al creditore procedente e ai creditori intervenuti, determinando la parte a ciascuno spettante per capitale, interessi e spese, effettua accertamenti funzionali alla soddisfazione coattiva dei diritti fatti valere nel processo esecutivo e, conseguentemente, il provvedimento di liquidazione delle spese dell'esecuzione, in tal caso ammissibile, implica, come tale, un accertamento meramente strumentale alla distribuzione o assegnazione stessa, privo di forza esecutiva e di giudicato al di fuori del processo in cui è stato adottato, sicché le suddette spese, quando e nella misura in cui restino insoddisfatte, sono irripetibili.

Il caso

Al termine di una espropriazione presso terzi, il compenso dovuto all'avvocato di parte esecutata veniva liquidato all'interno dell'ordinanza di assegnazione conclusiva di tale procedura; il compenso veniva però incassato solo in parte, a causa dell'incapienza della procedura medesima.

Sulla base di tale ordinanza, fatta valere quale prova scritta del credito residuo vantato nei confronti dell'esecutato, l'avvocato richiedeva e otteneva la pronuncia di un decreto ingiuntivo. Il decreto veniva opposto da parte debitrice che ne rilevava l'inammissibilità sulla base, in particolare, dell'insussistenza di un diritto ad agire per il recupero delle somme non incassate nell'ambito del processo esecutivo, al di fuori di tale procedura.

Il giudice di pace rigettava l'opposizione, con decisione che veniva confermata dal tribunale in sede d'appello.

Avverso tale decisione il debitore proponeva ricorso per cassazione in cui, in particolare, lamentava la violazione e falsa applicazione degli artt. 339 e 553 c.p.c., in quanto il tribunale avrebbe errato nel riconoscere all'ordinanza di assegnazione, resa all'esito del procedimento espropriativo presso terzi, natura di titolo idoneo alla pronuncia del decreto ingiuntivo: tale pronuncia, infatti, non avrebbe contenuto decisorio e quindi non sarebbe idonea a disporre, al di fuori del processo esecutivo, per il caso di incapienza; né avrebbe potuto trovare applicazione, nel caso di specie, il principio della soccombenza, che regola l'onere delle spese processuali esclusivamente nell'ambito del giudizio di cognizione.

La questione

La questione sottoposta all'attenzione della Suprema Corte è dunque la seguente: se, in caso d'incapienza – nel caso di specie parziale – delle somme ricavate dall'espropriazione forzata, la liquidazione delle spese processuali effettuata dal giudice dell'esecuzione, pur non costituendo titolo esecutivo spendibile come tale al di fuori del relativo processo, integri ciò nondimeno una ragione di credito azionabile separatamente.

Le soluzioni giuridiche

La Cassazione giudica fondato il motivo di ricorso proposto da parte debitrice.

In particolare, la Corte confronta il testo dell'art. 95 c.p.c., che accolla le spese della procedura esecutiva a carico di chi ha subito l'esecuzione, con il dettato del precedente art. 91 che, come noto, codifica, in materia processuale, il principio della soccombenza.

Aderendo ai più recenti approdi sul tema, i giudicanti affermano l'applicabilità della regola racchiusa nell'art. 91 c.p.c. esclusivamente al giudizio di cognizione, e ciò in quanto la collocazione dell'onere delle spese processuali al soggetto risultato soccombente sarebbe una conseguenza strettamente connessa all'attività di accertamento dell'esistenza (o inesistenza) del diritto azionato in tale sede svolta. Diversamente accade nel processo esecutivo dove, mancando qualsivoglia attività di cognizione (e, dunque, un soggetto che possa definirsi soccombente), l'onere delle spese non segue il principio di soccombenza, bensì la regola fissata dal menzionato art. 95 c.p.c., ossia quella della loro collocazione in capo a colui che subisce l'esecuzione (in questi termini, Cass. civ., 30 giugno 2011, n. 14504). Per questi motivi, la liquidazione delle spese effettuata dal giudice dell'esecuzione non può avere contenuto decisorio, bensì esclusivamente di verifica del credito relativo a tali spese, in funzione della sua liquidazione in sede di assegnazione o distribuzione.

Le spese dell'esecuzione, in altri termini, non sarebbero oggetto di un vero e proprio obbligo gravante sul debitore, ma rappresenterebbero, piuttosto, un costo oggettivo della procedura, gravante sul ricavato (così, pure Cass. civ., 14 novembre 2002, n. 16040), senza che dal relativo provvedimento di liquidazione possa nascere un diritto di credito spendibile al di fuori del processo esecutivo: un tale diritto, infatti, non viene accertato dal giudice dell'esecuzione, né può essere accertato da altri giudici, in virtù del principio generale secondo il quale le spese del processo sono regolate dal relativo giudice (tra le tante, Cass. civ., 25 giugno 2003, n. 10129).

Ne consegue, con più preciso riguardo al caso di specie, che nell'ipotesi di incapienza parziale – ossia, il caso in cui il creditore abbia utilmente partecipato solo in parte alla distribuzione del ricavato –, l'ordinanza di assegnazione che abbia liquidato le spese complessive, per la parte di esse che non abbiano trovato soddisfazione all'interno dell'esecuzione, ha valore solamente ed esclusivamente ai fini della collocazione in quella procedura esecutiva, non costituendo né accertando alcun credito che possa dirsi spendibile al di fuori di essa, né in altri processi esecutivi, né in altri giudizi di cognizione (in tali termini, anche Cass. civ., 29 maggio 2003, n. 8634).

In definitiva, il giudice dell'esecuzione, quando provvede alla distribuzione o assegnazione del ricavato, effettua accertamenti funzionali alla soddisfazione coattiva dei diritti fatti valere nel processo esecutivo e, conseguentemente, il provvedimento di liquidazione delle spese dell'esecuzione implica un accertamento meramente strumentale alla distribuzione o assegnazione stessa, privo di forza esecutiva e di giudicato al di fuori del processo in cui è stato adottato, sicché le suddette spese, quando e nella misura in cui restino insoddisfatte, sono irripetibili (negano la natura di condanna di tale provvedimento, pure Cass. civ., 30 dicembre 2011, n. 30457 e la già cit. Cass. civ., n. 8634/2003).

Non necessitando, la decisione della controversia, di ulteriori accertamenti di fatto, la Cassazione ha deciso ai sensi dell'art. 384, comma 2, c.p.c., disponendo la revoca del decreto ingiuntivo opposto.

Osservazioni

L'art. 95 c.p.c. stabilisce un criterio oggettivo di ripartizione delle spese della procedura esecutiva, ponendone il relativo carico in capo a colui che subisce l'esecuzione, ossia il debitore.

Tale norma, tramite il riferimento a un'“utile” partecipazione alla distribuzione, presuppone che l'esecuzione sia stata fruttuosa e che, nell'ambito di essa, le spese sostenute dal creditore procedente e da quelli intervenuti abbiano trovato collocazione.

Per quanto riguarda la natura da riconoscersi al provvedimento che, all'esito della procedura esecutiva, disponga su tali spese, la pronuncia in commento si allinea all'orientamento consolidato (espresso principalmente dalla già richiamata Cass. civ., 29 maggio 2003, n. 8634) secondo cui, appunto, lo stesso non costituirebbe un provvedimento di condanna valevole come titolo esecutivo, in quanto mediante lo stesso si attuerebbe la mera liquidazione delle voci del diritto del creditore in vista dell'emissione di una successiva pronuncia di distribuzione e assegnazione: tale liquidazione, ovviamente, potrà avvenire compatibilmente con la consistenza e capienza della massa attiva ricavata dall'espropriazione.

L'impossibilità di ottenere al di fuori del processo esecutivo il pagamento delle spese non soddisfatte all'interno dello stesso, stante l'incapienza della procedura, sarebbe inoltre confacente col fine stesso dell'esecuzione, che deve ovviamente mirare all'estinzione dei debiti esistenti e non alla creazione o aggravamento di situazioni debitorie pregresse.

Guida all'approfondimento
  • Bongiorno, Spese giudiziali, in EGT, XXX, Roma 1991;
  • Chiovenda, La condanna alle spese giudiziali, II, Roma 1953;
  • Gualandi, Spese e danni nel processo civile, Milano 1962;
  • Scarselli, Le spese giudiziali civili, Milano 1998.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario