La tempestiva riattivazione del procedimento notificatorio
12 Dicembre 2018
Inquadramento
L'art. 291 c.p.c. regola l'ipotesi di nullità della notificazione, prevedendo che, nel caso di mancata costituzione in giudizio della parte intimata, il giudice, rilevato il vizio di nullità della notificazione, fissa all'attore un termine perentorio per rinnovarla. La rinnovazione impedisce ogni decadenza (di natura processuale, e, secondo taluni, anche di natura sostanziale cfr. Cass. civ., 25 maggio 2018, n. 13070). È pacificamente ammesso dalla giurisprudenza che la rinnovazione possa essere effettuata spontaneamente dalla parte stessa oppure su ordine del giudice ex art. 291 c.p.c.. Alla luce del disposto dell'art. 291 c.p.c., per impedire la decadenza correlata all'inosservanza del termine perentorio entro il quale la notifica va effettuata, la spontanea riattivazione del procedimento notificatorio è meramente facoltativa, ben potendo il notificante anche formulare apposita istanza al giudice affinché conceda un termine perentorio entro cui rinnovare la notifica. Diverso è il caso, non esplicitamente regolato da nessuna norma, in cui la notificazione abbia avuto esito negativo, essendo la stessa, pertanto, ancor prima che nulla, neppure perfezionata quale atto processuale. Con l'affermarsi del principio della scissione soggettiva degli effetti della notificazione, il negativo esito della stessa, quando non imputabile al notificante, ha assunto primaria importanza ai fini della conservazione degli effetti prodottisi con la richiesta originaria all'ufficiale giudiziario, e cioè nell'ottica di mantenere fermo, quale riferimento temporale in base al quale valutare la tempestività della notifica, il momento di tale originaria consegna dell'atto all'ufficiale giudiziario. In assenza di una apposita disposizione di legge, analoga a quella prevista dall'art. 291 c.p.c. per il caso di notifica nulla, la giurisprudenza oscillava tra le diverse soluzioni della necessità, da parte della parte notificante incolpevole, di apposita richiesta di autorizzazione al giudice non oltre il termine per la costituzione in giudizio (Cass. civ., 18 febbraio 2009, n. 3818) o dell'onere di procedere alla spontanea riattivazione del procedimento notificatorio “con sollecita diligenza” o “entro un termine ragionevole” (Cass. civ., Sez. Un. 4 maggio 2006, n. 10216, Cass. civ., 21 novembre 2006, n. 24702, Cass. civ., 19 marzo 2007, n. 6360, Cass. civ., 12 marzo 2008, n. 6547). Con la pronuncia delle Sezioni Unite 24 luglio 2009, n. 17352, la Suprema Corte, sensibile alle esigenze della ragionevole durata del processo, adottava tale secondo modulo procedimentale, secondo cui la conservazione degli effetti ricollegabili all'originaria richiesta di notificazione è subordinata alla spontanea tempestiva riattivazione del procedimento notificatorio da parte del notificante entro un termine ragionevole, per la cui determinazione occorre tenere presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per venire a conoscenza dell'esito negativo della notificazione e per assumere le ulteriori informazioni conseguentemente necessarie. Alle critiche secondo cui la vaghezza dei criteri del “termine ragionevole” e della “sollecita diligenza” producesse un'inaccettabile vulnus alla certezza del diritto sotto il profilo della precisa individuazione dei tempi di estinzione dei poteri processuali, la Corte opponeva, nella medesima pronuncia n. 17352/2009, che ad una simile certezza non si perveniva neppure abbracciando la prima interpretazione, in quanto affermare la necessità, per riprendere il procedimento di notificazione, di proporre istanza al giudice entro il termine per costituirsi in giudizio vuol dire ignorare che «L'esigenza di rispettare un termine perentorio per la notificazione si presenta in giudizio non solo per le impugnazioni, ma anche in svariate situazioni in cui non è applicabile un termine per la costituzione o altro termine che possa svolgere una funzione analoga». La pronuncia della Cassazione n. 549/2018
Nella materia è intervenuta la pronuncia n. 549/2018, con la quale la Suprema Corte, ribadendo l'orientamento già enunciato con Cass. civ., Sez. Un., 15 luglio 2016, n. 14594, ha ritenuto che il “termine ragionevole” entro cui riattivare il procedimento notificatorio debba essere individuato «in misura pari alla metà del tempo indicato per ciascun tipo di atto di impugnazione dall'art. 325 c.p.c.». Si individua così un termine certo ed indiscutibile oltre il quale la riattivazione del procedimento di notificazione non varrà a conservare gli effetti prodotti con la prima richiesta di notificazione, con conseguente maturazione delle eventuali decadenze previste per il compimento dell'atto processuale. Il nuovo impulso al procedimento entro tale termine impedirà, invece, il verificarsi della fattispecie estintiva del correlato potere processuale, facendo così salvi gli effetti interruttivi prodottisi con l'originario tentativo di notificazione dell'atto. Appare evidente che tale soluzione rappresenti il tentativo della Suprema Corte di fissare con certezza il termine perentorio entro il quale il negativo esito della notificazione per ragioni non imputabili al notificante non possa produrre effetti pregiudizievoli per la parte che abbia tempestivamente provveduto a riattivare il procedimento notificatorio dell'atto, rispondendo così alle critiche che, proprio in punto di certezza, propugnavano la tesi della necessità di richiedere al giudice l'autorizzazione alla ripresa del procedimento notificatorio entro il termine per la costituzione in giudizio.
Osservazioni critiche
Nella precedente sentenza Cass. civ.,Sez. Un. 15 luglio 2016, n. 14594, la Corte osservava che l'individuazione del termine nella metà del tempo indicato per l'attivazione di ciascuno strumento di impugnazione previsto dall'art. 325 c.p.c. si giustificava poiché «Se questi termini sono ritenuti congrui dal legislatore per svolgere un ben più complesso e impegnativo insieme di attività necessario per concepire, redigere e notificare un atto di impugnazione a decorrere dal momento in cui si è stato pubblicato il provvedimento da impugnare, può ragionevolmente desumersi che lo spazio temporale relativo alla soluzione dei soli problemi derivanti da difficoltà nella notifica, non possa andare oltre la metà degli stessi, salvo una rigorosa prova in senso contrario». Meritorio è il tentativo di fornire un criterio certo ed uniforme, ispirato a pure logiche matematiche, in base al quale stabilire per quanto tempo, in virtù del principio della scissione soggettiva degli effetti, la pronta iniziativa della parte notificante vale a conservare un potere processuale anche dopo la scadenza del termine di decadenza originariamente previsto. Eppure, nonostante l'equità della soluzione adottata, la ragionevolezza del giudice è cosa diversa dalla ragionevolezza del legislatore: la prima deve misurarsi con l'interpretazione delle norme che compongono l'ordinamento giuridico, mentre la seconda crea le parti di tale ordinamento al fine di offrire alle variegate esigenze della società civile una equilibrata soddisfazione. La soluzione adottata dalla Corte, più che un'interpretazione sistematica, appare il frutto di un procedimento creativo del tutto esuberante rispetto alle ordinarie funzioni della giurisdizione. Lo stesso procedimento comparativo tra i tempi previsti per la complessa attività di impugnazione e quelli necessari per la riattivazione del procedimento notificatorio, esteriorizzato dalla Corte al fine di sostenere l'equità della soluzione ermeneutica adottata, appare un'argomentazione volta non ad applicare, ma a creare, al di fuori di qualsiasi disposizione di legge applicabile alla fattispecie, una ponderata composizione tra i contrapposti interessi della ragionevole durata del processo e della salvaguardia del diritto di difesa della parte notificante incolpevole. Neppure sembra invocabile l'analogia. L'art. 152, comma 2, c.p.c. prevede, infatti, che perché un termine sia perentorio, ciò debba essere “espressamente” previsto dalla legge. Peraltro, anche ove astrattamente invocabile, nel caso di specie esiste, sì, una lacuna legislativa, ma il procedimento analogico richiede anche che il caso possa essere deciso applicando disposizioni che regolano “casi simili”, “materie analoghe” o “i principi generale dell'ordinamento giuridico” (cfr. art. 12, comma 2 disp. prel. c.c.), ipotesi che non possono dirsi ricorrenti nel caso di specie, ove si consideri che l'art. 325 c.p.c. è disposizione che regola il termine breve di impugnazione delle sentenze, che nulla ha a che vedere con il tempo entro cui la riattivazione della notificazione vale a conservare gli effetti derivanti dalla prima richiesta all'ufficiale giudiziario. Ancora, tanto secondo le logiche dell'analogia, quanto secondo quelle, più generali, del principio di legalità, troppo agevole è rilevare l'arbitrarietà dell'applicazione dei termini di cui all'art. 325 c.p.c., e non invece di quelli previsti dall'art. 327 c.p.c.. Tristemente dissolte appaiono, infine, le istanze di ragionevolezza sistematica esplicitate nella precedente sentenza delle Sezioni Unite n. 17352/2009, laddove la Suprema Corte giustamente escludeva l'idoneità del termine per la costituzione in giudizio, quale termine ultimo entro cui avanzare al giudice l'istanza di rinnovazione della notifica, in quanto «L'esigenza di rispettare un termine perentorio per la notificazione si presenta in giudizio non solo per le impugnazioni, ma anche in svariate situazioni in cui non è applicabile un termine per la costituzione o altro termine che possa svolgere una funzione analoga». Se i termini previsti dall'art. 325 c.p.c. dimezzati, infatti, possono trovare applicazione soltanto per la rinnovazione della notificazione delle impugnazioni ivi previste, per la notificazione degli atti non previsti dall'art. 325 c.p.c. dovrà giocoforza ritenersi che sia applicabile il termine di decadenza (dimezzato) previsto per la notificazione di ogni specifico atto (così già Cass. civ.,28 novembre 2017, n. 28388), e ciò nonostante le esigenze e le problematiche sottese alla rinnovazione della notificazione si manifestano in realtà sempre uguali a prescindere dall'oggetto notificato. Senza alcun bilanciamento in termini di tutela dei diritti individuali, pertanto, l'interpretazione della Suprema Corte si riduce a espressione di quella frammentarietà giuridica che scaturisce della sempre più marcata tendenza a prediligere i profili attinenti alla risoluzione del singolo caso concreto, a discapito dell'unitarietà e della non contraddittorietà dell'ordinamento, irrinunciabili sostantivi di qualsiasi sistema giuridico razionale.
|