Consorzi

Gian Andrea Chiesi
07 Gennaio 2019

I consorzi di urbanizzazione rappresentano, secondo un'autorevole dottrina, una tra le più elaborate manifestazioni dell'autonomia privata, la quale spesso è in grado di tendere la rete di schemi e categorie giuridiche sino al punto di dimostrarne l'inadeguatezza...
Inquadramento

Il condominio - come noto - nasce spontaneamente ed automaticamente, ipso facto et iure, in virtù della semplice coesistenza di proprietà individuali e comuni all'interno del medesimo conglomerato edilizio: precisazione, questa doverosa, giacché, se, un tempo, l'unico fenomeno riconosciuto come riconducibile all'istituto disciplinato dagli artt. 1117-1139 c.c. era il condominio c.d. verticale, le innovative tecniche costruttive, le esigenze del mercato e le nuove frontiere dell'urbanizzazione hanno portato la giurisprudenza ad ampliare sempre più il novero delle fattispecie a quelle stesse norme (almeno teoricamente) riconducibili, tanto da “costringere” il legislatore della novella ad introdurre, nel codice civile, l'art. 1117-bis, a mente del quale le disposizioni in questione si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'articolo 1117 c.c. È proprio in virtù di tale previsione, dunque, che è oggi possibile ricondurre al regime condominiale - in termini pressoché certi - i c.d. consorzi di urbanizzazione, istituti atipici con aspetti sia associativi che di realità (derivanti, questi ultimi, dall'osservanza di obblighi propter rem o dalle costituzioni di reciproche servitù), nati per consentire lo sfruttamento edilizio dei comparti edificatori, definiti dall'art. 870 c.c. quali «unità fabbricabili con speciali modalità di costruzione e di adattamento».

Differenze dalle figure affini

I consorzi di urbanizzazione vanno distinti da altri tipi di consorzi pure contemplati dal codice civile (Torroni):

a) essi vanno anzitutto differenziati dai consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, ex artt. 2602 ss. c.c., che originano da un contratto concluso traimprenditori, i quali istituiscono un'organizzazione comune al fine di meglio disciplinare determinate fasi delle rispettive imprese o per regolare la reciproca produzione: sicché, in ultima analisi, l'organizzazione persegue la finalità indiretta del conseguimento, ad opera dei singoli imprenditori, di un maggior profitto, attraverso la rispettiva attività d'impresa. Le differenze con i consorzi di urbanizzazione sono dunque evidenti giacché, da un lato, difetta in questi ultimi la necessaria qualifica di imprenditori dei singoli consorziati e, dall'altro, il legame che unisce i partecipanti è dato dalla proprietà o titolarità di un diritto reale sui singoli lotti di terreno compresi nel comparto e non dallo sviluppo delle singole attività d'impresa (v. anche Cass. civ., sez. I, 1 giugno 2010, n. 13417: «ai consorzi volontari di urbanizzazione non è applicabile la disciplina dei consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, di cui agli art. 2602 ss. c.c., trattandosi di enti di diritto privato, finalizzati alla sistemazione ed al miglior godimento di un comprensorio ed aventi natura di associazioni non riconosciute, onde la fonte primaria della loro disciplina è l'accordo delle parti»);

b) essi vanno inoltre distinti dai consorzi volontari di cui agli artt. 918 ss. c.c., costituiti dai proprietari di fondi vicini che vogliano riunire e usare in comune le acque defluenti dal medesimo bacino di alimentazione o da bacini contigui: questi si caratterizzano, dunque, per una finalità di godimento comune delle acque, laddove nei consorzi di urbanizzazione prevale l'attività dinamica della realizzazione e della gestione delle opere di urbanizzazione.

La natura giuridica

Da sempre oggetto di dibattito è stata la natura giuridica dei consorzi di urbanizzazione, oscillandosi tra chi (Galgano) ha ritenuto versarsi in presenza di associazioni non riconosciute - pur con la precisazione dell'inidoneità di tale fattispecie astratta a contenere la complessa struttura dei consorzi di urbanizzazione - e chi, al contrario, prendendo atto della non perfetta sovrapponibilità di disciplina (soprattutto per ciò che concerne l'applicazione delle regole di organizzazione interna alle associazioni), ha ritenuto doversi ricorrere all'“istituto atipico” caratterizzato dall'esistenza di una stabile organizzazione di soggetti coordinati al raggiungimento di uno scopo non lucrativo che presenta i tratti essenziali delle associazioni non riconosciute ma anche un forte profilo di realità in quanto, inserendosi con il loro acquisto nel sodalizio e beneficiando dei vantaggi dal medesimo offerti, gli associati assumono nel contempo una serie di doveri ricollegati in via immediata e diretta alla proprietà dei singoli beni e di quelli eventualmente comuni.

In evidenza

I consorzi di urbanizzazione - consistenti in aggregazioni di persone fisiche o giuridiche, preordinate alla sistemazione o al miglior godimento di uno specifico comprensorio mediante la realizzazione e la fornitura di opere e servizi - sono figure atipiche, nelle quali i connotati delle associazioni non riconosciute si coniugano con un forte profilo di realità (Cass. civ., sez. I, 13 aprile 2017, n. 9568).

La disciplina applicabile: dall'originario impianto del codice civile...

Il dibattito sulla natura dei consorzi ha riverberato i propri effetti sull'individuazione delle norme applicabili agli stessi, oscillandosi alternativamente, tra le norme dettate in materia di comunione ordinaria e condominio, da un lato e quelle in tema di associazioni non riconosciute, dall'altro: dall'atipicità del rapporto consortile è stata argomentata la necessità di tener conto, anzitutto, dell'atto costitutivo o dello statuto, al fine di rispettare la volontà espressa dai consorziati medesimi sui vari aspetti della disciplina del rapporto, salvo passare, ove questo nulla disponga al riguardo, all'individuazione della normativa più confacente alla regolazione degli interessi implicati dalla controversia (Cass. civ., sez. I, 21 marzo 2003, n. 4125).

In evidenza

I consorzi di urbanizzazione (enti di diritto privato, costituiti da una pluralità di persone che, avendo in comune determinati bisogni o interessi, si aggregano fra loro allo scopo di soddisfarli mediante un'organizzazione sovraordinata), finalizzati alla sistemazione e al miglior godimento di uno specifico comprensorio attraverso la realizzazione e la fornitura di opere o servizi, costituiscono figure atipiche, le quali, essendo caratterizzate dall'esistenza di una stabile organizzazione di soggetti, funzionale al raggiungimento di uno scopo non lucrativo, presentano i caratteri delle associazioni non riconosciute. E siccome fonte primaria della disciplina di siffatti consorzi, specie per quel che riguarda l'ordinamento interno e l'amministrazione, è l'accordo delle parti sancito nell'atto costitutivo, nessun ostacolo giuridico è ravvisabile negli artt. 1105 e 1136 c.c., dettati dal codice civile in tema di comunione e condominio di edifici, a che l'atto costitutivo contenga clausole limitative del diritto di voto del consorziato (nella specie, escludenti da tale diritto il consorziato in mora nel pagamento dei contributi o che a tal riguardo abbia liti pendenti col consorzio), giacché tali clausole si muovono in uno spazio di autonomia negoziale liberamente praticabile, rispetto al quale le citate disposizioni del codice civile potrebbero, al più, venire invocate in via suppletiva, al fine di colmare eventuali lacune della regolamentazione pattizia (Cass. civ., sez. I, 9 febbraio 2007, n. 2877).

Tale disciplina suppletiva è stata individuata alternativamente in quella sulla comunione ordinaria (Cass. civ., sez. I, 21 ottobre 2020, n. 22957; Cass. civ., sez. VI-1, 9 ottobre 2019, n. 25394;Cass. civ. sez. I, 13 aprile 2017, n. 9568, cit.; Cass. civ., sez. I, 26 aprile 2010, n. 9941), o del condominio (Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 2014, n. 20989), dovendosi anzi escludere, proprio laddove esista una specifica disciplina in tema di condominio (art. 1139 c.c.), il ricorso alle norme sulla comunione.

In evidenza

Le disposizioni in materia di condominio - e non quelle in tema di associazioni non riconosciute - possono legittimamente considerarsi applicabili al consorzio costituito tra proprietari d'immobili per la gestione delle parti e dei servizi comuni di una zona residenziale, pur appartenendo indiscutibilmente il consorzio alla categoria delle associazioni, non esistendo schemi obbligati per la costituzione di tali enti, ed assumendo, per l'effetto, rilievo decisivo la volontà manifestata dagli stessi consorziati con la regolamentazione contenuta nelle norme statutarie (Cass. civ., sez. II, 14 marzo 2001, n. 3665).

Tali discussioni devono ora ritenersi sopite a seguito della entrata in vigore della l. n. 220/2012 e, con essa, della Riforma del condominio che, mediante l'inserimento nel codice civile, dell'art. 1117-bis c.c. ha ricondotto ad unità disciplinare tutte le fattispecie di compresenza di porzioni in proprietà comune ed altre in titolarità esclusiva, attraendole nell'orbita della normativa dettata in tema di condominio: sicché non appare ulteriormente sostenibile - allo stato - una ricostruzione teorica che “sganci” i consorzi di urbanizzazione (anche per quanto concerne la rappresentanza all'esterno, nonché responsabilità verso terzi) da quest'ultima disciplina. Tale netta presa di posizione del legislatore appare, peraltro, in linea con gli arresti che la giurisprudenza di legittimità aveva già raggiunto con riferimento all'ipotesi di recesso dal consorzio (teoricamente prospettabile anche in termini di c.d. abbandono liberatorio), essendosi già nel passato esclusa ogni possibilità di recesso degli associati, se non per effetto della trasmissione a terzi del diritto di proprietà esclusiva (la quale comporta altresì il trasferimento delle pertinenze, tra le quali le quote delle cose comuni asservite alla prima): ed infatti, atteso il nesso funzionale tra i beni di proprietà comune e i beni di proprietà esclusiva, si è ritenuto che il recesso del consorziato diretto alla liberazione dall'obbligo contributivo, in assenza di specifica previsione statutaria, non fosse disciplinato dall'art. 1104 c.c., che consente l'“abbandono liberatorio” nella comunione, bensì dall'art. 1118 c.c., che lo vieta nel condominio.

In evidenza

In tema di consorzio di urbanizzazione, atteso il nesso funzionale tra i beni di proprietà comune e quelli di proprietà esclusiva, il recesso del consorziato diretto alla liberazione dall'obbligo contributivo, in assenza di specifica previsione statutaria, non è disciplinato dall'art. 1104 c.c., che consente l'“abbandono liberatorio” nella comunione, bensì dall'art. 1118 c.c., che lo vieta nel condominio (Cass. civ., sez. II, 30 ottobre 2018, n. 27634; nel medesimo senso, v. anche Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 2014, n. 20989).

L'espressa riconduzione della fattispecie all'ambito di operatività degli artt. 1117 ss. c.c. rende oggi direttamente applicabile la regola posta dall'art. 1118, comma 2, c.c.

Guida all'approfondimento

Crusco, Consorzio di urbanizzazione: associazione, comunione o supercondominio?, in Corr. giur., 2016, 214;

Terzago, Consorzi per la gestione di parti comuni: è applicabile la normativa condominiale?, in Immob. & diritto, 2005, fasc. 6, 53;

De Tilla, La normativa applicabile per i consorzi di edifici, in Rass. loc. e cond., 2003, 604;

Ditta, Problemi in materia di consorzio atipico fra proprietari di immobili, in Riv. giur. edil., 2004, I, 123;

Vidiri, Il consorzio residenziale: una normativa in bilico tra comunione e condominio, in Giust. civ., 2003, I, 1555.

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