ConsorziFonte: Cod. Civ. Articolo 1117
07 Gennaio 2019
Inquadramento
Il condominio - come noto - nasce spontaneamente ed automaticamente, ipso facto et iure, in virtù della semplice coesistenza di proprietà individuali e comuni all'interno del medesimo conglomerato edilizio: precisazione, questa doverosa, giacché, se, un tempo, l'unico fenomeno riconosciuto come riconducibile all'istituto disciplinato dagli artt. 1117-1139 c.c. era il condominio c.d. verticale, le innovative tecniche costruttive, le esigenze del mercato e le nuove frontiere dell'urbanizzazione hanno portato la giurisprudenza ad ampliare sempre più il novero delle fattispecie a quelle stesse norme (almeno teoricamente) riconducibili, tanto da “costringere” il legislatore della novella ad introdurre, nel codice civile, l'art. 1117-bis, a mente del quale le disposizioni in questione si applicano, in quanto compatibili, in tutti i casi in cui più unità immobiliari o più edifici ovvero più condominii di unità immobiliari o di edifici abbiano parti comuni ai sensi dell'articolo 1117 c.c. È proprio in virtù di tale previsione, dunque, che è oggi possibile ricondurre al regime condominiale - in termini pressoché certi - i c.d. consorzi di urbanizzazione, istituti atipici con aspetti sia associativi che di realità (derivanti, questi ultimi, dall'osservanza di obblighi propter rem o dalle costituzioni di reciproche servitù), nati per consentire lo sfruttamento edilizio dei comparti edificatori, definiti dall'art. 870 c.c. quali «unità fabbricabili con speciali modalità di costruzione e di adattamento». Differenze dalle figure affini
I consorzi di urbanizzazione vanno distinti da altri tipi di consorzi pure contemplati dal codice civile (Torroni): a) essi vanno anzitutto differenziati dai consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, ex artt. 2602 ss. c.c., che originano da un contratto concluso traimprenditori, i quali istituiscono un'organizzazione comune al fine di meglio disciplinare determinate fasi delle rispettive imprese o per regolare la reciproca produzione: sicché, in ultima analisi, l'organizzazione persegue la finalità indiretta del conseguimento, ad opera dei singoli imprenditori, di un maggior profitto, attraverso la rispettiva attività d'impresa. Le differenze con i consorzi di urbanizzazione sono dunque evidenti giacché, da un lato, difetta in questi ultimi la necessaria qualifica di imprenditori dei singoli consorziati e, dall'altro, il legame che unisce i partecipanti è dato dalla proprietà o titolarità di un diritto reale sui singoli lotti di terreno compresi nel comparto e non dallo sviluppo delle singole attività d'impresa (v. anche Cass. civ., sez. I, 1 giugno 2010, n. 13417: «ai consorzi volontari di urbanizzazione non è applicabile la disciplina dei consorzi per il coordinamento della produzione e degli scambi, di cui agli art. 2602 ss. c.c., trattandosi di enti di diritto privato, finalizzati alla sistemazione ed al miglior godimento di un comprensorio ed aventi natura di associazioni non riconosciute, onde la fonte primaria della loro disciplina è l'accordo delle parti»); b) essi vanno inoltre distinti dai consorzi volontari di cui agli artt. 918 ss. c.c., costituiti dai proprietari di fondi vicini che vogliano riunire e usare in comune le acque defluenti dal medesimo bacino di alimentazione o da bacini contigui: questi si caratterizzano, dunque, per una finalità di godimento comune delle acque, laddove nei consorzi di urbanizzazione prevale l'attività dinamica della realizzazione e della gestione delle opere di urbanizzazione.
La natura giuridica
Da sempre oggetto di dibattito è stata la natura giuridica dei consorzi di urbanizzazione, oscillandosi tra chi (Galgano) ha ritenuto versarsi in presenza di associazioni non riconosciute - pur con la precisazione dell'inidoneità di tale fattispecie astratta a contenere la complessa struttura dei consorzi di urbanizzazione - e chi, al contrario, prendendo atto della non perfetta sovrapponibilità di disciplina (soprattutto per ciò che concerne l'applicazione delle regole di organizzazione interna alle associazioni), ha ritenuto doversi ricorrere all'“istituto atipico” caratterizzato dall'esistenza di una stabile organizzazione di soggetti coordinati al raggiungimento di uno scopo non lucrativo che presenta i tratti essenziali delle associazioni non riconosciute ma anche un forte profilo di realità in quanto, inserendosi con il loro acquisto nel sodalizio e beneficiando dei vantaggi dal medesimo offerti, gli associati assumono nel contempo una serie di doveri ricollegati in via immediata e diretta alla proprietà dei singoli beni e di quelli eventualmente comuni.
Il dibattito sulla natura dei consorzi ha riverberato i propri effetti sull'individuazione delle norme applicabili agli stessi, oscillandosi alternativamente, tra le norme dettate in materia di comunione ordinaria e condominio, da un lato e quelle in tema di associazioni non riconosciute, dall'altro: dall'atipicità del rapporto consortile è stata argomentata la necessità di tener conto, anzitutto, dell'atto costitutivo o dello statuto, al fine di rispettare la volontà espressa dai consorziati medesimi sui vari aspetti della disciplina del rapporto, salvo passare, ove questo nulla disponga al riguardo, all'individuazione della normativa più confacente alla regolazione degli interessi implicati dalla controversia (Cass. civ., sez. I, 21 marzo 2003, n. 4125).
Tale disciplina suppletiva è stata individuata alternativamente in quella sulla comunione ordinaria (Cass. civ., sez. I, 21 ottobre 2020, n. 22957; Cass. civ., sez. VI-1, 9 ottobre 2019, n. 25394;Cass. civ. sez. I, 13 aprile 2017, n. 9568, cit.; Cass. civ., sez. I, 26 aprile 2010, n. 9941), o del condominio (Cass. civ., sez. II, 6 ottobre 2014, n. 20989), dovendosi anzi escludere, proprio laddove esista una specifica disciplina in tema di condominio (art. 1139 c.c.), il ricorso alle norme sulla comunione.
Tali discussioni devono ora ritenersi sopite a seguito della entrata in vigore della l. n. 220/2012 e, con essa, della Riforma del condominio che, mediante l'inserimento nel codice civile, dell'art. 1117-bis c.c. ha ricondotto ad unità disciplinare tutte le fattispecie di compresenza di porzioni in proprietà comune ed altre in titolarità esclusiva, attraendole nell'orbita della normativa dettata in tema di condominio: sicché non appare ulteriormente sostenibile - allo stato - una ricostruzione teorica che “sganci” i consorzi di urbanizzazione (anche per quanto concerne la rappresentanza all'esterno, nonché responsabilità verso terzi) da quest'ultima disciplina. Tale netta presa di posizione del legislatore appare, peraltro, in linea con gli arresti che la giurisprudenza di legittimità aveva già raggiunto con riferimento all'ipotesi di recesso dal consorzio (teoricamente prospettabile anche in termini di c.d. abbandono liberatorio), essendosi già nel passato esclusa ogni possibilità di recesso degli associati, se non per effetto della trasmissione a terzi del diritto di proprietà esclusiva (la quale comporta altresì il trasferimento delle pertinenze, tra le quali le quote delle cose comuni asservite alla prima): ed infatti, atteso il nesso funzionale tra i beni di proprietà comune e i beni di proprietà esclusiva, si è ritenuto che il recesso del consorziato diretto alla liberazione dall'obbligo contributivo, in assenza di specifica previsione statutaria, non fosse disciplinato dall'art. 1104 c.c., che consente l'“abbandono liberatorio” nella comunione, bensì dall'art. 1118 c.c., che lo vieta nel condominio.
L'espressa riconduzione della fattispecie all'ambito di operatività degli artt. 1117 ss. c.c. rende oggi direttamente applicabile la regola posta dall'art. 1118, comma 2, c.c. Crusco, Consorzio di urbanizzazione: associazione, comunione o supercondominio?, in Corr. giur., 2016, 214; Terzago, Consorzi per la gestione di parti comuni: è applicabile la normativa condominiale?, in Immob. & diritto, 2005, fasc. 6, 53; De Tilla, La normativa applicabile per i consorzi di edifici, in Rass. loc. e cond., 2003, 604; Ditta, Problemi in materia di consorzio atipico fra proprietari di immobili, in Riv. giur. edil., 2004, I, 123; Vidiri, Il consorzio residenziale: una normativa in bilico tra comunione e condominio, in Giust. civ., 2003, I, 1555. |