La tutela del convivente di fatto e il comodato dell'abitazione familiare

08 Gennaio 2019

La questione esaminata dalla Suprema Corte merita particolare attenzione stante la frequenza con la quale i genitori concedono in comodato ai propri figli immobili di proprietà affinché siano adibiti a residenza della famiglia da questi formata. Il problema sorge quando il genitore, nella maggior parte dei casi in seguito alla separazione del figlio, desidera riottenere la piena disponibilità dell'immobile assegnato in sede giudiziale all'ex nuora o all'ex genero affidatario dei minori.
Massima

Qualora il comodato sia stato convenuto, o si sia successivamente consolidato per il soddisfacimento delle esigenze abitative della famiglia, dovendosi contemperare le ragioni del proprietario comodante con quelle del comodatario, il rilascio dell'immobile è possibile esclusivamente nell'ipotesi in cui ricorra un urgente e imprevisto bisogno del comodante secondo quanto previsto dalla norma di cui all'art. 1809, comma 2, c.c..

Fonte: ilfamiliarista.it

Il caso

Il proprietario di un appartamento proponeva ricorso ex art. 447-bis c.p.c. per il rilascio del suo immobile, concesso in comodato anni addietro al figlio il quale ne aveva fatto la residenza familiare sua, della convivente more uxorio e della bambina nata dalla relazione. La richiesta era motivata dal fatto che, in seguito alla cessazione della convivenza, l'abitazione era rimasta nella disponibilità della donna che vi abitava con la figlia.

Il Tribunale adito e successivamente la Corte d'appello rigettavano la domanda di rilascio accertando la destinazione ad uso familiare dell'immobile. In questa stessa linea di pensiero si inserisce la Corte di cassazione che con l'ordinanza in esame respinge a sua volta il ricorso.

La questione

La questione merita particolare attenzione stante la frequenza con la quale i genitori concedono in comodato ai propri figli immobili di proprietà affinché siano adibiti a residenza della famiglia da questi formata. Il problema sorge quando il genitore, nella maggior parte dei casi in seguito alla separazione del figlio, desidera riottenere la piena disponibilità dell'immobile assegnato in sede giudiziale all'ex nuora o all'ex genero affidatario dei minori.

Si hanno qui opposti interessi: da una parte quello del proprietario che desidera rientrare nella piena disponibilità dell'immobile che aveva volentieri concesso al figlio e che ora viene abitato dall'ex; dall'altra l'interesse dei minori nati da quella relazione a conservare il loro habitat familiare. Per anni in materia vi è stato un forte contrasto in dottrina e in giurisprudenza circa i poteri di revoca del beneficio da parte del comodante, poi risolto da vari interventi delle Sezioni Unite della Corte di cassazione. Nella specie inoltre rilevante è la questione dell'applicabilità della disciplina del comodato familiare alla famiglia di fatto.

Le soluzioni giuridiche

La Corte nell'ordinanza in esame ribadisce principi già affermati in materia dalle Sezioni Unite. In particolare in un'importante sentenza del 2004 la Cassazione, soffermandosi sull'utilizzo del bene come casa familiare, sottolineava che il soggetto che formalmente assume la qualità di comodatario riceve il bene non solo o non tanto a titolo personale, quanto piuttosto quale esponente della comunità familiare. Per tale motivo l'abitazione resta al coniuge al quale è stata assegnata anche se concessa in comodato da un terzo, ciò in quanto il provvedimento di assegnazione, non modifica la natura e il contenuto del titolo di godimento sull'immobile, ma determina una concentrazione, nella persona dell'assegnatario, di detto titolo di godimento, che resta regolato dalla disciplina del comodato. In tal senso pertanto l'assegnatario può contrastare il recesso del comodante in quanto non è ancora cessato l'uso al quale l'abitazione era stata destinata (Cass., S.U., 21 luglio 2004, n. 13603). In altre parole fino al momento in cui nella residenza familiare vi saranno figli minorenni o maggiorenni non autosufficienti il comodante non potrà riavere il possesso dell'appartamento, tranne nel caso di sopravvenienza di un bisogno urgente e imprevedibile.

Ulteriori delucidazioni sono poi state fornite da un ulteriore intervento a Sezioni Unite, dovuto alla permanenza di un contrasto giurisprudenziale in materia. La Cassazione, in particolare in quell'occasione ha evidenziato come nel nostro ordinamento siano previste due differenti forme di comodato: quello propriamente detto, regolato dagli artt. 1803 e 1809 c.c., e quello cosiddetto precario “senza determinazione di durata” (di cui all'art. 1810 c.c.). Nel primo caso il comodante può recedere solo in ipotesi di sopravvenienza di un urgente e imprevisto bisogno, nel caso di comodato precario invece il comodante può richiedere la restituzione del bene ad nutum, con una semplice richiesta, in qualunque momento. Fatta questa precisazione la Cassazione stabilisce che il comodato di immobile concesso al fine di soddisfare le esigenze abitative della famiglia del comodatario rientra nella fattispecie di comodato sorto per un uso determinato di cui all'art. 1803 c.c.. Pertanto, specifica la giurisprudenza, anche se le parti non hanno fissato un termine esplicito di durata non può affermarsi che si tratti di contratto “senza determinazione di durata”. Il termine infatti esiste anche se non è stato stabilito ma è ricavabile dalla finalità del comodato che è quella della soddisfazione delle esigenze della famiglia, intesa «anche nelle sue potenzialità di espansione» (Cass. n. 20448/2014). Quando si ravvisa quest'ipotesi pertanto il comodante può richiedere la restituzione dell'immobile solamente qualora sopravvenga un urgente e imprevisto bisogno, così come stabilito dall'art. 1809 c.c..

Si sottolinea comunque che la giurisprudenza, anche al fine di contemperare le diverse esigenzeha più volte evidenziato come non sia sufficiente che l'immobile sia destinato alle esigenze della famiglia al fine di identificare il tipo di comodato. L'organo giudicante infatti deve sempre effettuare una rigorosa indagine in ordine all'apposizione di un diverso termine finale di godimento, nonché circa l'effettiva intenzione delle parti di dare e ricevere il bene allo specifico fine della sua destinazione a casa familiare.

Nella specie, la Cassazione richiamando i principi esposti, riconduce l'accordo concluso tra il ricorrente e il figlio nell'ambito del comodato previsto dall'art. 1809 c.c. in relazione al quale, precisa il Collegio, la restituzione anticipata si può avere solo in caso di urgente e imprevedibile bisogno sopravvenuto del comodante, fatto che invece, non era stato nel corso del giudizio né allegato, né provato.

Questo assunto risulta corretto, prosegue la Corte, dichiarando pertanto infondati i motivi di ricorso anche se si tratta di rottura di una convivenza di fatto. A fondamento della sua affermazione la Cassazione richiama la giurisprudenza costituzionale che equipara, ai fini della tutela e del mantenimento della destinazione a residenza della famiglia dell'immobile, la cessazione di una stabile convivenza di fatto, in presenza di figli, ad una separazione giudiziale. La Consulta sosteneva in particolare, (Corte cost. n. 166/1998), che ai fini dell'applicazione dell'istituto dell'assegnazione della casa familiare nell'ambito di una separazione tra conviventi di fatto, non sia necessaria una specifica norma, in quanto la tutela del figlio naturale è immanente nell'ordinamento. La condizione dei figli deve infatti essere considerata come unica, senza che abbiano influenza le circostanze della nascita. In altri termini il fatto che i genitori siano o meno legati da un vincolo coniugale non può determinare una condizione deteriore per i figli, ciò in forza dell'art. 30 Cost..

Si consideri che attualmente la c.d. riforma sulla filiazione (l. n. 219/2012, e d.lgs. n. 154/2013) ha realizzato una completa equiparazione giuridica tra i figli nati nel matrimonio e i figli nati fuori dal matrimonio con la conseguenza che anche nella crisi genitoriale non è proponibile alcuna differenziazione di tutela. La disciplina dell'assegnazione della casa coniugale è attualmente contenuta nell'art. 337-octies c.c. applicabile in caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e anche in relazione ai procedimenti relativi all'affidamento e al mantenimento dei figli nati fuori del matrimonio.

Si evidenzia inoltre che la l. n. 76/2016 in materia di unioni civili e convivenze ha stabilito che, indipendentemente dall'esistenza di figli, «nei casi di morte del conduttore o di suo recesso dal contratto di locazione della casa di comune residenza, il convivente di fatto ha diritto di succedergli nel contratto» (comma 44).

È noto altresì come quanto previsto per la locazione è stato ritenuto applicabile anche al comodato «ricorrendo la medesima ratio dell'interesse della prole a non abbandonare la casa familiare» (Cass. civ., sez. III, 4 marzo 1998, n. 2407).

Nei medesimi termini comunque si era già espressa in passato la Cassazione, in relazione alla famiglia di fatto specificando che il comodato, di un immobile adibito per inequivoca e comune volontà delle parti contraenti, ad abitazione di un nucleo familiare di fatto, costituito dai conviventi e dai fagli, non può essere risolto in virtù della mera manifestazione di volontà "ad nutum" espressa dal comodante dal momento che deve ritenersi impresso al contratto un vincolo di destinazione alle esigenze abitative familiari idoneo a conferire all'uso cui la cosa è destinata il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi familiare tra i conviventi. Ne consegue che il rilascio dell'immobile, finché non cessano le esigenze abitative familiari cui esso è stato destinato, può essere richiesto, solamente nell'ipotesi di un bisogno contrassegnato dall'urgenza e dall'imprevedibilità (Cass. n. 13592/2011).

Osservazioni

La situazione in esame è caratterizzata dalla presenza di figli, peraltro il convivente more uxorio è tutelato anche quando la coppia non ha prole. In materia è infatti principio consolidato quello secondo cui la convivenza more uxorio, quale formazione sociale che dà vita ad un autentico consorzio familiare, determina, sulla casa di abitazione ove si svolge e si attua il programma di vita in comune, un potere di fatto basato su di un interesse proprio del convivente ben diverso da quello derivante da ragioni di mera ospitalità, tale da assumere i connotati tipici di una detenzione qualificata, che ha titolo in un negozio giuridico di tipo familiare. Pertanto il convivente more uxorio del comodatario di un immobile destinato a casa di abitazione della famiglia di fatto è legittimato, in quanto detentore qualificato, all'azione di spoglio, nel caso di estromissione violenta o clandestina dall'unità abitativa, compiuta oltre che dal suo stesso convivente anche dai terzi. (Cass. civ.,sez. II, 2 gennaio 2014, n. 7).