Il riconoscimento del danno morale non scardina lo statuto del danno non patrimoniale e il sistema tabellare di liquidazione

Cesare Trapuzzano
20 Dicembre 2018

Nella liquidazione del danno non patrimoniale occorre tenere conto delle sue due componenti, ossia dell'aspetto interiore correlato al danno morale e dell'aspetto esteriore connesso al danno dinamico-relazionale, in cui rientra il danno biologico, al fine di consentire un pieno ed esaustivo ristoro del pregiudizio, così come nel danno patrimoniale deve aversi riguardo alle voci sia del danno emergente sia del lucro cessante. Nondimeno, l'autonoma rilevanza ontologica del danno morale non scardina il modello risarcitorio del danno non patrimoniale, fondato sulla sua unità giuridica, come disegnato dalle sentenze di San Martino del 2008, né mina la congruità del sistema tabellare di liquidazione individuato in sede nomofilattica.
Inquadramento

Ad avviso delle recenti pronunce della Cassazione, (Cass. civ., sez. III, sent., 17 gennaio 2018, n. 901 e Cass. civ., sez. III, ord., 27 marzo 2018, n. 7513 - ordinanza camerale da cui è stato tratto il c.d. decalogo del danno non patrimoniale, articolato su dieci punti; Cass. civ., sez. III, sent., 31 maggio 2018, n. 13770; Cass. civ., sez. III, ord., 28 settembre 2018, n. 23469 e Cass. civ., sez. III, ord., 30 ottobre 2018, n. 27482) l'unitario danno non patrimoniale, che trova la propria legittimazione risarcitoria nell'art. 2059 c.c., è costituito da due componenti, ossia dalla sofferenza interiore (o danno morale subiettivo) e dalla sofferenza esteriore (o danno dinamico-relazionale), così come l'altrettanto unitario danno patrimoniale, il cui risarcimento è regolato dall'art. 2043 c.c., comprende le voci tanto del danno emergente quanto del lucro cessante. La previsione di siffatte componenti del danno non patrimoniale non ne compromette l'unitarietà giuridica, intesa come garanzia di unicità del riconoscimento del pregiudizio – e della relativa liquidazione –, pur a fronte dei plurimi valori costituzionali incisi, secondo le medesime regole e criteri. Ciò non esclude che, sul piano ontologico e fenomenologico, i beni giuridici, attinti dall'illecito, della salute, a sua volta inevitabilmente e inscindibilmente incidente sulla qualità della vita, per un verso, e del dolore (interiore), per altro verso, rispettivamente corrispondenti agli aspetti dell'essere, del fare e dell'apparire, che contraddistinguono le esplicazioni essenziali della vita della persona, siano autonomi, anche perché riconducibili a parametri costituzionali eterogenei. D'altro canto, il danno biologico è, a tutti gli effetti, danno dinamico-relazionale, poiché la lesione dell'integrità psico-fisica, intesa quale perdita anatomica o funzionale, non può non avere ripercussioni sulla vita di relazione (ossia sulle attività quotidiane e sui profili dinamico-relazionali della vita del danneggiato), sicché rimane ferma l'indifferenza tra danno biologico ed esistenziale, entrambi convergenti nella categoria inscindibile del danno dinamico-relazionale.

Sennonché gli assunti che precedono - per un verso - non scardinano lo statuto del danno non patrimoniale, come delineato dalle sentenze di San Martino del 2008 (Cass. civ., Sez. Un., 11 novembre 2008, n. 26972, 26973, 26974 e 26975), apportandovi un mero temperamento, peraltro ampiamente giustificato dagli interventi normativi sopravvenuti, e - per altro verso - non sradicano la congruità del sistema tabellare elaborato dall'Osservatorio istituito presso il Tribunale di Milano, al quale la Corte di legittimità ha attribuito valenza preferenziale nell'adozione della regola equitativa di cui all'art. 1226 c.c., al fine di garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l'uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi (unanimemente a decorrere da Cass. civ., sez. III, 7 giugno 2011, n. 12408 e sino a Cass. civ., sez. III, 28 giugno 2018, n. 17018). D'altronde, ai sensi dell'art. 138, comma 2, cod.ass. (come sostituito dall'art. 1, comma 17, l. 4 agosto 2017, n. 124), dei criteri di valutazione elaborati da tale sistema occorre tenere conto nella redazione della tabella unica nazionale delle macropermanenti (TUN).

La sostanziale conferma del modello di danno non patrimoniale adottato dalle sentenze di San Martino

L'avere evidenziato che l'unitario danno non patrimoniale include le voci del danno morale, inteso come dolore dell'animo, paura, rimorso, vergogna, disperazione, disistima di sé, tristezza, malinconia, quali stati emotivi di pati conseguenti all'integrazione del fatto illecito (e, dunque, tali da implicare un disagio/degrado/dolore che non ricorrevano prima del fatto e che sono subiti in conseguenza di esso), e del danno dinamico-relazionale, nelle sue molteplici estrinsecazioni privative o modificative in pejus, di natura biologica ed esistenziale (o del fare areddituale), non pregiudica la stabilità del modello di danno non patrimoniale risarcibile, prefigurato dalle sentenze di San Martino del 2008, essenzialmente volto a conciliare i seguenti punti-cardine: da un lato, la garanzia dell'integralità del ristoro riconosciuto, a tale titolo, in favore del danneggiato; dall'altro, l'esclusione della dignità risarcitoria dei meri pregiudizi bagatellari. Infatti, i canoni anzidetti rimangono tuttora impregiudicati, anche all'esito dei recenti arresti della Suprema Corte.

A tal fine, resta fermo che il nocumento non patrimoniale può essere riparato qualora:

  • a) scaturisca all'integrazione di un reato;
  • b) sia espressamente contemplato da specifiche disposizioni di legge;
  • c) abbia leso valori di rango costituzionale, a condizione che la condotta illecita sia seria, che l'offesa sia grave, che – all'esito del bilanciamento tra i principi di solidarietà e tolleranza –, secondo la coscienza sociale del momento storico in cui il fatto è accaduto, prevalga l'esigenza di garantire la reintegrazione del patrimonio della vittima dell'illecito, a fronte dell'esigenza, altrettanto avvertita, di sopportare le invasioni della sfera personale che siano palesemente irrisorie.

In conseguenza, non assurge al rango di danno risarcibile la categoria del danno esistenziale, che continua a non avere dignità di autonoma posta riparabile, costituendo piuttosto una propaggine del danno alla salute, che in quanto tale non può non implicare effetti a catena sul compimento degli atti quotidiani, sulla vita di relazione, sullo stravolgimento della propria agenda, sul fare non remunerativo, rispetto a quanto avveniva nella condizione della persona danneggiata antecedente al contegno lesivo. Sicché la tipicità del danno non patrimoniale, risarcibile nei soli casi previsti dalla legge, secondo un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 2059 c.c., è in ogni caso subordinata alla realizzazione di un fatto illecito astrattamente configurabile come reato, alla ricorrenza di una delle fattispecie in cui la legge espressamente consente il ristoro del danno non patrimoniale, anche al di fuori di un'ipotesi di reato, ovvero alla violazione in modo grave di diritti inviolabili della persona, come tali oggetto di tutela costituzionale. L'unico temperamento apportato dai recenti approdi di legittimità riguarda la perentorietà dell'affermazione, risalente al 2008, secondo cui il danno biologico incorpora o comprende in sé il danno morale soggettivo, poiché non può esservi menomazione dell'integrità psico-fisica senza sofferenza dell'animo. Già all'indomani delle pronunce delle Sezioni Unite il rigore di tale affermazione fu criticato, atteso che la perentorietà dell'assunto finiva per trascurare che le due voci di danno sono riconducibili a beni giuridici diversi: da un lato, la tutela della salute ex art. 32 Cost.; dall'altro, la tutela della dignità umana ex art. 2 Cost. e art. 1 della Carta di Nizza.

In questa prospettiva alcuni interventi normativi settoriali, risalenti al 2009, sostenevano l'autonomia ontologica del danno biologico rispetto al danno morale: l'abrogato d.P.R. 3 marzo 2009, n. 37, sulla tutela dei militari nelle missioni all'estero; il d.P.R. 30 ottobre 2009, n. 181, in tema di tutela delle vittime del terrorismo. Ma la stessa Corte di Cassazione, in più occasioni, ben prima delle pronunce del 2018 oggi in esame, aveva valorizzato, in chiave sostanzialmente continuativa, siffatta distinzione ontologica: Cass. civ., sez. III, 12 dicembre 2008, n. 29191; Cass. civ., sez. III, 19 gennaio 2010, n. 702; Cass. civ., sez. III, 12 settembre 2011, n. 18641; Cass. civ., sez. III, 29 novembre 2011, n. 25222; Cass. civ., sez. III, 16 febbraio 2012, n. 2228; Cass. civ., sez. III, 20 novembre 2012, n. 20292; Cass. civ., Sez. Lav., 23 aprile 2013, n. 9770; Cass. civ., sez. VI-III, 26 giugno 2013, n. 16041; Cass. civ., sez. III, 3 ottobre 2013, n. 22585; Cass. civ., sez. Lav., 16 ottobre 2014, n. 21917; Cass. civ., sez. III, 9 giugno 2015, n. 11851; Cass. civ., sez. III, 30 luglio 2015, n. 16197; Cass. civ., sez. Lav., 20 novembre 2015, n. 23793; Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2016, n. 7766; Cass. civ., sez. III, 14 novembre 2017, n. 26805 (pronuncia quest'ultima, passata sotto traccia, la cui motivazione riprende, per larghi tratti, quella immediatamente successiva del 17 gennaio 2018, n. 901).

D'altro canto, la suggerita discriminazione si impone in ragione della stessa definizione che il legislatore fornisce del danno biologico, sin dall'art. 13 d.lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, quindi ripresa dall'art. 5 della legge 5 marzo 2001, n. 57 e dal d.m. 3 luglio 2003, in tema di risarcimento dei danni alla persona di lieve entità, derivanti da sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, e integrata negli artt. 138 e 139 d.lgs. 7 settembre 2005, n. 209. In tali disposizioni il danno biologico è inteso quale lesione o menomazione, temporanea o permanente, dell'integrità psico-fisica suscettibile di accertamento medico-legale, idonea a ripercuotersi sullo svolgimento degli atti della vita quotidiana e sugli aspetti dinamico-relazionali, indipendentemente dall'incidenza sulla capacità di produrre reddito. Ne discende che il legislatore aderisce ad una nozione restrittiva e meramente nosografica del danno alla salute, non già alla nozione ampia di salute alla quale fa riferimento l'Organizzazione mondiale della sanità, come recepita nell'art. 2, comma 1, lett. o), d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, secondo cui la salute consiste nello stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non rappresentato esclusivamente da un'assenza di malattia o d'infermità.

Conferma della discriminazione sul piano fenomenico

Del resto, la stessa realtà fenomenica impone la distinzione tra danno morale (interiore) e danno dinamico-relazionale (esteriore), che operano su piani separati, seppure contigui. Può esservi, infatti, danno morale senza ripercussioni dinamico-relazionali, come accade ove sia recata offesa all'onore o alla reputazione di una persona o pregiudizio alle libertà costituzionalmente tutelate, senza inficiare la salute. Così, ai sensi dell'art. 28, comma 5, d.lgs. 1 settembre 2011, n. 150 sulla semplificazione dei riti, avverso gli atti di discriminazione razziale di cui all'art. 44 d.lgs. 25 luglio 1998, n. 286, il giudice può disporre la condanna del convenuto al risarcimento del danno anche non patrimoniale, da intendersi nella sua essenza prettamente interiore. Lo stesso avviene con riferimento al caso dell'illecito trattamento dei dati personali, ai sensi dell'art. 13 d.lgs. 10 agosto 2018, n. 101, che ha modificato il d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196, e ai sensi del richiamato art. 82, comma 1, regolamento (UE) 2016/679 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 27 aprile 2016, relativo alla protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati e che abroga la direttiva 95/46/CE (regolamento generale sulla protezione dei dati), comma che espressamente attribuisce il diritto di ottenere il risarcimento del danno, nei confronti del titolare del trattamento o del responsabile del trattamento, in favore di chiunque abbia subito, non solo un danno materiale, ma anche immateriale, in ragione del trattamento dei dati.

Al contempo, può esservi danno dinamico-relazionale senza danno morale, come accade, a titolo esemplificativo, ove il fatto illecito procuri la rottura di un dente, di cui fosse stata programmata a breve l'estirpazione. Altrettanto verificabile sul piano empirico è la circostanza secondo cui, a parità quali-quantitativa di danno biologico, seppure in soggetti della stessa età, possono riscontrarsi conseguenze pregiudizievoli diverse sul piano dell'intensità del danno morale, in ragione delle condizioni soggettive da valutare in concreto in cui versa la vittima all'esito del fatto illecito.

Pertanto, il fatto che alla causazione di un pregiudizio alla salute segua, normalmente, l'integrazione di uno stato di sofferenza interiore, un pretium doloris, non è in sé significativo della commistione tra i due aspetti del danno non patrimoniale.

In più, l'evoluzione del sistema tabellare, all'esito dell'affermazione dell'unitarietà e onnicomprensività del danno non patrimoniale di cui alle sentenze di San Martino del 2008, recepisce tale innegabile discriminazione ontologica, nel momento in cui il valore pecuniario del globale e finale danno non patrimoniale è ricavato mediante “appesantimento” del valore del punto base, originariamente riferito alla sola voce del danno biologico.

Peraltro, il danno biologico è apprezzabile sia come danno-evento (nella sua dimensione statica), ossia come lesione causalmente riconducibile sul piano materiale alla condotta lesiva, commissiva od omissiva, sia come danno-conseguenza (nella sua dimensione dinamico-relazionale media o personalizzata), ossia come insieme di effetti pregiudizievoli residuati, causalmente ascrivibili sul piano giuridico al fatto illecito. Per contro, il danno morale è rilevabile in esclusivi termini disfunzionali.

Ma, a riscontro di detta ricostruzione, vi è di più. La sentenza della Corte cost. 16 ottobre 2014, n. 235, nel respingere le questioni di legittimità costituzionale rivolte verso l'art. 139 cod. ass., ha sostenuto che il sistema di liquidazione del danno non patrimoniale per lesioni di lieve entità (c.d. micropermanenti), valevole per i settori dell'infortunistica stradale e della responsabilità medica (per effetto dell'estensione disposta dall'art. 7, comma 4, l. Gelli-Bianco 8 marzo 2017, n. 24) è aperto, e non già chiuso, al risarcimento del danno morale, seppure nei limiti della percentuale massima di personalizzazione, pari al 20%.

Ove tanto non bastasse, sebbene la voce del danno morale non abbia basi organiche, finanche la medicina legale, oltre a definire il concetto di danno morale, si prodiga di individuare cinque possibili parametri di misurazione di detta componente, alla stregua della sua manifestazione all'esito della consolidazione di un'inabilità temporanea ovvero di un'invalidità permanente. Detti parametri sono associati alla necessità di assistenza di terzi, alla durata della degenza ospedaliera o comunque dell'iter clinico, alla indispensabilità di presidi protesici (carrozzina, bastone), alla continuità di controlli medici o di cure farmacologiche, all'evidenza della menomazione e alle conseguenti rinunce alla quotidianità.

In ultimo, il recente decreto concorrenza (recte l. 4 agosto 2017, n. 124, il cui art. 1, comma 17, ha sostituito il testo dell'art. 138 cod. ass.) ha rimarcato, in modo netto, la distinzione tra le due componenti del danno non patrimoniale per lesioni di non lieve entità (c.d. macropermanenti). Da un lato, la rubrica dell'art. 138 cod. ass. è dedicata al danno non patrimoniale (e non più al danno biologico), il cui risarcimento, secondo il comma 1, deve essere pieno e circoscritto ai nocumenti effettivamente subiti, al fine di razionalizzare i costi gravanti sul sistema assicurativo e sui consumatori; dall'altro, il testo della disposizione regola separatamente 1) la componente del danno morale da lesione all'integrità fisica, che giustifica l'incremento in via percentuale e progressiva per punto della corrispondente quota del danno biologico, secondo la misura che la TUN dovrà determinare ai fini della personalizzazione complessiva dei valori (vedi comma 2, lett. e), e 2) la componente del danno dinamico-relazionale, stabilendo che, ove la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati e obiettivamente accertati, l'ammontare del risarcimento del danno può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30% (vedi comma 3). D'altronde, anche il testo dell'art. 139, come sostituito dall'art. 1, comma 19, della citata legge n. 124 del 2017, al comma 3, rimarca questa distinzione, nella parte in cui stabilisce che l'ammontare del risarcimento del danno può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 20%, qualora la menomazione, per un verso, abbia inciso in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali documentati e obiettivamente accertati e, per altro verso, causi o abbia causato una sofferenza psico-fisica di particolare intensità.

Nondimeno, il temperamento così apportato, che sancisce in termini netti l'esistenza di due forme di manifestazione del danno non patrimoniale, quella interiore e quella esteriore, non solo non inaugura una “Terza Repubblica” dello statuto risarcitorio del danno non patrimoniale, semmai ne implica un'evoluzione, ma in più non importa un ritorno al passato, secondo la logica dei corsi e ricorsi storici. Infatti, rimane confermata la struttura bipolare del risarcimento del danno, che si snoda nelle categorie del danno patrimoniale e del danno non patrimoniale, come inaugurata dalle sentenze gemelle di Cass. civ., sez. III, 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828. Inoltre, il danno non patrimoniale, che ricade nella previsione legislativa di cui all'art. 2059 c.c., non si esprime nelle voci distinte del danno biologico, del danno morale e del danno da lesione di valori di rango costituzionale, come sostenevano le anzidette pronunce, ma resta, invece, un danno unitario, di cui costituiscono componenti indefettibili il danno morale o interiore e il danno dinamico-relazionale o esteriore. Per converso, dette forme di manifestazione dello stesso danno non patrimoniale assumono precipua rilevanza in sede liquidativa, al fine di assicurare l'integralità della riparazione.

L'assetto tabellare conseguente al riconoscimento del danno morale

La valorizzazione della distinzione tra componente interiore e componente esteriore del danno non patrimoniale non compromette affatto l'affidabilità del sistema tabellare ritenuto congruo dalla consolidata giurisprudenza di legittimità. Piuttosto, ne impone un adattamento.

Infatti, al pari della voce del danno dinamico-relazionale, anche la voce del danno morale dovrà essere considerata, sia nel suo aspetto medio, sia nel suo aspetto personalizzato. Segnatamente, nelle due colonne delle tabelle ambrosiane si dà atto, per un verso, del punto biologico 2008 rivalutato sino all'attualità (vedi tabelle del 2018) e, per altro verso, dell'aumento percentuale riconducibile al danno morale medio (qualificato come incremento in via percentuale e progressiva per punto nell'art. 138), la cui sommatoria origina il punto di danno non patrimoniale unitariamente inteso. Quindi, in un'ulteriore colonna si indica il limite massimo dell'aumento personalizzato.

Della persistente congruità dei parametri tabellari elaborati presso il Tribunale di Milano, anche all'esito degli arresti in commento, si dà atto nella stessa sede di nomofilachia, dove si afferma che tali parametri determinano il valore finale del punto utile al calcolo del danno biologico da invalidità permanente tenendo conto di tutte le componenti non patrimoniali, compresa quella già qualificata in termini di “danno morale”, la quale, nei sistemi tabellari precedenti, veniva invece liquidata separatamente, mentre nella versione tabellare successiva all'anno 2011 viene inclusa nel punto base, così da operare non sulla percentuale di invalidità, bensì con aumento equitativo della corrispondente quantificazione. Tuttavia, il giudice, in presenza di specifiche circostanze di fatto, che valgano a superare le conseguenze ordinarie già previste e compensate nella liquidazione forfettaria assicurata dalle previsioni tabellari, può procedere alla personalizzazione del danno entro le percentuali massime di aumento previste nelle stesse tabelle, dando adeguatamente conto nella motivazione della sussistenza di peculiari ragioni di apprezzamento meritevoli di tradursi in una differente (più ricca, e dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari (Cass. civ., sez. III, sent., 15 maggio 2018, n. 11754).

Ove siano allegati e dimostrati, anche attraverso il ricorso al notorio, alle massime di esperienza e alle presunzioni semplici, specifici fatti costitutivi della pretesa di personalizzazione, dai quali possa desumersi che il danno dinamico-relazionale ovvero il danno morale abbia avuto nel caso concreto estrinsecazioni anomale, eccezionali e peculiari, tali da generare ripercussioni più intense di quelle medie, si procederà ad un aumento calibrato del danno non patrimoniale, che recepisce in sé le componenti medie sia della voce relazionale (insita nella stessa definizione di danno biologico) sia della voce morale (ricavata per appesantimento del punto base). Con la precisazione che, ove si tratti di micropermanenti, la personalizzazione dovrà avvenire attraverso l'aumento entro il limite massimo del 20%, sia che l'incremento possa ricondursi alle particolari manifestazioni della componente dinamico-relazionale, sia che possa ascriversi alle particolari e più intense manifestazioni della componente morale. Per converso, qualora si tratti di lesioni macropermanenti, la personalizzazione entro il limite del 30% riguarda la sola voce dinamico-relazionale, non essendo potenzialmente precluso un ulteriore incremento anche per le peculiari estrinsecazioni della componente morale entro l'ulteriore cornice percentuale che le tabelle dovranno determinare. Questa ipotesi del tutto particolare non potrà che attenere a vicende singolari, in cui possa desumersi, sul piano allegatorio e probatorio, l'eccezionale stravolgimento degli aspetti interiori ed esteriori che il fatto illecito ha provocato.

Peraltro, la personalizzazione potrà concernere anche la sola componente morale, senza influire sulla componente dinamico-relazionale, e viceversa. Del resto, quando i medesimi fatti costitutivi della personalizzazione, puntualmente dedotti, lascino emergere una speculare incidenza sia sulla voce interiore sia su quella esteriore, nel senso che i due aspetti interferiscono e si intrecciano, l'incremento avverrà una sola volta. In proposito, alla stregua di una valutazione induttiva, la componente del danno morale potrà ricavarsi: a) in via riflessa, quale mera conseguenza della rinuncia alle attività fonte di benessere e compiacimento (l'abdicazione dei rapporti sociali, che erano intrattenuti dal danneggiato prima del fatto, lascia intendere l'esistenza di uno stato di sofferenza interiore) e, in tal caso, la personalizzazione della liquidazione, quanto alla voce del danno morale, non potrà avvenire; b) in via diretta, ossia indipendentemente dal mutamento della propria agenda personale (a titolo esemplificativo, la vittima continua a frequentare gli amici o a recarsi al cinema piuttosto che al teatro o in pizzeria, ma - diversamente da quanto accadeva prima del fatto - ha crisi di pianto o attacchi di panico, è assente, non ride, non parla, si è chiusa in un cupo pessimismo, esprime pensieri negativi sul proprio futuro, ha sensi di colpa, non ha fiducia in sé, senza trasmodare nella patologia psichiatrica) e, in tal caso, la voce del danno morale potrà essere considerata ai fini della personalizzazione. A tale ultima fattispecie, ossia all'integrazione di un particolare danno morale puro, sembra riferirsi la sentenza n. 901 del 2018, in ordine alla procurata incapacità procreativa, conseguente al mutamento dell'intervento da laparoscopico in laparotomico, senza consenso informato, a danno di una donna che cercava di avere figli e che, in conseguenza del fatto illecito, aveva tentato la fecondazione assistita ed aveva avviato la pratica di adozione internazionale.

Detto aumento potrà essere praticato sul complessivo e unitario danno non patrimoniale ovvero sulla parcellizzazione delle voci che lo compongono, in adesione alla garanzia di separata valutazione e liquidazione indicata nel c.d. decalogo. Il correttivo così apportato persegue, in modo evidente, lo scopo di garantire l'integrale ristoro del danno, in tutte le sue componenti, nei casi del tutto peculiari in cui il fatto generatore del danno abbia determinato conseguenze pregiudizievoli assai devastanti, incidenti, in specie, sul profilo interiore del danno non patrimoniale, e purché il danneggiato abbia assolto i gravosi oneri deduttivi e istruttori che gli competono, affinché possa essere fatta valere la pretesa di personalizzazione. Ne discende che deve essere comunque oltrepassata la soglia minima di apprezzabilità del nocumento, all'esito di un accertamento concreto e non astratto, anche avvalendosi del notorio, delle massime di esperienza e delle presunzioni hominis.

I provvedimenti giudiziali evocati non implicano, pertanto, una generalizzata e incontrollata estensione quantitativa del risarcimento spettante a titolo di danno non patrimoniale. Ed infatti, la ricostruzione di cui al c.d. decalogo (ordinanza n. 7513 del 2018) è valsa a confermare la legittimità dell'esclusione dell'aumento personalizzato, operata dal giudice di merito in sede di gravame, considerata come un'indebita duplicazione risarcitoria (ossia dell'incremento del 25% del danno biologico, effettuato dal giudice di prime cure sulla scorta della dimostrazione della forzosa rinuncia, a causa dei postumi residuati all'infortunio, alla cura dell'orto e del vigneto, cui il danneggiato era solito attendere in precedenza).

Né l'attuale sistema tabellare esclude una possibile riduzione rispetto ai valori medi, ove si accerti che, nel caso concreto, la componente media del danno morale, inglobata nel finale e unitario danno non patrimoniale, non ricorre. In tale ipotesi nulla impedisce la liquidazione limitata al danno dinamico-relazionale, sub specie di danno alla salute con relative estrinsecazioni, avendo riguardo al valore del punto tabellare base, relativo al solo danno biologico.

In conclusione

Alla luce del percorso innanzi svolto, il riconoscimento della duplice componente del danno non patrimoniale, che si snoda nella dicotomia sofferenza interiore – sofferenza esteriore, nell'ambito di una struttura risarcitoria di natura bipolare danno patrimoniale – danno non patrimoniale, non scalfisce la natura unitaria e onnicomprensiva del danno non patrimoniale, come predicata dalle Sezioni Unite, dovendo l'unitarietà essere ponderata rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto, non suscettibile di valutazione economica, come tale soggetta alle medesime regole e ai medesimi criteri risarcitori, ed essendo, comunque, necessario, affinché il pregiudizio possa essere riparato, che esso si manifesti in termini apprezzabili all'esito di un accertamento concreto, con esclusione di qualsiasi automatismo. Né l'individuazione della componente del danno morale inficia in sé l'idoneità del sistema tabellare, ritenuto congruo dalla consolidata giurisprudenza di legittimità ai fini di consentire l'adeguata liquidazione del danno non patrimoniale, dovendo piuttosto ricorrersi ai pertinenti aumenti, ove sia fornita esaustiva allegazione dei fatti costitutivi della pretesa personalizzazione, in ragione della anomalia, peculiarità ed eccezionalità del caso concreto, la cui dimostrazione può essere tratta anche dai fatti notori, dalle massime di esperienza e dalle presunzioni semplici. Ove la sofferenza interiore abbia assunto connotazioni particolarmente gravi, sarebbe contrario al principio di pienezza ed effettività della riparazione negare la considerazione di tale posta risarcitoria, attraverso adeguata personalizzazione.

Guida all'approfondimento

R. PARDOLESI, Danno non patrimoniale, uno e bino, nell'ottica della Cassazione, una e terza, in Nuova giur. civ., 2018, 9, 1344;

G. PONZANELLI, Giudici e legislatore liquidano le decisioni delle Sezioni Unite sul danno non patrimoniale, in Foro it., 2018, 3, I, 923;

G. PONZANELLI, Il decalogo sul risarcimento del danno non patrimoniale e la pace all'interno della terza Sezione, in Nuova giur. civ., 2018, 6, 836 (nota a sentenza);

G. PONZANELLI, Danno non patrimoniale: l'abbandono delle Sezioni Unite di San Martino, in Danno e Resp., 2018, 4, 453 (nota a sentenza);

D. SPERA, Time out: il “decalogo” della Cassazione sul danno non patrimoniale e i recenti arresti della Medicina legale minano le sentenze di San Martino, in Ridare.it, focus del 4 settembre 2018;

P. ZIVIZ, Alla ricerca di uno statuto definitivo per il danno non patrimoniale, in Ridare.it, focus del 30 ottobre 2018.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario